Un futuro diverso per il sud
Non è inesatto dire che negli ultimi anni, mentre la prima volta e sia pure in modo disuguale e ancora troppo gracile è sorta la prima generazione di imprenditori meridionali, il meridione politico si sta avviando su una dimensione che rischia di essere decisamente subalterna e culturalmente provinciale.
In casa di tutte le forze politiche e sindacali si ripete lo slogan della centralità della questione meridionale, ma ad esso non crede nemmeno il più residuo meridionalismo integralista.
La proposta politica concernente la questione meridionale è quasi scomparsa e si fanno spazio due proposte antitetiche che di fatto hanno sostituito una impostazione della questione meridionak che è stata a lungo segnata da grande serietà intellettuale e politica. Per la prima il problema meridionale è il problema di sempre: il vecchio dualismo strutturale dell'economia italiana tra Nord e Sud: due modelli con obietti,·i diwrsi. Da una parte un razionale ed e onomico utilizzo degli impianti per assicurare occupazione e redditività dei capitali a Nord e dall'altra una allocuzi ne straordinaria e permanente di risorse al Mezzogiorno da parte dello Stato centrale a sostegno degli investimenti per creare posti di lavoro.
Due modelli concorrenti, individuati da tempo. in un sistema economico, nazionale ed internazionale in fortissimo movimento. in cui parte del Sud rincorre un Nord «che rincorre il resto dell'Europa, che a sua volta rincorre l'America».
Si tratta comunque di una versione del problema Mezzogiorno che trova sempre meno sostegno di tipo intellettuale ed è sempre più limitata agli operatori diretti dell'intervento straordinario ed a rappresentanti eletti, a livello centrale o periferico, di molti partiti politici.
Acquista credibilità nel frattempo, sia fuori Mezzogiorno, sia anche in zone non più marginali di opinione pubblica meridionale, l'altra versione della questione meridionale: il Mezzogiorno sarebbe infatti inYcstito ormai da un notevole ed interessante meccanismo di sviluppo, particolarmente accentuato lungo la fascia adriatica, ma anche lungo la Sicilia orientale, la Sicilia sud-occidentale, nella Campania, con l'esclusione dell'area metropolitana di Napoli, in parti della Basilicata.
Una industrializzazione a maglio diffusa, alcune concentrazioni di produzioni agricole ad alto reddito, un turismo poco qualificato ma quantitativamente talvolta rilevante sono gli ingredienti prevalenti del fenomeno di auto-decollo produttivo.
Le zone escluse da questo autodecollo sono zone che coincidono o con forme diffuse di episodi malavitosi (Napoli e dintorni, Calabria, Sicilia nord-occidentale) o con fenomeni di inurbamento metropolitano (Napoli e Palermo) che richiedono cure specifiche e non interventi generalizzati.
Questa seconda versione è stata espressa in termini che raramente si incontrano così crudi nel dibattito politico esplicito ma vede sostenitori certamente molto diffusi. Tra l'altro esso aggrega, con una credibilità molto superiore rispetto al passato, ostilità a qualsiasi tipo di intervento meridionalista che mai si erano sopite in strati rilevanti di interessi economici del Nord, e nuoxe forme di insofferenza che trovano ora particolare acutezza di espressione in zone gocgrafiche d'Italia pervenute, con forme e modalità largamente autonome e senza sostegni da parte dello Stato, a livelli di sviluppo economico tra i più sostenuti cd a forme di organizzazione socio-produttiva di notevole interesse ma anche fortemente chiuse in un'ottica localistica.
Il Mezzogiorno, rimane invero pur se in modo più articolato rispetto al passato, un contesto unitario: contesto nel quale sono venuti man mano a prender corpo spunti anche vivaci di autodecollo produttivo, che occorre a sistere ulteriormente anche in maniera molto diversa rispetto al passato, mentre i fenomeni di staticità talvolta di regressione di altre aree richiedono non solo la continuazione ma l'accentuazione della manovra di intervento. Intervento che richiede oggi alla sua base elementi interessanti di novità anche per evitare che altri, come pesso ormai accade, contestino qualsiasi forma di intervento.
Certe esigenze diffuse di migliore amministrazione sono pure manifeste e alcune regole andrebbero introdotte a garanzia dell'efficienza e dell'efficacia della spesa di intervento, piuttosto che considerare lo sperpero un aspetto «inevitabile» che accompagna la spesa pubblica nel Mezzogiono.
Dal 1950 ad oggi il Mezzogiorno ha fatto molta strada, anche se più tortuosa e più breve rispetto ai desideri di allora e di poi. Ma quasi tutte le coordinate di un ulteriore possibile sentiero di sviluppo sono drasticamente cambiate rispetto a ieri.
