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Europa '92: ecco cosa cambierà

Intervista a Giulio Andreotti, ministro degli esteri
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L'appuntamento europeo del '92 si avvicina. Ma cosa succederà concretamente dopo quella data? In che modo i cittadini avvertiranno la nuova realtà?

Ritiene che le imprese con i costi più alti, le strutture finanziarie più deboli, le banche più piccole, le aziende di servizi più arretrate, cercheranno di opporsi al completamento dell'unità economica dell'Europa? Quale sarà l'atteggiamento delle autorità politiche ed economiche italiane? E quale l'atteggiamento dei partiti?

Non penso che in Italia vi siano categorie o forze sociali che si oppongono apertamente all'unità economica dell'Europa. Sia l'industria che le forze del lavoro si sono espressi in questo senso senza riserve. Quanto alle forze politiche, i due rami del Parlamento votarono quasi all'unanimità per il cosiddetto «Trattato Spinelli». Semmai, si possono temere resistenze settoriali, da parte di gruppi o persone, o più semplicemente ritardi amministrativi e burocratici.

 

C'è chi pronostica la formulazione di uno schieramento di forze impegnate ad esigere nuove forme di protezionismo e di autarchia o rin; vii alla caduta delle frontiere. E presumibile che se queste forze frenanti prevalessero l'Europa finirebbe per venire gradualmente schiacciata dalle due super potenze economiche, Stati Uniti e Giappone?

Se un tale schieramento esistesse, esso avrebbe già avuto il tempo di organizzarsi. In realtà, le forze che in qualche maniera si rifanno al protezionismo sono sparse un po' dovunque, non solo nel settore privato, ma anche nelle burocrazie nazionali e locali. Non per questo bisogna naturalmente sottovalutarle. La posta in gioco è effettivamente che l'Europa mantenga il passo degli Usa e del Giappone nei decenni a venire.

 

Oltre alle categorie che rischiano di soccombere di fronte ai colossi economici e finanziari stranieri, chi soprattutto ha paura del traguardo del 1992?

L'abbattimento delle barriere nazionali è naturalmente più temuto da coloro che da tali barriere si sentono protetti. Non tanto perciò dai grandi gruppi industriali, che di fatto già agiscono in un contesto di mercato unico. Ma piuttosto dal settore dei servizi, come le banche e le assicurazioni, dove la protezione della concorrenza straniera è garantita dalle stesse norme vigenti. Oppure da settori particolari, come le costruzioni. Ma nel complesso sono ottimista. Anche nel 1975, quando si decise l'unione doganale, vi fu chi temette il disastro per la nostra bilancia commerciale. E quanto è accaduto dopo li ha completamente smentiti.

 

Può essere motivo di timore il fatto che nell'elenco delle 500 maggiori imprese non statunitensi figurano soltanto 9 società italiane, di cui 3 si qualificano come enti di stato?

La dimensione media delle imprese italiane è inferiore a quella dei nostri concorrenti. Questo è certamente uno svantaggio. Ma l'awio delle grandi concentrazioni non ha atteso il 1992: basta guardare le operazioni che i giornali settimanalmente riportano e che riguardano anche imprese non europee. Si tratta di un processo storicamente inevitabile, che la Cee non dovrebbe solo favorire, ma anche finalizzare all'interesse collettivo.

 

Qyali conseguenze avrà il fatto che l'Italia dovrà passare da un regime protezionistico in materia di movimenti di capitale ad uno assolutamente libero e per di più in un tempo molto breve? Non ne risentirà soprattutto la struttura dei tassi di interesse del debito pubblico?

Ne risentirà certamente, perché il privato avrà la scelta tra innumerevoli forme di investimento in Italia e all'estero, ed il nostro Tesoro ne subirà la concorrenza. Per questa ragione bisogna compiere il massimo sforzo per ridurre il disavanzo pubblico. Ma siamo coscienti che, in una prima fase, vi potranno essere dei problemi. Per questo abbiamo chiesto ai nostri rappresentanti l'inserimento di clausole di salvaguardia ed un rafforzamento della cooperazione monetaria europea.

 

Sarà vantaggiosa come si dice, per i consumatori del Mercato Unico europeo, la concorrenza spietata che si determinerà in tutti i settori commerciali? Se sì, con quali conseguenze? Aumenterà ancora di più il consumismo?

Nel campo dei beni di consumo, la concorrenza è già adesso, come Lei dice, «spietata». Basta guardare l'esposizione di un grande magazzino per rendersene conto. Dopo il 1992 il consumatore avrà il vantaggio di una riduzione dei prezzi. Ma non soltanto questo: la Comunità ha predisposto un vasto programma in favore dei consumatori, diretto dal Commissario Varfis. Esso prevede importanti progressi nel controllo della qualità e della sicurezza. Più complesso è il discorso riguardante i servizi (banche, assicurazioni, ecc.): in questo settore, noi riteniamo che il consumatore sia penalizzato da una concorrenza imperfetta. Egli dovrebbe quindi trarre vantaggio, in termini di efficienza, dall'apertura di sportelli di imprese straniere nel nostro Paese.

