Fatto il referendum trovato l'inganno
I1 risultato della consultazione referendaria ripropone ora un serio problema di analisi politica razionale dell'indicazione dell'opinione pubblica. Al di là di quesiti come quello per l'abolizione della Commissione inquirente, sul quale vi era un unanimismo abrogativo, le risposte date dal Paese sui referendum riguardanti l'energia nucleare vanno valutate con attenzione. Si è detto che tali quesiti non toccavano, e non toccano, il problema complessivo dell'utilizzo di questa fonte energetica, ma solo aspetti di riflesso. Da parte degli ambientalisti si è detto invece che il quesito era da interpretare in senso estensivo, visto che in passato un quesito più esplicito era stato respinto in sede di Corte Costituzionale. A margine, dobbiamo ammettere comunque che, soppressi gli aiuti agli Enti locali che accettano un insediamento, soppressa la facoltà di localizzare gli impianti nucleari anche senza il consenso degli Enti locali, tolta all'ENEL la partecipazione, ancorché sperimentale, in impianti all'estero, la già difficoltosa marcia del nostro Paese verso la costruzione di centrali nucleari, alla luce della storia, diviene quanto mai complessa. Come non pensare al ridimensionamento, diremmo strategico, a cui si giunti dal primo progetto Donat Cattin che prevedeva un numero di centrali pari percentualmente a quelle francesi oggi? E tutto senza una pronuncia referendaria così netta.
Tutto il dibattito, inoltre, ha risentito di stantii luoghi comuni, di impostazioni superate, di atteggiamenti fortemente ideologici che sono stati di pregiudizio per la comprensione del problema globale da parte dell'opinione pubblica. Si è assistito troppe volte ormai ad uno scontro dogmatico, perché tale era, tra le posizioni dei nuclearisti e quelle degli ambientalisti. È tempo allora di aprire un confronto razionale, come si diceva inizialmente. I nuclearisti devono rendersi conto che una strategia energetica fondata sul nucleare ha un impatto, in termini di rischio, assia profondo, che può rappresentare un costo sociale per la collettività. Gli ambientalisti, dal canto loro, devono essere consapevoli che una società energeticamente solida significa benessere, sviluppo; obiettivi, insomma, di interesse collettivo. Se esite da una parte e dall'altra un interesse comune allo sviluppo nel rispetto ambientale, il tema va analizzato senza posizioni aprioristiche. La tutela ambientale non è tanto un problema di risorse o di fonti energetiche, quanto un problema di organizzazione.
Si discute tanto oggi di valutazione di impatto ambientale. Questa procedura, introdotta per la prima volta negli Stati Uniti degli anni Settanta, poneva come requisito imprescindibile il diritto all'ambiente come diritto all'informazione, alla partecipazione, all'azione. Se vogliamo recepire nella sostanza la direttiva europea in materia, e più in generale l'intera filosofia che ne sta alla base non possiamo trascurare, oltre al rapporto tra ambiente e sviluppo, quello tra ambiente e democrazia. Questi referendum sono stati purtroppo sfruttati da alcuni partiti, in prima analisi quello socialista, sia prima che sopo la consultazione elettorale, con fini non propri. La DC ha avuto il coraggio, che le viene da una coerenza più volte dimostrata, di adeguarsi a delle indicazioni di voto che sarebbe stato spontaneo respingere per non apparire «accodati» al Comitato promotore. L'indicazione è venuta invece in piena coscienza, al di fuori di tali condizionamenti. Ora si tratta di compiere lo stesso passo. E di riflettere e analizzare le prospettive molteplici: la non costruzione di ulteriori centrali nucleari; lo smantellamento di quelle esistenti; la metanizzazione di quelle esistenti e future; la costruzione di piccoli impianti a turbogas; la costruzione di altre centrali nucleari; eccetera. Alcune di queste ipotesi sono poco proponibili, ad esempio le ultime due; altre possono essere complementari. Tuttavia, spetta al Parlamento interpretare normativamente le indicazioni di voto: l'Ente energetico nazionale attende ormai da molti mesi una indicazione sulla strada da intraprendere, che non necessariamente deve essere quella nucleare, ma che comunque dovrà essere una strada. Su questo non è possibile transigere. L'ENEL ha assicurato di poter garantire il fabbisogno energetico a patto che si indichi con chiarezza cosa deve fare (la garanzia non comprende però i costi di produzione, che varieranno secondo la fonte energetica dominante che scaturirà dal nuovo Piano energetico nazionale).
Cerchiamo allora una serenità mentale nell'affrontare questi temi, sui quali si giocherà molto del futuro del nostro Paese. Su queste scelte non si torna indietro; chi come la Francia ha scelto il nucleare non può cambiare, e così non possono e non potranno cambiare quelle nazioni europee che lo stanno rifiutando o prevedono una «denuclearizzazione» in tempi brevi.
Sentiamo spesso male di questa società del benessere per alcuni sui aspetti innegabilmente non positivi. Ma va da sé che un processo di così vasta portata non poteva svilupparsi senza alcuna conseguenza secondaria. Se vi è stata però una crescita tecnologica e scientifica, vi è stato anche uno sviluppo morale e politico. Ed è a quest'ultimo che si dovrà fare appello, in prima analisi, perché il progresso culturale sintetizzi anche un riscontro di un arricchimento democratico in cui la partecipazione dei cittadini, singoli e associati, in ordine al diritto all'ambiente rivesta un ruolo fondamentale. La divisione dell'uomo dalla natura è anche divisione dell'uomo da se stesso, ed è quindi necessario recuperare una dimensione di nuovo umanesimo, stabilire una gerarchia di valori diversa da quella del nostro secolo, troppo spesso ispirata a principi di sfruttamento della natura e delle risorse, in nome di un malinteso modello di sviluppo economico. La politica, come si diceva, ha le potenzialità per intervenire, se è vero che oggi provvedere all'ambiente significa fare politica, nel più pieno e complesso dei modi.


