Per riuscire a vederlo dal vivo domenica 21 settembre, a La Spezia, sarebbe stato necessario possedere il raro dono dell'ubiquità: l'Achille Lauro, infatti, in quel momento era ancora alla fonda del porto di Genova.
Antonello Venditti, espressione più verace della romanità musicale, non si è comunque voluto negare al pubblico di GIO'2: all'incontro su "Musica linguaggio di pace'' è arrivato a bordo di una "Croma" (targata... Milano) ed ha fatto da protagonista.
Al tavolo della sala ristorante lo abbiamo "bloccato" mentre col cucchiaino in mano si apprestava ad abbordare il dolce.
Come tu stesso hai avuto modo di dire, stai vivendo gli anni ruggenti della tua carriera musicale. Cosa deve fare un cantautore per rimanere tanto tempo sulla cresta dell'onda?
L'importante è essere e rimanere molto professionale, imparando il proprio lavoro, cercando sempre nuovi mezzi di espressione per tradurre le idee in un linguaggio attuale.
Nell'evolversi della mia carriera sono diventato ogni giorno di più musicista, cercando personalmente collaboratori e strumenti musicali nuovi. La vera natura della canzone resta sempre il testo ma la modernità non può che venire dalla musica.
Ma non ti pare che in questo ragionamento ci sia un vizio di fondo, che è poi l'errore che i discografici stanno ripetendo dai tempi di Parco Lambro in poi: quello, cioè, di non investire sulle nuove proposte?
Il fatturato lordo delle industrie discografiche è oggi pari a quello di una media industria tessile. Negli anni '60 si era incamerato molto denaro dalle vendite di Morandi, della Pavone ecc.: le industrie discografiche si potevano allora permettere di investire sulle nuove leve. Oggi queste industrie sono tutte in perdita e non hanno margine di investimento: per questo continuano a spendere su cavalli ritenuti vincenti, che poi alla fine non vincono mai. Non resta allora che ridurre i costi ed avere molto coraggio.
È questo il consiglio che dai anche ai nuovi gruppi che vogliono emergere?
Sì, l'importante è insistere sulla base di un supporto di pubblico che, seppur piccolo, è importante che sia reale. Io, come anche De Gregori, vengo dal Folk Studio. A quel tempo non pensavo di fare dischi ma avevo un pubblico che mi seguiva con affetto e convinzione. Oggi c'è in Italia la brutta abitudine di cominciare dal disco per arrivare alla gente: non sarebbe cattiva cosa ripristinare la buona consuetudine di partire dalla gente per arrivare al disco.
Oggi il mercato italiano è diviso a metà fra ''vecchie volpi" e "giovani colombe''. Cosa c'è di buono fra queste ultime forze emergenti?
Le nuove leve hanno bisogno di tempo per maturare. Il confronto, in termini di contenuti, tra "noi" e "gli altri" non è ancora oggi proponibile. L'importante è invece che si riconosca il talento delle persone e si dia loro il tempo per crescere e migliorare senza dover fare la fame.
E se domani tuo figlio, entrando in un negozio di dischi, avendo davanti un tuo album e uno di Luis Miguel, dovesse scegliere quello di Miguel?
Mah, spero che quando arriverà a dover fare di queste scelte, mio figlio sarà... sano. Tra l'altro i ragazzini sono sempre più sensibili e molto meno manipolabili dei più grandi: hanno anche un orecchio musicale molto più puro degli altri. Mio figlio, più cresce e più ha un suo gusto: per questo non credo che sceglierebbe Luis Miguel!.
a cura di Lou Grant