 

Piero Barucci, Presidente dell'Associazione Bancaria Italiana, qualche mese fa se ne uscì con una battuta allarmante: «per noi in Italia sarà un po' come per chi, abituato a nuotare nella vasca da bagno, si trovasse improwisamente in mezzo all'oceano». Quanti dei nostri 1.068 istituti di credito potranno nuotare nell'oceano?

Probabilmente anche nel settore bancario, dopo il 1992, si assisterà a quei fenomeni di concentrazione che sono già in corso in quello industriale. Ritengo comunque che le banche italiane potranno far fronte alla concorrenza europea in modo adeguato. Visto dal punto di vista del cittadino, il fenomeno comunque non sarà negativo. Il numero degli sportelli infatti potrebbe anche aumentare, e con esso il totale complessivo degli occupati.

 

li valore totale degli appalti pubblici in tutta la comunità è stimata a circa 60.000 miliardi di lire l'anno. Le imprese italiane potranno giocare solo in difesa, per cercare di accaparrarsi una fetta di questa somma, o qualcuna potrà insidiare la concorrenza oltre i nostri confini?

Non dimentichiamo che la concorrenza tra le ditte dei Dodici già esiste nei Paesi Terzi, e soprattutto in quelli in via di sviluppo. Basta guardare il livello dei contratti aggiudicati a imprese italiane per capire che noi non abbiamo bisogno di barriere protettive per farci valere. C'è, è vero, un certo numero di imprese che corifida interamente su gare locali. E necessario che essi si preparino in tempo ad un mercato di dimensioni europee. Ma la concorrenza in questo settore non verrà solo dalla Cee. Anche in sede Efta e Gatt ci si sta preparando a liberalizzare, anche se presumibilmente i tempi saranno abbastanza lunghi.

 

È d'accordo con il Vice Direttore Generale della Banca d'Italia, Padoa Schioppa, sencondo cui, senza ulteriori sviluppi dello Sme, «è possibile che l'Ecu scompaia», dato che «esso deriva parte della sua forza dall'aspettativa di un'integrazione in Europa»?

Padoa Schioppa mette in evidenza il fattore «psicologico e soggettivo» che sta dietro l'utilizzo di una valuta. Basti pensare al prolungato uso del dollaro, anche quando esso declina. Certamente, una vera moneta europea non si avrà senza un'Europa unita. Scomparsa dell'Ecu? Spero che ciò awenga solo per passare ad una nuova moneta comunitaria. Non vedo altre alternative, anche se alcuni pensano ad un uso del marco come moneta europea di riserva. Per il momento, comunque, lo Sme si consolida, anche senza eventi spettacolari; e l'impiego dell'Ecu è in costante aumento.

 

Quali difficoltà, soprattutto, incontrerà l'Ecu per assurgere a moneta vera della Comunità (sono state avanzate ampie proposte per l'istituzione di una Banca Centrale delle Banche Centrali)?

La prima difficoltà, come dicevo prima, è che l'Ecu è una moneta in termini di efficienza, dall'apertura di sportelli di imprese straniere nel nostro Paese.

 

Piero Barucci, Presidente dell'Associazione Bancaria Italiana, qualche mese fa se ne uscì con una battuta allarmante: «per noi in Italia sarà un po' come per chi, abituato a nuotare nella vasca da bagno, si trovasse improvvisamente in mezzo all'oceano». Quanti dei nostri 1.068 istituti di credito potranno nuotare nell'oceano?

Probabilmente anche nel settore bancario, dopo il 1992, si assisterà a quei fenomeni di concentrazione che sono già in corso in quello industriale. Ritengo comunque che le banche italiane potranno far fronte alla concorrenza europea in modo adeguato. Visto dal punto di vista del cittadino, il fenomeno comunque non sarà negativo. Il numero degli sportelli infatti potrebbe anche aumentare, e con esso il totale complessivo degli occupati.

 

Il valore totale degli appalti pubblici in tutta la comunità è stimata a circa 60.000 miliardi di lire l'anno. Le imprese italiane potranno giocare solo in difesa, per cercare di accaparrarsi una fetta di questa somma, o qualcuna potrà insidiare la concorrenza oltre i nostri confini?

