[L'assistenzialismo non giova]
Sono un componente del Comitato Provinciale del Movimento Giovanile di Rimini, e vi scrivo in relazione alla vostra intervista al Prof. Ardigò, apparsa su Nuova Politica del mese di marzo.
Mi hanno colpito alcune affermazioni dell'intervista innanzitutto la convinzione. non solo di Ardigò, ma generale, che il «Welfare State» (Stato Assistenziale) sia stato «il modello politico ed economico col quale il mondo contemporaneo sviluppato è uscito dalla grande crisi economica del 29-33», come dal professore affermato.
Ebbene, ora vorrei rilevare alcuni fatti storici a noi giovani perlopiù travisati, contrastanti a quanto sopra.
Il New Deal roosveltiano cominciò a dare ii suoi frutti con l'inizio della guerra. Infatti, l'enorme produzione di materiale bellico, rilanciò l'economia americana con la creazione dei posti di lavoro sospirati. L'industria privata si mise in moto risolvendo la grave depressione che andò dal 1929 al 1935. Il Presidente Roosvelt lanciò l'idea dell'intervento pubblico catalizzat0re di mano d'opera, ma fino a che l'attività industriale non si mise in moto, la disoccupazione, per effetto della politica governativa, diminuì del 0,3%, cioè poche migliaia di unità.
L'eliminazione della disoccupazione a seguito della produzione bellica in America, fu sempre presentata come un successo del Welfare State e delle idee Keynesiane. mentre in verità fu il frutto dei fallimenti di indicazioni politiche del potere repubblicano di quel tempo che investirono l'economia privata. Quindi, non furono i privati a determinare la crisi ed il Welfare State a risolverla, ma i privati, industriali ed operai, furono prima le vittime della politica governativa. e successivamente, gli artefici della ripresa poi accreditata dal potere politico a se stesso.
Il potere politico non ha mai accreditato ai privati questi meriti storici. con la conseguente convinzione della gente che il «capitalismo» sia malato. È così che si è seppellita l'iniziativa privata a favore della politica assistenziale che da venti anni sta dissanguando l'economia con disastrose crisi economiche.
Si spendono migliaia di miliardi l'anno stranamente proprio in un'epoca. in cui il tenore di vita medio del cittadino italiano è più alto di quanto non lo sia mai stato in passato, favorendo la demagogia socialista. al di fuori di ogni teoria economica. Questi programmi di «utilità sociale» indeboliscono la famiglia. riducono l'incentivo a lavorare. e risparmiare, ad innovare, a creare (e ciò è grave se si pensa che la creatività e la maggiore gioia per l'uomo ed il primo atto di amore del Signore). con sprechi immensi di beni. Ma questi programmi rendono scontenti gli assistiti, perché scadenti (ed è assurdo se si pensa all'enormità di risorse impiegate). ed insofferenti i privati che li devono finanziare con pressioni fiscali asfissianti. E purtroppo l'esperienza ci insegna che non esiste un assistenzialismo «buono» perché lo Stato non può arrivare al singolo se non coprendo grandi collettività, togliendo così proprio la ragione d'essere dell'assistenza. Esisteranno sempre persone che avranno diritto ad essere assistiti ma non lo saranno, e viceversa. Tutto ciò alla luce, e qui sta la gravità, di politiche economiche e fiscali che, diminuendo le risorse per investimenti produttivi, di conseguenza aumentano la disoccupazione, le importazioni, la ricerca del posto fisso, l'inflazione ed il malcontento. Allo Stato va infatti il 60% del PNL, introducendo questa ricchezza in disservizi e producendo inflazione che «brucia» le rimanenti risorse dell'economia privata che finanzia il tutto.
Sono contento che il nostro Partito abbia capito tutto ciò, riscoprendo il «privato» in questa campagna elettorale: ma mi rende pure triste il fatto che la riscoperta non è avvenuta per scelta, quanto per costrizione della realtà. Soltanto con il progresso dell'economia si possono ridurre sempre di più le aree di povertà, non di certo con i grandi piani di uno Stato spendaccione.
L'assistenzialismo non ha giovato a nessuno e si è autodistrutto lasciando i veri poveri, poveri comunque.
Una regione ricca, come la mia, l'Emilia Romagna, sopporta ogni anno deficit di bilancio esorbitanti. ed altrettanto assurdi se si pensa che le città più ricche d'Italia sono proprio quelle emiliano-romagnole. Il PCI spende e spande in dismisura, addossando al governo nazionale sia le spese della propria demagogia, sia le responsabilità per quello che non riesce a fare. Dal 1980 cioè nel periodo dell'avvento delle giunte rosse. fino ad oggi la spesa pro-capite nei comuni è passata da 124.000 lire l'anno a 858.000 lire. Naturalmente spese assistenziali, poiché sarebbero giustificate soltanto da una grande povertà. visto che lo Stato italiano ha un deficit di bilancio pari a quello dei paesi del terzo mondo. ma non dal reddito dei cittadini e dalle regole dell'economia.
Vero è che le «spese sociali» profumano di tutto fuorché di socialità. Ed è necessario partire dal loro taglio per potere arrivare a rilanciare l'economia con tutti i problemi ad essa connessi. Solamente con la collaborazione tra gli uomini e con lo sviluppo dell'amore negli individui, si può molto fare contro la povertà, molto più dello Stato che tutti consideriamo un'entità lontana. astratta ed inefficiente.
La realtà ci ha dimostrato che è pia illusione affidarsi all'apparato pubblico per risolvere i problemi nostri.
Distinti saluti.
Stefano Fondenti

![Nuova Politica - [L'assistenzialismo non giova] pagina 26](/rivista/images/pagine/400/JPEG/1985_07_26.jpg)












