Dibattito sul post-terrorismo

Dall'altra parte della barricata

Nuova Politica - Dall'altra parte della barricata pagina 18
Nel dibattito aperto dalla lettera di Barbone e Ferrandi, si aggiunge la testimonianza di un esponente della DC di Bari, della stessa generazione di tanti brigatisti

Ho trent'anni, appena qualcuno di più della vostra generazione di nuovi giovani dc. Ho gli stessi anni di molta, troppa gente che sta in galera per i fatti di terrorismo. Soprattutto, ho avuto giusto il tempo che è servito per respirare a pieni polmoni il piombo degli anni ‘70, da militante e dirigente che ha avuto la ventura si stare dall'altra parte della barricata, tra i democristiani.

La lettera di Barbone e Ferrandi, quindi, m'interpella, per molte ragioni, direttamente. L'averla pubblicata è già una risposta politica ad un gesto politico rilevante. Ma, perché non abbia anche oggi, anche fra noi, prevalenza la forza omologatrice e conformista di certo intellettualismo dominante, che già pretende di catalogare e chiudere nell'archivio del «pentitismo» e «perdonismo» (la voglia di rimozione di certa sinistra è tremenda), un desiderio che io giudico autentico, di confronto umano, prima che politico, dobbiamo tenere vivo questo filo.

Un filo che serva a darci elementi di conoscenza, se possibile di rispecchiamento comune nelle ragioni umane, e poi motivi di comprensione: abbiamo il dovere di capire.

E non solo perché è dal nostro essere cristiani che traiamo un effetto ed una sensibilità peculiare al nostro modo di essere in politica. Ma anche perché dobbiamo sapere come è potuto accadere quel che è accaduto. In questa ricerca, Mario e Marco, noi abbiamo ragioni comuni e discuterne serve.

Come dimenticare quegli anni cupi, in un liceo in «lotta contro la meritocrazia», dove addirittura la mia diversità politica (io democristiano) faceva da peso persino nei rapporti umani; le allucinanti assemblee: in votazione il diritto di parola per un «non comunista»; la grottesca teoria di scismi e nuove nascite per partenogenesi di gruppuscoli sempre più a sinistra (PC d'Iml, Circolo Lenin, UCI, che fine hanno fatto?); la violenza di una condotta arrogante e la violenza fisica: ricordo una giovane liberale, picchiato e gettato per le scale del liceo.

Ricordo i primi anni d'Università: i docenti, molti opportunisti, alcuni criminali, a soffiar benzina sul fuoco; le maggioranze, i fuori sede, quelli che studiavano sul serio: sempre sipenziosi; i patetismi di un'incontro con le masse operaie mai avvenuto: non serviva a salvare l'anima dei figli di papà scandire a squarciagola «operi - studenti, uniti nella lotta».

Certo, in quegli anni c'era confusione, ottundimento. Non si riusciva a scavare differenze: e la democrazia e la ragione stessa muoiono quando non sono capaci di differenze. I più si salvarono: i figli del papà che gioca a bridge col questore, fecero un viaggio intorno al mondo in attesa che sbollisse la temperatura; i furbi cambiarono casacca: da Mao a Berlinguer, a Craxi. Molti hanno fatto carriera; chi non trovò l'impego in banca o come funzionario di una cooperativa, chi non fu avvisato in tempo che la lotta era finita, continuò, come quel soldato giapponese, ad agirarsi nella foresta, fucile in pugno, a caccia di nemici. E forse non era in malafede. Tra questi ragazzi c'è gente come Ferrandi e Barbone. Ritornare dal niente, svegliarsi e ritrovarsi in galera: è tremendo! Come cristiano credo alla funzione retributiva della pena: è un fatto di rispetto della dignità umana; se considerassi il colpevole alla stregua del malato e la pena una misura sanitaria della società contro si esso, non rispetterei nell'uomo la sua capacità di determinarsi, di volere, e quindi di volere il male.

Per questo, perché rispetto Barbone e Ferrandi, comprendo quanto doloroso possa essere per loro questo risveglio: in noi c'è l'orrore per i delitti e la pietà umana per le vittime. In loro c'è rimorso, lancinante, inesauribile rimorso. A noi non è data facoltà di assolvere, ma Ferrandi e Barbone meritano il nostro rispetto. E il nostro rispetto può essere un segno: quello di una nuova stagione in cui trovi spazio finalmente il timbro della considerazione umana. E chiuda definitivamente, nell'unico modo possibile, i suoi conti con il passato.

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