Sinn Fein. «Noi soli»
È possibile che in pieno ventesimo secolo, nel 1985, nella culla della civiltà, in Europa, una Europa che si prepara a fare altri passi verso l'Unione politica degli stati membri, esistano ancora colonizzati e colonizzatori? Purtroppo sì, è possibile, se pensiamo alle tormentate vicende che ancora oggi vive l'Irlanda del Nord. In questo lembo di Irlanda a cui la Gran Bretagna non vuole rinunciare pare di vivere ancora in un clima romantico, ottocentesco, di patriottismo risorgimentale, per usare eufemi
·smi, che paiono più giusti per la letteratura che non per la cronaca, che registra invece dal 1969, nelle sei contee del nord-est, quasi 2300 morti, 24.000 feriti, 48.000 scontri a fuoco. Nell'Ulster, in questi giorni, si discute animatamente per formare consigli maggioritari negli enti locali, per i quali si votato lo scorso 15 maggio.
Quali i risultati innanzitutto?! Nei 26 distretti in cui si è votato si sono fronteggiati principalmente 4 partiti; per la parte unionista (pari al 58% della popolazione dell'Irlanda del Nord), l'Officiai Unionist Party, vicine alle posizioni dei conservatori inglesi ha sopravanzato il Democratic Unionist Party del reverendo protestante unionista Jan Paisley, ribaltando così il risultato ottenuto nelle ultime elezioni europee.
Per quanto riguarda il campo del movimento repubblicano (42% della popolazione dell'ULSTER), si registra una grande avanzata del partito Sinn Fein, nei confronti del Socialdemocratic and labour party, il partito moderato nazionalista. Il Sinn Fein, considerato l'ala politica dell'Ira, l'esercito repubblicano tristemente noto negli ultimi anni per la serie di attentati messi a segno contro la Gran Bretagna, presentatosi per la prima volta alle elezioni amministrative nell'Irlanda del Nord ha conquistato circa 50 seggi su 566 sopravanzando il sociademocratic and labour party in alcuni centri e divenendo «ago della bilancia» in moltissimi altri.
Quale è il significato di queste elezioni è chiaro a tutti: il Sinn Fein cresce e si rafforza di elezione in elezione portando su posizioni ancora più dure il dissenso che il socialdemocratic and labour party non riesce ad incanalare più, per il boicottaggio che la Gran Bretagna ha fatto di ogni proposta di più moderata negoziazione venuta dal SDLP. Dall'altro lato vengono meno i furori unionisti, pur rimanendo maggioritario un partito fortemente conservatore, e comunque i due partiti unionisti - questo è veramente un dato nuovo e sorprendente - raccolgono insieme poco più del 50% dei voti, mentre la popolazione unionista dell'Irlanda del Nord assomma al 58% della popolazione totale!
Ciò vuol dire, senza ombra di dubbio, che perfino nella popolazione unionista sta nascendo il dubbio sulla tragedia che vivono intorno a loro ogni giorno!
Una tragedia che non nasce oggi certamente e che balza agli occhi della gente comune di tutto il mondo solo quando si verificano attentati o atti tremendi come il digiuno fino alla morte che condusse proprio quattro anni fa Bobby Sands.
Dalla Pasqua di sangue del 1916 ad oggi gli irlandesi lottano per una unione territoriale che sancisca un diritto fondamentale all'indipendenza ed alla libertà di un territorio unito goegraficamente, politicamente, nelle tradizioni e nell'animo, e diviso solo da interessi economici e militari. Pur nella logica condanna della violenza, di ogni tipo di violenza, non si può scordare che la storia è là, davanti ai nostri occhi a rammentarci che i fatti parlano chiaro, La divisione del paese fu imposta militarmente e contro la volontà del popolo irlandese, che mai ha approvato né il trattato né la Costituzione del 1922 che stabiliva l'attuale divisione, mentre invece fu approvata nel 1937, in un referendum popolare l'abolizione del trattato del '22. Non si possono condannare gli atti terroristici di oggi dell'Ira, ma anche degli estremisti unionisti, se non si ha presente questa chiara colpa storica della Gran Bretagna, se non si ricorda che molte e molte sono state anche le azioni di destabilizzazione perfino dell'Irlanda del Sud, da parte del «civilissimo Regno Unito», con «operazioni speciali» e infùtrazioni dei servizi segreti, rapine e perfino omicidi, documentati da atti ora resi pubblici dagli stessi archivi britannici; con ricatti finanziari e pressioni politiche varie.
