La pace come filo conduttore di otto giorni di discussioni e meditazioni: sulla Achille Lauro i giovani democristiani si confrontano sul tema più affrontato e meno risolto da quando l'uomo ha cominciato a pensare.
Tutti vogliono la pace, nessuno è mai riuscito a vederla concretizzarsi del tutto. Ne verrebbe da concludere che più che un progetto politico morale e religioso, la pace sia la quint'essenza dell'immaginario politico della comunità umana.
Di fatto la pace è ben diversa da quello che finora è stato proposto e realizzato. Non è quella degli eserciti, dove si fa un deserto di quello che prima era una società e poi lo si chiama pace. Non è quella fatta a tavolino dagli esperti e dai diplomatici, i cui trattati sanciscono divisioni di nazioni e continenti creando situazioni innaturali destinate o ad essere rovesciate violentemente o a restare come mausolei dell'oppressione dell'uomo sull'uomo.
La pace non è una condizione naturale, è frutto della parte migliore dell'uomo: la sua razionalità e la sua volontà. Non può essere costruita con i sistemi di Rambo, non può essere costruita con il dialogo fine a se stesso quando una delle due parti ha dalla propria un'ideologia che ne fa strumento di una ineluttabile espansione mondiale e di un ordine che si vuole perfetto ma che all'atto pratico si rileva estremamente illiberale.
Chamberlain tornò dalla Conferenza di Monaco del 1938 sicuro di avere salvato una volta di più la pace in Europa. Si sbagliava.
La pace è per gli uomini che la vogliono fortemente. Soprattutto ora, che la guerra non si propone più come un'alternativa razionale (come «una continuazione della politica con altri mezzi», secondo l'adagio di un libro che tutti citano e che nessuno ha letto) e che l'umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all'umanità.
«Io ho un sogno», disse una volta un grande americano. Il suo sogno era che un giorno sulle rosse colline della Georgia i suoi figli potessero darsi la mano e giocare insieme ai figli dei bianchi come fratelli.
Il nostro sogno – e queste parole potranno forse dare scandalo, dopo che nella sinagoga di Istanbul ventuno persone che stavano pregando nel giorno sacro della loro religione sono state fatte a pezzi da una valanga di proiettili e di bombe a mano, dopo che i loro corpi sono stati cosparsi di kerosene e dati alle fiamme, dopo che da altre parti nel mondo uomini che hanno perso il senso del rispetto della vita avranno riso e battuto le mani per una cosa del genere – il nostro sogno è che i figli degli arabi, i figli dei palestinesi ed i figli degli ebrei e degli israeliani si possano dare la mano «e sedersi al grande tavolo della fratellanza». E che «le strade siano piene di ragazzi e ragazze che si divertono».

















































