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Stato sociale, società civile

Che cosa è lo Stato sociale?

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Nuova Politica - Che cosa è lo Stato sociale?

Lo Stato Sociale nasce in Italia ben prima della Repubblica, ma trova nella Costituzione del 1948 la propria consacrazione quale strumento di promozione e tutela dei deboli e di garanzia dei diritti di tutti i cittadini.

Come sarebbe stato possibile, altrimenti, garantire i "diritti" della persona e delle formazioni sociali, coniugandoli con i "doveri" di solidarietà e con l'obiettivo di rimuovere "gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano il pieno sviluppo della persona umana"? Come raggiungere un equilibrio, fissare un confine fra Stato, Mercato e quella terza dimensione – "la solidarietà" – coraggiosamente individuata dalla nostra Costituzione?

I costituenti scelgono, senza mai nominarlo, lo Stato Sociale, definiscono nei primi articoli della Costituzione alcuni diritti-obiettivo (lavoro, previdenza, assistenza, equità fiscale, salute, istruzione), affidano alla politica il compito di plasmare gli istituti giuridici per garantire "effettività" ai diritti menzionati.

E la politica non riparte da zero. L'Italia, infatti, rappresenta a suo modo un'anomalia nel campo europeo. Dal 1855 al 1920, il nostro Paese pone le fondamenta di un sistema di assicurazione sociale (come in Danimarca, Austria, Belgio, Francia) pur godendo di uno scarso reddito disponibile, e si caratterizza per una intensa attività sul campo scivoloso della legislazione sociale. Si tratta di una risposta politica alla fase emergente del movimento operaio, ma anche di una presa di coscienza delle contraddizioni scatenate dallo sviluppo disorganico

della società industriale. Certo, almeno fino agli anni 50, il grado di copertura dei nostri programmi è risultato comparativamente assai basso rispetto a quello degli altri interlocutori europei, ma nel giro del ventennio successivo esso ha saputo riallinearsi rapidamente al "continental pattern" (basti pensare al susseguirsi delle riforme negli anni 60 e 70 sul campo dell'istruzione, della casa, della sanità, del lavoro).

Terminata la falsa polemica fra sostenitori e detrattori dello Stato Sociale, sono due i problemi che oggi occorre sottolineare ed affrontare: come uscire dalla cosiddetta "crisi fiscale dello Stato"? Come rendere "effettivo" il godimento di uguali diritti ad una società non fatta di uguali?

Andiamo con ordine.

Il primo problema – la crisi fiscale dello Stato – fu lucidamente esposto da O'Connor già nel 1973 e suona più o meno così: il finanziamento dei programmi di assistenza e promozione sociale a carico dello Stato non può che provenire dal prelievo fiscale equamente ripartito fra i contribuenti di un Paese. Ma l'evoluzione delle prestazioni da fornire ai cittadini (dal medico generico ai complessi macchinari specialistici, dalla lotta iniziale all'analfabetismo alla creazione di un sistema di istruzione al passo col mondo del lavoro) assorbe allo Stato più risorse di quante gliene possa garantire l'aumento del prelievo fiscale. In altre parole, si crea una forbice fra il costo dei servizi che aumenta con progressione geometrica e il prelievo che aumenta con progressione aritmetica creando, però, agli Stati paurosi deficit di bilancio. Da qui le indicazioni – che oggi purtroppo non sono più che uno slogan – di superare il funzionamento meccanico dello Stato Sociale per approdare ad uno "Stato socievole", ad un funzionamento più spontaneo del principio di solidarietà e di sussidiarietà.

Il secondo problema richiede invece, prima di tutto, un superamento di alcuni preconcetti logici. Uno Stato indebitato che volesse garantire servizi uguali per tutti fornirebbe in realtà, con un astratto principio di universalità e giustizia, cattivi servizi a tutti. Con la differenza che cittadini non uguali fra loro rispondono con mezzi diversi ad una cattiva qualità dell'offerta: chi "può" cerca servizi migliori nel privato o all'estero, chi "non ha" si rassegna e prende ciò che lo Stato gli passa. Da questa considerazione sono nate le numerose proposte relative alle "fasce sociali", ai tickets differenziati o ad altri meccanismi similari che dovrebbero obbligare i contribuenti ricchi a pagare i servizi offerti o addirittura ad avvalersi del sistema privato onde permettere ai non abbienti di godere di servizi pubblici migliori, perché rivolti ad un'utenza più limitata. Cittadini di serie A e di serie B?

Sarebbe un modo errato di interpretare il problema.

Anche in questo caso lo Stato Sociale ha bisogno di evolversi al passo con i tempi e, demagogie e populismi a parte, all'orizzonte non brillano soluzioni geniali e migliori in grado di superare questi dilemmi tutt'altro che banali.

Costituzione

Articolo 2

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Articolo 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

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