La stagione della democrazia
Tancredo Neves avrebbe dovuto ricevere i poteri il 15 marzo. Due mesi prima, il 15 gennaio 1985, era stato eletto presidente del Brasile, dopo un ventennio di governi militari. L'elezione, di secondo grado, era stata preceduta da una massiccia campagna dei partiti d'opposizione che chiedevano una consultazione di primo grado a suffragio universale, e Neves era fra i più accesi sostenitori di questa tesi. Ma i militari, prudenti demiurghi del processo di transizione, volevano evitare «aperture» radicali. Era già pronto il loro candidato, il discusso e spregiudicato Pedro Maluf. Contro di lui Neves, appoggiato da tutte le forze di opposizione ed anche da settori del partito vicino ai militari, il PDS, ottenne già al primo scrutinio la maggioranza assoluta. I 686 delegati dei collegi elettorali avevano scelto dunque la continuità con l'ultimo governo democratico, guidato proprio da Neves sotto la presidenza illuminata di Joao Gaolart, e deposto dal golpe del '64.
Ma la festa popolare è divenuta subito dramma. Dopo oltre un mese di sofferenza e agonia, il 21 aprile, Neves è morto senza aver ricevuto ufficialmente la carica, tra le scene di disperazi ne della gente che considerava ormai un mito questo anziano uomo politico. Non per niente molti giornali lo hanno· paragonato a Mosé, morto alle soglie della Terra Promessa.
Paese contraddittorio, già strutturalmente e geograficamente, il Brasile vive ora un difficile momento di transizione politica, complicato dalla situazione economica e monetaria. Anche in questo campo il Brasile riesce a stupire per il contrasto fra aspetti positivi e negativi: un debito impressionante contratto con il Fondo Monetario Internazionale (cento miliardi di dollari), un'inflazione che galoppa oltre il 200%, e, nonostante questo, un'economia sviluppata, capace di competere sui mercati mondiali non solo grazie ai prodotti tradizionali, ma ai manufatti, e addirittura all'informatica.
All'interno però gli squilibri rimangono gravissimi: la ricchezza è concentrata in poche mani, un cittadino su cinque è analfabeta, la disoccupazione è al 40%, i redditi sono da fame. Il problema più grave è la sottoalimentazione: si calcola che 70 milioni (su un totale di 130 milioni) non mangino abbastanza, e un terzo di questi sono bambini. Delinquenza, sovraffollamento, mancanza di lavoro: questo il cocktail esplosivo delle grandi città della costa centromeridionale, dove vive la maggior parte della popolazione; altrove c'è solo povertà. Le migrazioni interne sono un disperato tentativo di sfuggire alla miseria: gli insediamenti nella regione amazzonica sono aumentati, con gravi conseguenze anche sul piano biologico, per il miraggio di una nuova corsa all'oro (oltre 40 tonnellate del prezioso metallo prodotte nell'84).
L'eredità dei governi militari è senza dubbio pesante: il mito del Brasile moderno e tecnologico, della sua avveniristica capitale, deve fare i conti con una situazione sociale difficile e arcaica, dove non si sa quanto il mondo feudale di certe novelas appartenga al passato, e quanto gli interni borghesi di altre novelas siano aderenti alla realtà, in un quadro di proletarizzazione di massa. Deve fare i conti con un debito verso l'estero che è diventato ormai la metà del prodotto nazionale lordo, e con un mercato internazionale che non sarà sempre ricettivo come lo è stato nell'84 (quando le esportazioni sono aumentate del 20%, soprattutto verso gli Usa).
Il Brasile avrebbe avuto bisogno di un mito come Neves nel momento del ritorno alla democrazia, anche perché egli rappresentava il punto d'incontro di interessi contrastanti. Non così il suo successore Sarney, l'ex vicepresidente, per lungo tempo uomo del PDS (il partito più legato ai militari), prima di consentire, con il passaggio del suo gruppo da uno schieramento all'altro, l'elezione di Neves. Sarney resta però un estraneo nella coalizione del PMDB, che raggruppa i partiti di massa e le tradizionali forze di opposizione, e che già avrebbe avuto dei problemi con Neves ad essere maggioranza reale sul piano politico. La difficoltà principale è quella di far riprendere alla gente la fiducia nel confronto democratico, al di là degli entusiasmi passeggeri. Le coraggiose battaglie dei lavoratori, della Chiesa, dell'associazionismo cattolico, hanno costituito un'importante testimonianza durante i venti anni di dittatura.
Non è facile tuttavia dare corpo politico a una protesta spesso umorale e disillusa, sensibile al populismo riformista di figure emergenti come Leonel Brizola, governatore di Rio e già da ora considerato il favorito delle prossime elezioni (a meno che, osservano i maligni, non sia candidato un campione del calcio). Né è chiara la posizione dei militari, artefici essi stessi di questo processo di democratizzazione, ma ostili a svolte troppo decise. E al posto di Figueiredo potrebbero emergere personaggi più duri.
Per adesso Josè Sarney ha promesso di attuare il programma di Neves (che in verità ancora non esisteva). L'unica cosa promessa da Neves era l'elezione diretta del presidente della Repubblica entro il 1988. Siamo entrati dunque in un periodo decisivo per il consolidamento della democrazia in Brasile.
