«Dossetti non ha “nipotini”» (forse neanche nella DC)
Si è discusso, sul finire dell'estate, delle dichiarazioni fatte dal senatore Fanfani al Meeting di Rimini, in ordine a una presunta «affinità-continuità» dell'ispirazione «ciellina» con quella dossettiana. È un fatto, come ho detto, non recentissimo, ma credo valga ugualmente la pena di soffermarsi sul dibattito che queste affermazioni hanno suscitato; infatti, indubbia è la rilevanza, nella storia passata del movimento cattolico, dell'esperienza dossettiana, e altrettanto deve dirsi, per quella presente, di quella di Comunione e Liberazione.
«Appunti di cultura e politica» (n. 7), la rivista della Lega Democratica, contiene un dossier dal titolo «Chi sono gli eredi di Dossetti?», in cui è contenuta l'intervista al senatore Fanfani (sul «Corriere della Sera» del 29NIIV84), un intervento di Roberto Formigoni, leader del Movimento Popolare, e la replica di due «dossettiani» di primo piano, Giuseppe Lazzati e Luigi Pedrazzi. Secondo il senatore Fanfani «oggi il Movimento Popolare si riallaccia all'azione di Dossetti che nel '41 portò il nostro gruppo dentro la DC. L'analogia fra quella lontana stagione e l'attuale è nella mobilitazione dei giovani perché rechino un contributo alla vita politica e sociale come atto di dovere religioso». Su questo presunto «riallacciarsi» sembra prendere posizione Formigoni, il cui intervento peraltro lascia perplessi in quanto, contrariamente a quanto sembra doversi desumere dal titolo («Noi di Rimini dopo Dossetti»), il suo scritto tratta di tutt'altre cose (dell'indentità ciellina, del Meeting come fatto nazionale, e non solo cattolico, di America e Americhe ); ci si limita a dire, in ordine alla presunta eredità dossettiana raccolta da CL, che «non spetta a noi giudicare di queste cose», ma di Dossetti e del dossettismo proprio non se ne parla (tra l'altro, non si sono riscontrati interventi di rappresentanti di CL e dell'area ecclesiale ad essa vicina che volessero accreditarsi l'«eredità» suddetta).
Senz'altro più esplicite, invece, le prese di posizione di due protagonisti della «stagione» dossettiana, Giuseppe Lazzati e Luigi Pedrazzi. Il primo contributo («Dossetti, MP e la lealtà») opera un confronto soprattutto in ordine al tema del rapporto col partito: «che nel partito potessero esistere modi diversi di pensare l'organizzazione e diversi modi di impostare la soluzione dei problemi che, di volta in volta, si dovevano affrontare, non creava difficoltà, riconoscendo la cosa quale esigenza fisiologica del partito stesso; ma fra tutti si conveniva che il partito non doveva degenerare in una federazione di corporazioni, di gruppo, di interessi non politicamente mediati. A detta dello stesso De Gasperi, anche nelle fasi di più aperto dissenso il nostro rapporto con il partito fu sempre leale; si può dire la stessa cosa del Movimento Popolare in rapporto alla DC? Il Movimento Popolare serve la DC o si serve di essa?» Non solo, ma «certo è difficile sottrarsi alla impressione di uno slalom permanente tra il momento religioso e quello civile, laddove, invece, in noi la distinzione era chiara e programmaticamente praticata, in un tempo in cui larghi settori della cattolicità (anche ai vertici) mostravano di non digerire facilmente il concetto-valore di laicità e quello di autonomia – sia pure relativa – delle realtà temporali, al primo strettamente legato; in un tempo in cui non si poteva contare sulle acquisizioni del Concilio Vaticano II». Infine, «quello che, forse con presunzione, mi pare allora ci fosse nel gruppo «dossettiano» - che invece mi pare carente in CL - è l'appassionata ricerca dei punti di possibile convergenza con tutte le forze culturali che lavorano alla costruzione della «città dell'uomo», secondo il medesimo spirito che ci animò alla Costituente». Luigi Pedrazzi, invece, si sofferma più specificamente sulla eterogeneità delle ispirazioni tra le due esperienze («Dossetti non ha "nipotini"»): «Al 999 per mille dei giovani convenuti a Rimini il nome di Dossetti in realtà non dice nulla, e ai dirigenti che ne conoscono il nome, quella storia è estranea e ben poco convincente il suo significato». E questo per tutta una serie di motivi: infatti, «al di là della politica, i ciellini e il Movimento popolare non possono esseredetti dossettiani neppure nella spiritualità e nella cultura religiosa. Entrambe le posizioni sono, certo, fortemente segnate dalla «rilevanza» attribuita alla religione di fronte alla storia e nella società (e quindi sono nella tradizione intransigente e non in quella conciliatorista...), ma i ciellini pongono l'enfasi sulla «identità» culturale del cristiano (sia pure non intellettualistica), mentre la «regola» essenziale dei gruppi dossettiani (poche centinaia di persone, ma che nella Chiesa cattolica esercitano una influenza sottostimata dai mezzi di comunicazione) persegue e attua una via di continua conversione, a partire da una immersione totale e sempre rinnovata nella Scrittura e nella liturgia. CL e il Movimento popolare da una parte idoleggiano le grandi sintesi medievali, dall'altra praticano senza remore i mezzi moderni (il Meeting come spettacolo, controllo degli strumenti di comunicazione, giornali e radio-tv): è una sintesi non priva di suggestione e di effetti; ma è quasi l'opposto della posizione dossettiana, che demitizza tutte le età cosiddette cristiane, giudicandole tutte largamente «precristiane» (cioè poco convertite e molto peccatrici), e pratica solo il «radicamento in piccoli gruppi che vivano e comunichino nei contatti diretti della liturgia e delle esperienze comunitarie».
Senza dimenticare peraltro, che Giuseppe Dossetti costituisce un ricordo, a volte scomodo, a volte ingombrante, per gli stessi democristiani: infatti «non può essere "visto", né ritrovato, se non da chi guardi al nostro presente politico con grande energia autocritica e innovativa». Ma proprio per questa capacità innovativa e progettuale, può tornare ad essere un punto di riferimento centrale nel patrimonio dei cattolici democratici.










































