Dopo Bob Geldof una traccia che porta a «Sun City»
La televisione è un semplice mezzo di comunicazione di massa.
Ma grazie ad essa possono essere smosse milioni di persone. Anche la musica serve per comunicare. La scoperta che ha fatto Bob Geldof, un batterista irlandese che sembrava fino all'altr'anno sulla via del tramonto, è che anche la musica può servire per un impegno civile. Quello, nel suo caso, della lotta alla fame nel mondo.
Il 15 luglio dello scorso anno pertanto ha fatto esibire le maggiori stelle della musica anglosassone in due concerti da una parte e dall'altra dell'Atlantico per la raccolta di fondi per la sua causa. Fu scritto allora che si trattò di una manifestazione artistica decisamente WASP: nonostante fosse l'Africa la destinataria dei fondi raccolti quella volta gli artisti negri
non ebbero quel ruolo da protagonisti che loro spettava. Ma, occorre dirlo, i Queen o Elvis Costello o Phil Collins non apparivano affatto fuori luogo (dato che l'intento era la raccolta di denaro ed allo scopo servivano benissimo).
Non è più l'epoca della canzone impegnata contro la guerra del Vietnam o di Woodstock. Questa resta l'epoca della discumusic, genere di per sé disimpegnato. La nuova formula trovata da Geldof ha pertanto il merito di riuscire a conciliare un genere musicale ed un impegno sociale apparentemente contrastanti.
Fu un grande successo. Geldof, che da allora ha continuato nel suo impegno, fu proposto per il Premio Nobel per la pace. Non gli è stato assegnato, ma la Regina Elisabetta lo ho nominato cavaliere (baronetto no per motivi di protocollo). Da allora, ed è questa una delle più piacevoli sorprese degli ultimi tempi, la musica apparentemente più disimpegnata è divenuta una delle più diffuse forme di impegno civile e sociale.
I concerti del tipo «USA for Africa» si sono ripetuti in varie occasioni e con varie fortune. Ma quello che conta è che, come già per altre forme di arte, la musica sia divenuta mezzo per attirare l'attenzione sull'importanza di alcuni problemi. Con le dovute eccezioni, sembrava fino allo scorso anno che le canzoni dovessero continuare in eterno a dire che cuore fa rima con amore e con fiore. Ora l'impegno politico e sociale che prima coinvolgeva solo alcuni artisti ha sconfinato fino ad entrare nelle loro canzoni.
Ultimo esempio: «Sun City» la canzone che un gruppo di artisti ha lanciato per lottare contro l'apartheid. Non risolve da sola il problema, ma serve a sottolinearlo. Grazie anche ad essa un giorno in Sudafrica si potrà tornare a cantare «La città del sole».
«We're rockers and rappers unted and strong I We're here to talk about South Africa we don't like what's going on / lt's time for some justice it's time tor the truth / we realized there's only one thing we can do / I ain't gonna play Sun City/ rolocation to phoney homelands / separation of families I can't understand / 23 millions can't vote because they're black / we're stabbing our brothers and sisters in the back / I ain't gonna play Sun City. I ain't gonna play Sun City/ Our governement teli us we're doing all we can / Constructive Engagement is Ronald Reagan's pian / Meanwhile people are dying and giving up hope / the quiet diplomacy ain't nothig but a joke / I ain't gonna play sun city I Boputhuswana is far away I but we know it's in South Africa no matter waht they say You can't buy me I don't care waht you pay / Don't ask me Sun City / I ain't gonna play / I ain't gonna play Sun City.»