Non dimentichiamo che la concorrenza tra le ditte dei Dodici già esiste nei Paesi Terzi, e soprattutto in quelli in via di sviluppo. Basta guardare il livello dei contratti aggiudicati a imprese italiane per capire che noi non abbiamo bisogno di barriere protettive per farci valere. C'è, è vero, un certo numero di imprese che corifida interamente su gare locali. E necessario che essi si preparino in tempo ad un mercato di dimensioni europee. Ma la concorrenza in questo settore non verrà solo dalla Cee. Anche in sede Efta e Gatt ci si sta preparando a liberalizzare, anche se presumibilmente i tempi saranno abbastanza lunghi.

 

È d'accordo con il Vice Direttore Generale della Banca d'Italia, Padoa Schiappa, sencondo cui, senza ulteriori sviluppi dello Sme, «è possibile che l'Ecu scompaia», dato che «esso deriva parte della sua forza dall'aspettativa di un'integrazione in Europa»?

Padoa Schioppa mette in evidenza il fattore «psicologico e soggettivo» che sta dietro l'utilizzo di una valuta. Basti pensare al prolungato uso del dollaro, anche quando esso declina. Certamente, una vera moneta europea non si avrà senza un'Europa unita. Scomparsa dell'Ecu? Spero che ciò avvenga solo per passare ad una nuova moneta comunitaria. Non vedo altre alternative, anche se alcuni pensano ad un uso del marco come moneta europea di riserva. Per il momento, comunque, lo Sme si consolida, anche senza eventi spettacolari; e l'impiego dell'Ecu è in costante aumento.

 

Quali difficoltà, soprattutto, incontrerà l'Ecu per assurgere a moneta vera della Comunità (sono state avanzate ampie proposte per l'istituzione di una Banca Centrale delle Banche Centrali)?

La prima difficoltà, come dicevo prima, è che l'Ecu è una moneta «artificiale», cui non corrisponde ancora un'entità politica sovrana. In questo senso, l'istituzione di una Banca Centrale Europea dovrebbe essere decisiva. Ci sono alcune proposte, sia da parte francese che tedesca, che stiamo valutando con estremo interesse. Un'altra difficoltà è quella psicologica, che dicevamo prima. Ed una terza è il mancato completamento dello Sme, che dovrebbe essere esteso a tutti i dodici Paesi della Cee.

 

Nel mondo del lavoro, considerata la particolare situazione italiana (disoccupazione, cassa integrazione, problemi per gli scioperi, scarsa specializzazione in molti settori, ecc.) dovremo attenderci più vantaggi o più svantaggi dopo il 31 dicembre 1992?

Se avessimo pensato che il mondo del lavoro avrebbe subito un danno dall'integrazione europea, probabilmente non avremmo mai firmato né i Trattati di Roma né l'Atto unico. Il nostro tasso di disoccupazione e il grado di specializzazione sono, nel centro-nord, paragonabili alla media comunitaria. Il nostro vero problema è costituito dai servizi pubblici e dal Sud. I primi, perché essi non trarranno alcun vantaggio dal 1992: non c'è concorrenza dell'amministrazione. Quando tutto il resto sarà liberalizzato, gli Stati con i servizi pubblici più efficienti avranno un vantaggio considerevole. Per quanto riguarda il Sud, effettivamente la disoccupazione e la sottoccupazione sono anormalmente elevati. Ne siamo coscienti, e per questo abbiamo ottenuto due importanti concessioni dalla Comunità. Da un lato, il raddoppio dei Fondi destinati alle regioni arretrate; dall'altro, l'autorizzazione a varare la nuova normativa per il Mezzogiorno, che andrà oltre la scadenza del Mercato Unico, poiché sarà estesa fino al 1994.

 

Ritiene che l'unità economica avvtera un processo destinato a sboccare nell'Unità politica del continente?

Non siamo ancora rassegnati al fatto che l'economia debba avere la priorità sull'unione politica. In ogni caso, che l'Atto Unico ed il Grande Mercato non siano che una tappa verso l'Unione Europa è affermato nel Preambolo. Certo, l'Unione Economica solleva meno obiezioni di principio. Ma, se ci sarà l'occasione, noi riproporremo il rilancio del processo di rafforzamento delle istituzioni comunitarie anche prima del 1992.

 

Gambiera il mestiere di Ministro degli Esteri?

Non molto. Attualmente, abbiamo rapporti diplomatici con più di cento Paesi che non fanno parte della Cee. L'unica competenza comunitaria, nei loro confronti, è quella in materia di negoziati commerciali. Per il resto, gli Stati restano ancora sovrani. l'Atto unico ha istituzionalizzato la «Cooperazione politica» fra i Dodici, che emettono spesso dichiarazioni comuni. Ma non vi saranno cambiamenti significativi prima dell'Unione Europa. Il Ministro degli Esteri degli Stati Uniti d'Europa non è per domani.

(da un'intervista a la Discussione)

Appuntamento con la storia
Renzo Lusetti
Atto unico ma non solo
Andrea de Guttry

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