Verso un Congresso ad-alta definizione
Le elezioni politiche del 1987 hanno reso manifesto in Italia il maggior cambiamento politico dopo il 18 aprile 1948. Poco meno di quarant'anni fa il voto popolare sciolse i nodi dello scontro, esploso con la formazione del monocolore De Gasperi, aprendo il lungo periodo della permanenza democratico cristiana nel paese. L'esercizio di quel primato non è stato uniforme: è riuscito a prolungarsi attraverso composizioni e indirizzi diversi delle coalizioni che la DC ha successivamente promosso mediante le possibilità o necessità del sistema proporzionale, siamo passati dal centralismo al centro-sinistra, interrotto e poi ricostruito, e dalla «solidarietà nazionale» fino all'alleanza del pentapartito, rimasta precaria, anche se prolungata e ora parzialmente negata, ma non estinta.
Dopo la normalizzazione del livello elettorale Dc nel 1953, passano trent'anni per far registrare un forte indebolimento del quoziente dei voti del maggior partito, col minimo storico del 1983. Ogni consultazione elettorale si intreccia con le precedenti e le successive, ma è il voto del 1987 a creare un quadro politico nuovo: non istantaneo, è persino ovvio sottolinearlo, ma preparato, con intenzione o contro le intenzioni: si conta una rappresentanza parlamentare coalizzabile a sinistra che tocca e sorpassa di poco il 50 per cento.
La Democrazia Cristiana può sostenere di avere ottenuto nel 1987 un positivo risultato elettorale: le altrui attese di declino irreversibile andate deluse; un punto e mezzo in più rispetto al minimo storico politico dell'83 (anche se stiamo quasi un punto sotto il voto regionale dell'85); e il miglior suffragio giovanile.
Occorre partire di qui per comprendere le difficoltà politiche che hanno reso precaria la governalità, favorendo la caduta del governo Goria e la ricostruzione di un nuovo governo.
Nel frattempo, nella Dc è ripreso un forte dibattito con la «rinascita» pubblica delle correnti. Verso la fine dello scorso anno, i momenti di maggior richiamo politico hanno trovato larga cittadinanza nel partito: da SaintVincent a Chianciano, da Sirmione a Padova è stato, nella Dc, un susseguirsi di incontri, convegni, dibattiti: l'autunno ci ha riservato, appunto, una sorta di esplosione «primaverile», ribollente di vitalità politica e di iniziative culturali, tanto più vigorosa e tenace quanto più rigido e gelido era stato il lungo inverno che l'ha preceduta. Nella Dc si è ripreso così a fare politica con dibattiti e confronti, dissolvendo le nebbie che – attraverso slogan come il «superamento delle correnti» e il «rinnovamento» – hanno semiparalizzato il dibattito interno.
Certo, tutto ciò è coinciso con la ripresa in grande stile delle tradizionali correnti all'interno della Democrazia Cristiana.
Giovani dc e dibattito politico
Credo, purtuttavia, che la ridefinizione di un dibattito politico nel nuovo partito vada incoraggiato e «rinsanguato» da nuove energie che debbono dischiudersi anche al di fuori della tradizionale articolazione corentizia.
Il movimento giovanile della Democrazia Cristiana diventa, in questo contesto, un ipotetico – ed autorevole – interlocutore politico nel partito.
Guai a noi se la ripresa di un dibattito politico «forte» in vista di prossime scadenze ci vedesse irretiti e prigionieri nelle maglie delle correnti, incapaci di contribuire a far decollare una autentica proposta.
La ripresa di una iniziativa politica organica non può essere «appaltata» alla sola rappresentanza istituzionale che contribuirebbe, semmai, a depotenziare lo strumento partito a favore di un movimentismo sfrenato ed inconcludente, probabilmente, accanto alla «modernità» del nostro partito, come espressione politica di una cultura cristiana e democratica, dobbiamo registrare una caduta di credibilità progettuale e di tensione ideale. Questa, normalmente, va di pari passo con l'emergere di aggregazioni clientelari che prendono il posto del dibattito delle idee, favorendo la nascita di anomale realtà come quella delle sottocorrenti caratterizzate, talvolta, avrebbe detto Moro, dal loro «silenzio operoso». Purtuttavia, tra insuffficienze ed errori, la Democrazia Cristiana, ha mantenuto per decenni assai elevata la sua tensione «riformistica». E per non fare confusione, non introduco qui una distinzione tra riformismo e popolarismo. Di un riformismo, che ebbe l'audacia ed il coraggio di realizzare la riforma agraria, di sfidare le grandi multinazionali del petrolio, di sviluppare l'impresa pubblica nel rispetto delle regole dell'economia di mercato, di trasformare radicalmente il Mezzogiorno con un'azione p)uridecennale di intervento straordinario, di estendere ad intere categorie la realtà positiva dello Stato sociale, di battersi per assicurare ai giovani di qualsiasi ceto nel campo della istruzione pari opportunità, come pure la pari dignità alle donne, a cominciare dalla battaglia sostenuta per il voto e per l'inserimento delle donne al governo.
