Tam Tam della pace a Vienna
Se la storia di tanto in tanto ha le sue ironie, la diplomazia ne ha di continuo, specie se come teatro ha le sale ed i corridoi del l'Hofburg, la reggia di Vienna abitata di inverno dai membri della famiglia di Asburgo quando ancora sedevano sul trono che univa Impero d'Austra e Regno di Ungheria.
I «più importanti negoziati tra Est ed Ovest dalla fine della Seconda Guerra Mondiale» si stanno svolgendo nella città che vide la nascita, più di un secolo e mezzo fa, di quella frattura tra Occidente ed Oriente in Europa che in altre torme sopravvive sotto le sigle di NATO e Patto di Varsavia.
Prima uscita internazionale della nuova amministrazione americana, la Cfe («Conferenza sulle Forze Convenzionali in Europa») vede sedute attorno allo stesso tavolo 36 nazioni diverse: tutte quelle europee ad eccezione della sola Albania, più gli Stati Uniti. Mai come ora le due superpotenze sembrano ansiose di giungere ad un accordo. Il clima di apertura tra i due blocchi del resto quest'anno ha permesso, proprio a Vienna, un altro grande successo della distensione: la firma del protocollo finale della Csce, la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa avviata nel momento più buio dei rapporti Est-Ovest (i Sovietici si erano appena ritirati dalle trattative di Ginevra sugli Euromissili) e conclusasi con un documento considerato da tutti una pietra miliare per il rispetto dei diritti dell'uomo, soprattutto dall'altra parte della Cortina di Ferro.
La stessa Cortina di Ferro, ha ammesso il ministro degli esteri sovietico Eduard Shevardnadze a metà gennaio, ha tutti i gangli arrugginiti, segno che potrebbe crollare da un momento all'altro come il Campanile di San Marco nel 1902. Ma quando un giornalista gli ha chiesto se per caso anche il Muro di Berlino è destinato ad essere abbattuto, come aveva auspicato anche Reagan nel 1986, lui ha perso la calma: L'Unione Sovietica non si impiccia degli affari interni della Repubblica democratica tedesca, ha risposto.
La Cfe rappresenta per molti versi una assoluta novità. Se l'accordo sugli Euromissili firmato nel dicembre del 1987 e ratificato nel maggio successivo da Usa ed Urss è stato il primo patto tra i due blocchi ad eliminare una intera categoria di armi già dislocate o in via di dispiegamento, un trattato per la riduzione delle armi convenzionali sarebbe il primo ad incidere sulla vita di tutti i giorni di milioni di europei. Soprattutto all'Est, dove meno forze convenzionali significa meno carriarmati, un mezzo che può essere utilizzato per fare la guerra alla nato, ma che finora è servito all'Urss a Berlino nel 1953, in Ungheria nel 1956, in Cecoslovacchia nel 1968, e che nel 1981 è stato visto per le strade di Varsavia.
La Nato propone di ridurre il numero dei carriarmati a 20.000 per parte, vale a dire al numero di mezzi attualmente a disposizione delle proprie truppe. Contemporaneamente le due alleanze dovranno avere nei propri arsenali non più di 16.500 pezzi di artiglieria ciascuna e 28.000 mezzi per il trasporto truppe. Inoltre non potrà essere permesso a nessuno di mettere in campo più del 30 percento delle proprie forze armate complessive. Nella regione che va dall'Olanda alla Cecoslovacchia, il
teatro più probabile di uno scontro convenzionale, non sarà possibile mantenere più di un certo quantitativo di armamenti. Gorbaciov rilancia con un piano meno dettagliato ma all'apparenza di più ampia portata. Il Cremlino vuole la riduzione degli arsenali convenzionali ad un livello ancora più basso di quello della Nato (non più di 14.000 carriarmati, 12.300 pezzi di artiglieria e 3.600 mezzi di trasporto truppe per parte). In più lungo il confine geografico delle due alleanze dovrebbe essere creata una zona denuclearizzata, in attesa di ridurre le rimanente forze convenzionali di un altro 25 percento. Infine le forze scampate a questo Armgeddon delle armi convenzionali dovrebbero essere riconvertite in armi «a carattere strettamente difensivo».
Accordo totale tra i due blocchi su tre punti:
- è il Patto di Varsavia che, avendo a disposizione il maggior numero di armi, deve accettare il maggior numero di riduzioni;
- queste devono essere sottoposte ad un rigido sistema di controllo e di monitoraggio;
- le forze convenzionali devono essere ridotte, a seconda del tipo, tra il 5 ed il 15 percento.
Disaccordo invece sulla necessità o meno di trattare il ritiro anche dei mezzi aerei tattici (Mosca è a favore, Washington no); sulla necessità di avviare trattative parallele per l'eliminazione delle armi atomiche a breve gittata, escluse dall'accordo lnf e praticamente uniche forze nucleari a restare in Europa (anche qui l'Urss è a favore e gli Usa no); sull'inclusione nelle trattative Cfe anche delle forze navali, escluse di comune accordo prima dell'inizio della conferenza di Vienna, ma che ora l'Urss vuole che siano conteggiate insieme alle forze di terra.
Il difficile, per la Cfe, sta nei dettagli. Questi sono al momento in secondo piano rispetto alla buona volontà manifestata da Baker e Shevardnadze. Ma a seconda dei particolari l'accordo finale ci dirà se l'Europa sarà un continente neutralizzato o meno, e soprattutto se sarà realmente più sicuro oppure no: la sua completa denuclearizzazione farebbe dipendere le difese nucleari dei paesi Nato dai missili intercontinentali su suolo americano (in caso di crisi sarebbe pertanto molto sminuita la possibile deterrenza occidentale). La riduzione delle forze navali, dove la nato è in vantaggio, accentuerebbe la distanza tra le due rive dell'Atlantico. Allontanare gli aerei dal Centroeuropa vorrebbe dire per l'Unione Sovietica portare i propri a ridosso degli Urali; per gli Stati Uniti spostare quelli Nato sulle spiagge del Massachusetts, lasciando l'Europa completamente sguarnita.
Tra il Congresso di Vienna ed il 1945, quando le guerre si combattevano con le armi convenzionali, la maniera migliore per scoraggiare un possibile nemico era mobilitargli le truppe alla frontiera. Ora che l'Europa vede allontanarsi il pericolo di una guerra nucleare, il superamento dei blocchi difficilmente passerà per la denuclearizzazione totale del territorio tedesco.
Vienna, come già Ginevra, ha suscitato molti entusiasmi. Si parla di Europa senza frontiere, di superamento dei blocchi. Il paese più all'avanguardia nel campo è l'Ungheria, dove il presidente del parlamento ha indicato la neutralità tra Est ed Ovest sul modello austriaco. È quello che lmre Nagy ebbe il torto di auspicare nel 1956. Oggi a Budapest si manda in soffitta la Dottrina Brezhnev sulla «sovranità limitata» dei paesi del socialismo reale. Al Cremlino a riguardo si tace. Occorrerà aspettare una terza distensione per sentir dire da Eduard Shevardnadze che il Muro di Berlino ha le fondamenta che stanno marcendo?

















