Alcuni importanti e decisivi fattori sono mutati:
- la crisi dei tradizionali meccanismi dello sviluppo, conseguentemente alla rottura degli equilibri economici internazionali, ha imposto all'azienda-Italia onerosi processi di ristrutturazione e trasformazione degli impianti destinati alla formazione dei valore aggiunto, che non consentiranno per l'immediato futuro trasferimenti di risorse aggiuntive verso il Mezzogiorno come per il passato;
- la crisi economica condizionerà, sempre di più, gli investimenti produttivi alla norma secondo la quale, il valore delle esportazioni deve, complessivamente, essere equivalente al valore delle importazioni, pertanto avranno la precedenza gli investimenti produttivi che incideranno positivamente sulla bilancia commerciale
- in periodo di crisi, caratterizzato dall'elevatissimo costo del denaro, le risorse disponibili «scappano» verso le aree dove minori sono i rischi perciò, ogni iniziativa di investimento in aree ad alto rischio economico viene risucchiata verso aree a minor rischio dove i risultati sono più sicuri.
La crisi attuale del meridionalismo è infatti iniziata nel primo quinquennio degli anni '70 quando gli investimenti fissi nell'industria meridionale registravano incrementi a prezzi correnti e decrementi ai prezzi del 1970 per efTetto della crescente inflazione.
Una necessaria ed utile rinessione credo che a questo punto sia necessaria.
Le istituzioni che presiedono alla conoscenza dei problemi di sviluppo nel Mezzogiorno sono talmente collegate alla scala di valori imposti dalle scelte pubbliche ufficiali e così obbligate ad una tacita difesa degli strumenti di intervento in essere da divenire pericolose per il Mezzogiorno.
Spessb infatti esse nascondono o contribuiscono a nascondere pezzi importanti di verità, quando addirittura non creano terra bruciata intorno ad ogni tentativo conoscitivo e valutativo che non sia compiuto «in alleanza» con le istituzioni stesse.
Vi è bisogno invece di un salto di qualità, per recuperare terreno perduto sia in assoluto, sia nei confronti del resto del paese.
Gli indicatori di reddito sono tra gli indici più positivi che si registrano a favore del Mezzogiorno negli anni più recenti ed anche per quanto concerne il confronto col resto del paese gli ultimi anni sono forse quelli che registrano dinamiche produttive positive a favore del Mezzogiorno (sia pure con le rilevanti differenze che esistono all'interno del Mezzogiorno stesso). Quello che manca è invece una cultura del meccanismo di"sviluppo «utile e possibile» nel Mezzogiorno, così come manca la volontà del confronto con quanto di più interessante sta avvenendo nei paesi di nuova industrializzazione e nelle altre grandi aree depresse d'Europa: non certo per copiare pedissequamente modelli quanto per apprendere tecniche amministrative indicatori di priorità ed eventualmente per non ripetere errori colà già verificati.
Nascerebbero allora indicazioni rilevanti delle molte piccole novità che, sommandosi, formano una politica di sviluppo.
Talvolta scoprendo che politiche rilevanti non richiedono quattrini, richiedono semmai che il Mezzogiono si dia carico di chiedere più urgentemente di quanto lo chieda il resto del paese alcune scelte p.olitiche di fondo (è il caso delle telecomunicazioni e della telematica) e quindi impongono uno sforzo di pura intelligenza politica; in altri casi si tratta di evitare di seguire, per quanto concerne ambiti rilevanti dell'assetto civile e sociale, gli errori commessi dall'Italia extra Mezzogiorno e da altri paesi avanzati (è il caso dell'edilizia e della sanità); in altri casi ancora si tratta di sottolineare con la dovuta urgenza i vantaggi di un'economia meridionale che, lungi dal doversi considerare lontana dai grandi centri di consumo e di produzione, deve scoprire motivi di autentica centralità economica e geografica (il Mediterraneo come via d'acqua a metà tra il fiume e il mare).
Per superare il ritardo storico del Mezzogiono ma soprattutto per recuperare il tempo perduto con una eccessiva caduta di tensione politica, vanno individuate tematiche sulle quali il Mezzogiono può giocare in anticipo.
Ma, ancora una volta, per arrivare a questa individuazione, non servono o sono controproducenti le considerazioni macroeconomiche o i cosiddetti pacchetti politici di investimenti.
Occorrono analisi e proposte più settoriali e più profonde, legate alla comprensione delle determinanti di lungo periodo dello sviluppo economico: per il Mezzogiorno, come per tutto il mondo relativamente sviluppato, si tratta spesso di tematiche di tipo organizzativo, gestionale e manageriale mentre tutta la tradizione passata, nonché la strumentazione d'intervento in essere, continua a sviluppare, al di là delle parole, opere pubbliche.
Per ritornare centrale la questione ha bisogno di una sua autentica reinterpretazione. Ha bisogno, in un paese in cui la finanza è stretta ed il giudizio politico più esigente, di riscoprire anche parametri di efficienza e di rigore troppo a lungo sottovalutati. Ma ha anche bisogno di divenire più «intelligente» più aderente ad una autentica interpretazione dal di dentro delle reali potenzialità del Mezzogiorno e più capace di organizzazione e di autoorganizzazione.