Le altre repubbliche presidenziali sudamericane
Colombia: presidente è Belisario Betancur Cuartas (conservatore), eletto nel I 982. L'anno prossimo sono previste nuove elezioni (come in tutte le altre repubbliche presidenziali dell'America Latina, il mandato non è rinnovabile). I due maggiori partiti sono il conservatore e il liberale.
Ecuador: presidente è Leon Fe:: bres Cordero, del Partito Sociale Cristiano, eletto nel gennaio I 984 su Rodrigo Borja, della Sinistra democratica.
Perù: presidente è Alan Garcia Perez, succeduto a Fernando Be- launde dopo la vittoria nelle ele- zioni di aprile. Perez, candidato dell'APRA, la coalizione di centrosinistra che ha la maggioranza j relativa in Parlamento, ed appog- giato dal Partito Cristiano Popolare, si è imposto nettamente sul candidato delle sinistre. il Sindaco di Lima, Alfonso Barrantes Lin- gan.
Argentina: presidente è Raul Alfonsin, radicale, eletto nell'ot- tobre del I 983, dopo la caduta della giunta militare del generale Galtieri, sgretolatasi dopo la guerra delle Falkland. È in corso un processo contro i militari per fare luce sulla terribile vicenda dei desaparecidos.
Venezuela: presidente è Jaime Lusinchi, eletto il 4 novembre 1983 con il 57 per cento dei voti. Resterà in carica cinque anni. I due principali partiti sono il socialdemocratico (AD), che ha la maggioranza assoluta in Parlamento, e il Partito Sociale cristiano (COPEI).
Bolivia: presidente è Hernàn Si/es Zuazo, fino dagli anni '50 (prima della lunga parentesi totalitaria) una delle figure politiche di spicco del Paese. Fra tutti gli Stati dell'A'merica Latina, la Bolivia ha forse la situazione economica più preoccupante. Grande importanza ha in Bolivia la confe derazione sindacale (COB), guidata da Juan Lechin, attualmente oppositore di Zuazo.
Uruguay: presidente è Julio Sanguinetti, eletto il 25 novembre 1984 ed entrato in carica il primo marzo di quest'anno. La situazione interna del Paese risente della pesante eredità della dittatura militare. Sanguinetti è il primo presidente democraticamente eletto dopo un lungo e combattuto periodo di transizione politica. Quattro sono i principali partiti: il Bianco, il Colorato, il Fronte ampio (sinistre) e l'Unione Civica (destra).
America del Sud
Fra i tanti luoghi comuni che circondano l'America meridionale, continente che si presta per le sue caratteristiche a grandi semplificazioni, sta perdendo le sue ragioni d'essere quello che vorrebbe il Sudamerica terra di dittature e di regimi militari. Uno sguardo d'insieme ci mostra invece un'importante processo di democratizzazione. Grazie ai recenti sviluppi della situazione in Uruguay e in Brasile, restano al potere solo due regimi decisamente totalitari: nel Cile di Pinochet e nel Paraguay di Stroessener. Il discorso sarebbe più complesso se dall'America meridionale passassimo all'America centrale, ma va detto che anche in questa travagliata regione emergono segnali positivi, a cominciare dal Salvador del democristiano Duarte, per proseguire con le discutibili ma non insignificanti elezioni tenute in Nicaragua e in Guatemala.
Tornando al Sudamerica, ci sono alcuni problemi comuni a tutte le giovani democrazie che si sono formate e si stanno formando in questi anni. Innanzi tutto la grave crisi economica che investe l'intero continente (la più acuta del tempo della Grande Depressione). La spirale
de/l'indebitamento è inarrestabile, così come l'inflazione. Caso limite è quello della Bolivia, dove l'inflazione è al I000 per cento e il Prodotto Nazionale Lordo è sceso del 6 per cento nel/'84. Ma tutti i Paesi, soprattutto quelli appena usciti da un periodo di dittatura (Uruguay, Brasile, Argentina), si devono misurare con una situazione allarmante. Fra l'altro questo è un serio pregiudizio per l'avvio di un sereno e costruttivo dibattito democratico: finché le condizioni generali restano di .assoluta emergenza i nuovi governi vivono in uno stato di estrema vulnerabilità. Inoltre il consenso popolare, dapprima totale ed entusiasta, non tarda ad affievolirsi quando i problemi del vivere quotidiano restano irrisolti e i nuovi governi mostrano come è logico incapacità e inefficienze struttura/i. Il passaggio dalla rifondazione alla semplice gestione è il momento più critico delle nuove democrazie.
Positivo sembra essere invece il grado di stabilità di queste nuove repubbliche. I militari o sono ormai relegati in ruoli di secondo piano, e non hanno la forza di tentare avventure golpiste, o cercano essi stessi di guidare il passaggio alla democra ia, consapevoli di non poter più governare senza il consenso popolare e delle forze politiche. Il fenomeno della guerriglia, caratteristico del Centro America, è ridotto al minimo nell'America meridionale, ed anche questo èun fattore di stabilità. Soloin Perù sono attive forme di erriglieri (i maoisti di Sendero Luminoso), ed in Colombia.
In ogni caso il problema principale, aggravato dalla fragilità economica, resta quello di riconquistare la fiducia nella libertà e nelle istituzioni democratiche. Il grande compito che attende le giovani democrazie sudamericane èquello di restituire dignità ai cittadini, calpestati in passato nei loro diritti, e di essere strumento di promozione umana e sociale in una terra di enormi squilibri.
F.S.