Sulle radici di tali violenze basti la parola del vescovo anglicano di Salisbury, Baker, che durante l'agonia di Bobby Sands ebbe a dire: «Nessun Governo britannico dovrà mai dimenticare che questo drammatico momento, come molti prima di esso, non sono altro che il prodotto di una storia e di eventi nei quali il nostro paese è direttamente responsabile.
L'Inghilterra conquistò l'Irlanda del Nord per i propri interessi militari e vi ha impiantato dei coloni protestanti per controllare il paese. Sostenendo che noi conserveremo lo status quo finché così vorrà la maggioranza protestante, noi impediamo ai cattolici e ai protestanti di costruirsi insieme un nuovo futuro». Ma purtroppo, anche le reazioni britanniche, del Governo conservatore di Margaret Thatcher, dopo queste elezioni amministrative, paiono non tenere in conto le illuminate parole del vescovo di Salisbury. «Non lasceremo l'Irlanda del Nord finché sudditi di Sua Maestà ci chiederanno a proteggerli» ha dichiarato più volte il Primo Ministro britannico. E intanto l'Irlanda del Nord e del Sud sono tra i paesi europei più disastrati economicamente , più poveri, meno all'avanguardia nelle ricerche di ogni tipo; le relazioni tra Gran Bretagna e Irlanda (Eire), sono pessime, al pari dei rapporti tra cittadini inglesi ed irlandesi, e su questo terreno trovano spazio il terrorismo, le rivendicazioni estremiste da un lato e dall'altro, le morti innocenti, la rabbia e l'impotenza, la rassegnazione che sfocia nella disperazione per l'impossibilità di una vita tranquilla, nella pace, nella propria nazione.
Cosa è possibile fare allora affinché non ci si fermi alle belle parole e non si debba attendere il prossimo tributo di sangue innocente per piangere sul «dramma Irlanda»? Innanzitutto non1 dimenticare assolutamente ciò che accade in quelle sei contee dell'Ulster. Dichiarare con chiarezza che l'Irlanda è una sola nazione, un solo popolo, al di là del proprio credo religioso, e di conseguenza deve divenire un solo Stato. Ciò non è una affermazione utopica, ma' morale e perciò stesso densa di realismo. Non è accettabile, deve essere detto ufficialmente anche dal nostro Governo, che una nazione membro della Comuni(à Europea come la Gran Bretagna mantenga atteggiamenti colonialisti nei confronti di un popolo di, un'altra nazione membro della Comunità stessa come è l'Irlanda.
Qui non si tratta di «guerra del vino e degli agrumi», ma di diritto inalienabile di tanti individui che condanniamo all'infelicità disinteressandoci del problema. Nessuno ha mai proposto, forse per quel pudore diplomatico che rasenta l'ipocrisia, una seria negoziazione di iniziativa europea, graduale quanto si vuole ma chiara nei contenuti: restituire le terre di una nazione occupata, impedire che altre vite, di europei, irlandesi o britannici che siano, vengano spezzate dalla spirale di violenza che è inevitabile, se si rinuncia ad una ferma ed indispensabile azione diplomatica. Forse così la Comunità Europea farebbe non pochi passi verso la crescita di una unione europea politica, che an-· cora oggi pare così lontana ed utopistica.
Accanto a questa possibile azione diplomatica europea, determinante sarà l'azione del Governo britannico. Ora ha davanti a sé il Sinn Fein e l'Ira, che sono i due atteggiamenti di rivolta degli estremisti annessionisti; dovrà scegliere con maggiore oculatezza di prima, mi pare. Se sceglierà di non riconoscere il parti.to del Sinn Fein implicitamente, che lo voglia o no, riconoscerà l'Ira; darà agli irlandesi del Nord la certezza che non è possibile risolvere questa assurda divisione del paese per via politica, e le conseguenze non si faranno attendere. Ma ripeto, l'atteggiamento britannico è purtroppo, salvo insperate variazioni dell'ultima ora, fin troppo conosciuto, e solo un'azione coordinata europea potrebbe indicare una nuova strada per la pacificazione. Sinn Fein, nella lingua di questo popolo così appassionato e malinconico significa «noi soli», ma è mai veramente solo un popolo che lotta per la sua libertà?