Oggi la situazione è andata modificandosi. Il riformismo è in crisi.
Ed è in crisi per la delusione patita a causa delle numerose riforme malfatte negli anni '70 (anni in cui abbiamo esercitato più un'azione di mediazione e di contenimento che un'azione di proposta, ed in cui la matrice delle riforme è stata più quella della sinistra, in conseguenza anche in quegli anni del suo accresciuto peso in Parlamento e nel Paese, che non quello derivante dal nostro tradizionale patrimonio di idee).
Ma le ultime vicende politiche ci riportano al nostro partito, alla sua capacità di elaborare una autentica proposta politica, dotata di autorevolezza e lunimiranza.
E la Democrazia Cristiana interna che deve risollevarsi dal «letargo» in cui ripiomba periodicamente.
Il confronto politicò alla base
Credo che tutti i democratici cristiani auspichino l'esigenza di stabilire all'interno del partito rapporti nuovi basati non già su posizioni egemoniche precostituite, ma sul confronto politico non solo perché mette in movimento la situazione interna, ma soprattutto perché è destinato a fare esplodere, prima o poi, le numerose contraddizioni che covano all'interno di altri schieramenti interni.
Ma, nel momento in cui ogni componente ritrova la propria identità e tende a raccordarsi con il proprio entroterra sociale e civile, anche l'attività di elaborazione politica e culturale è costretta a riprendere quota e vigore. E poiché l'esperienza degli ultimi anni ha dimostrato quali rischi mortali può correre il nostro sistema democratico quando viene meno la democrazia nei partiti, il tema della rifoma di questi ultimi è destinato ad avere un posto centrale nel prossimo congresso dedicato, appunto, alla crisi del nostro sistema politico.
In effetti, anche la più moderna ed avanzata proposta di riforme istituzionali rischia di restare lettera morta senza una contestuale revisione del modo di essere dei soggetti dell'azione politica, cioè dei partiti.
La questione del voto segreto
La stessa abolizione del voto segreto in Parlamento, può avere esiti autoritari se nel contempo non viene garantita l'autonomia e la dignità costituzionale dei singoli parlamentari nei confronti dell'azione di ritorsione e di ricatto delle segreterie politiche.
Il discorso sul ruolo dei partiti nel nostro sistema è oggi decisivo anche per sottrarre la lotta interna alla Dc alle contese sull'occupazione dello Stato e per portare al centro del dibattito i problemi reali della società italiana, della sua collocazione internazionale, del suo sviluppo economico e sociale: e su questi misurare le varie posizioni politiche e ricercare maggioranze interne.
In conclusione, se nei congressi precedenti le alleanze interne alla Dc sono state strumentali ed egemoniche, nel prossimo esse devono nascere nel rispetto delle singole posizioni e sulla base di chiare indicazioni politiche e programmatiche.
Se nei congressi precedenti l'occupazione sistematica dello Stato è stata utilizzata per aggregare maggioranze eterogenee e personali, nel prossimo congresso deve essere affrontato il tema del «ritiro» del partito dalle istituzioni quale strada obbligata per assegnare la dovuta priorità ai problemi reali della società italiana.
La Democrazia Cristiana, in sostanza, deve rideclinare una proposta politica e culturale all'altezza della situazione, complessa e delicata qual è quella contemporanea. Sotto questo profilo, si apre una esaltante stagione anche per il movimento giovanile.
È in gioco la creatività e la capacità di elaborazione culturale e politica. Il tempo degli slogan ad effetto e della «cultura della passerella» è ormai tramontato. Contano i fatti e le idee, non le parole a vuoto.











































