Perdono e perdonismo
L'attentato terroristico non è mai stato rivolto contro la singola persona ma a ciò che essa, all'epoca dell'episodio rappresentava. Ciò significa che attraverso la persona offesa si voleva colpire lo Stato e l'istituzione» – è quanto dichiara il dott. Maurizio PUDDU, presidente dell'ASS. IT. VITTIME DEL TERRORISMO E DELL'EVERSIONE CONTRO LO STATO, cinquantaseienne, gambizzato dalla «giustizia» delle B.R. nel 1977, quando era vice capogruppo d.c. al consiglio provinciale torinese.
Esistono leggi che prevedono atti risarcitori, ad es. la legge 466 del 4/ 12/BJ si riferisce alle «vittime del dovere» e aveva nel suo intendimento primario la volontà di offrire riconoscimento alle vittime delle forze de/l'ordine. In seguito si decise di estenderne il significato ai cittadini...
Cosa ne pensa?
Innanzitutto si tratta di una discriminazione. Se penso poi alle tante altre «concessioni», la ritengo una vera e propria ingiuria. Ma sia chiaro. Non intendiamo mendicare un atto risarcitorio-assistenziale, vogliamo che il governo riconosca giuridicamente che noi siamo «vittime dell'eversione contro lo Stato»!
I giornali parlano di «atto di riconciliazione» di «mettere una pietra sul passato», di «superare la legislazione di emergenza». In che misura si rinviene senso di giustizia e buona fede in queste parole?
Se il fine è quello di rendere la nostra società più visibile queste parole assumono un significato buono, però, alla luce di tanti episodi di cronaca e delle leggi già vigenti in materia, rischiano di tramutarsi in ipocrite enunciazioni.
Pensando all'ipotesi di un provvedimento che sia giuridico, politico e contemporaneamente morale. È lecito che il governo si ponga il problema del perdono?
NO! Il governo deve sforzarsi di amministrare meglio la giustizia e perseguire obiettivi al fine di prevenire tutti i drammi subìti da tanti innocenti e da tante famiglie e, solo in quest'ottica bisognerà valutare la possibilità di recupero del colpevole. Ma il perdono, come anche la carità, è un fatto intimo, personale, che non richiede né ricerca né clamore.
Peraltro può avere una validità esemplare per i giovani nell'approfondimento del significato del sacrificio e per non assumere atteggiamenti di vendetta. Se lo Stato vorrà intraprendere iniziative «perdonistiche», faccia pure, ma si tenga presente che le vittime esistono e non vogliono essere coinvolte!
La mattina del 22 giugno 1977 Giancarlo Niccolai, dirigente della DC Pistoiese, animatore dei GIP in Toscana, viene «gambizzato» da un commando di Prima Linea, mentre, come ogni giorno, si reca al lavoro alla Breda Costruzioni Ferroviarie.
Giancarlo Niccolai, che porta ancora su di sé i segni della violenza subito e che adesso siede sui banchi del Consiglio regionale della Toscana, ha perdonato i suoi attentatori.
Perché l'ha fatto?
Credo sia doveroso per chiunque si sia fatto carico di testimoniare vivamente la propria fede, ispirarsi ai valori dell'insegnamento cristiano; per questo, e in assoluta coscienza, ho perdonato i miei attentatori.
Ha mai incontrato i terroristi che le hanno sparato?
No, anche se è mio desiderio incontrarmi con loro.
In queste settimane si è parlato di possibili provvedimenti di clemenza in favore dei terroristi. Cosa ne pensa?
Credo si debba tenere distinto il perdono personale, che, come ripeto, ritengo doveroso per un cristiano, dalla mera abdicazione dello Stato alla sua funzione di garante del rispetto delle regole della libera convivenza democratica. I reati compiuti, spesso con efferata ferocia, non possono essere cancellati e questo, innanzitutto, per doveroso rispetto delle vittime e delle loro famiglie.
Vi è, poi, il rischio di legittimare politicamente gli anni bui della violenza e coloro che ne furono protagonisti; per un Paese che ha durante pagato il suo sforzo per la difesa delle istituzioni democratiche questo è il pericolo che, comunque, deve essere evitato.













