I Giovani dc rispondono a Barbone e Ferrandi
«In un clima politico avvelenato dalle polemiche e sotteso a meschine logiche di potere, quale quello che sta vivendo il nostro Paese diventa difficile una seria riflessione sugli anni di piombo, sulle loro origini, sui loro tragici sviluppi.
Si corre, infatti, il rischio di essere fraintesi, di sfiorare il protagonismo, di apparire cinici strumentalizzatori di drammi e di colori che, pur appartenendoci come collettività nazionale investono la sfera di un ricercato e geloso riserbo privato.
Ma, allo stesso tempo, ci si impone il dovere di non lasciare cadere nel vuoto e nella indifferenza la domanda di dialogo, prima ancora che di perdono, che molti giovani ex-terroristi ci hanno rivolto.
È un dovere cristiano ed umano che travalica le limitate logiche del codice penale e che ci apre, invece, allo sconfinato mistero dell'uomo, al dramma del suo stesso male ed alla grandezza del suo ravvedimento.
Ma è anche un dovere politico che si impone a noi giovani «del Partito che ha subito le maggiori offese», a noi giovani che, pur provenendo da realtà similari, pur vivendo le contraddizioni dei tempi in cui, come i giovani terroristi, anche noi siamo cresciuti, abbiamo continuato a credere in questo Stato, in questo sistema democratico così imperfetto ma allo stesso tempo, nel suo perfettibile divenire, così ricco di prospettive per un impegno serio e coscienzioso. Oggi che la logica perversa del terrore sembra essere venuta meno, molti di questi giovani, consci della sconfitta del loro progetto di morte, tornano a credere in questo Stato.
Sarebbe illogico, prima ancora che insensato, precludere loro questa possibilità. Ma l'accettazione presuppone la comprensione di quello che siamo stati, noi e loro, di quello che siamo e delle infinite possibilità di un comune sforzo per la costruzione di una migliore vivibilità.
Ed è all'uomo, alla sua straordinaria capacità di aprirsi agli altri, di emendarsi e di emendare che noi dobbiamo guardare, che noi dobbiamo rapportarci. Ma se la coscienza cristiana chiede a questi giovani conto del loro futuro e del loro possibile ed augurabile reinserimento, un giudizio politico, serio e pacato, non può non affondare le sue radici in quegli anni, nella perversa «mitologia della disperazione», nel subdolo permissivismo, nella cultura «del tutto e subito», nei prezzolati maestri e nei loro garanti politici.
Tutto questo si impone non solo per il rispetto delle vittime, alle quali sempre va la riconoscenza della loro testimonianza e del loro sacrificio, ma soprattutto perché, al di là di facili ed effimere mode, di affascinanti tigri da cavalcare con spregiudicato cinismo, ci è richiesto lo sforzo di capire affinché gli errori e le tragedie di quella stagione non siano ripetuti, affinché l'albero della libertà e della democrazia non viva più del sangue degli innocenti».















