Oggi tutti sono convinti che esista una emergenza ambientale. I disastri accumulatisi hanno via via costretto ad ammettere la realtà su cui poggia il nostro patrimonio naturalistico.
Molti aspetti della questione ambientale moderna sono aspetti formali e non sostanziali, di percezione e non di coscienza profonda. Le «biciclette ecologiche» con cui andare sulle Dolomiti non sono certo la sublimazione culturale del discorso ambientale. Lo sfruttamento turistico e commerciale di alcuni siti naturalisticamente interessanti non è certo un contributo alla loro salvaguardia, anzi spesso si rivela una condanna.
Il grande mercato dell'ecologia, in senso economico, che va attraversando orizzontalmente tutti i comparti, è davvero l'esclusivo indicatore di uno sviluppo della coscienza ambientale, o ravvisa più modestamente gli orientamenti della moda? La risposta va ricercata con ogni probabilità nella seconda ipotesi. Afferma Giuseppe De Rita, segretario del Censis: «In campo ambientale, a livello generale si può dire che si è passati, ormai, dalla fase della moda a quella del bisogno, nel senso di necessità ed esigenze concrete di intervento. Ma, detto questo, è innegabile che una moda dell'ambiente ci sia, con le sue conseguenti implicazioni economiche. L'ambiente va di moda perché ne parlano tutti, e si muovono tutti, soggetti pubblici e privati, verso quella direzione. Non a caso nelle nostre indagini e nei nostri sondaggi, quando chiedevano opinioni riguardo a questi temi, abbiamo dovuto fare la tara alle risposte avute, spesso entusiasticamente sospette. Tornando alle implicazioni economiche dell'ambiente, tre le prime si può citare proprio la moda, nel senso di abbigliamento, e l'esempio è tra i più facili e immediati. Dalle Timberland ai capi di abbligliamento da sopravvivenza, mi pare evidente che le spinte in questa direzione sono molto forti. E ancora, ci sono gli articoli sportivi, le linee alimentari nutrienti e naturali, la cosmesi e le cure di bellezza il cui messaggio pubblicitario si basa spesso sulla naturalità o, comunque, la vita all'aria aperta, determinati investimenti immobiliari in seconde case o in multiproprietà anch'essi basati sul ritorno alla natura, e infine anche la nascita e il diffondersi di una editoria basata proprio sulle tematiche ambientali.
Quando si parla di ambiente, quindi, non si può tralasciare l'aspetto legato alla moda o, appunto, all'onda emotiva, soprattutto quando si verificano calamità o catastrofi naturali. Ma, al di là degli aspetti emozionali, ci sono gruppi sociali più ricettivi e altri, invece, appena toccati da queste tematiche. Se dovessimo tracciare un identikit dei primi, diciamo i più filo-ambientalisti, così come emerge da molte nostre indagini, potremmo dire che si tratta di persone abbastanza giovani (entro i 35-40 anni), di alto livello di istruzione (diploma di scuola media superiore o laurea), di reddito medio e medio-alto, impiegati, professionisti, e abitanti nei centri di maggiori dimensioni del nostro Paese. Ma vi è anche un altro ragionamento da fare, che scaturisce dall'osservazione diretta dei fenomeni sociali in evoluzione nel Paese: molto spesso abbiamo verificato come timori e preoccupazioni espresse nei confronti dello stato di sah,1te dell'ambiente andavano in direzione non tanto dei grandi problemi globali (l'inquinamento dei mari, il dissesto idrogeologico e così via) ma di quelli specifici della micro-area in cui venivano gli intervistati, tanto da farci parlare di localismo ecologico. È insomma la pulizia del proprio quartiere, l'aria inquinata dalla fabbrica a poche centinaia di metri, la cattiva qualità dell'acqua che si beve, a preoccupare di più».
Come ha sostenuto il professor Antonio Moroni, presidente della Società Italiana di Ecologia, «per parlare di educazione ambientale bisogna rifarsi al concetto di ambiente: l'ambiente fino a quindici anni or sono non c'era nella coscienza delle persone, non era percepito come tale. Venivano percepiti gli ambienti, ma non l'ambiente in sè. Schematicamente, i danni sono divenuti più emergenti, hanno cominciato ad essere percepiti e i movimenti che hanno interpretato questi disastri li hanno interpretati come un dramma che cominciava ad apparire, interessando le popolazioni.
Il salto è avvenuto quando la comunità scientifica ha cominciato a studiare l'ecologia come scienza, disciplina scientifica, e quando le pubbliche amministrazioni (penso al Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, e al suo servizio), le Regioni, le Provincie, si sono assunti dei compiti. Su questo humus va effettùato il trasferimento delle conoscenze, che è avvenuto nella formazione.
L'educazione ambientale è il passaggio dall'aspetto dell'emozione a una presa di coscienza che l'ambiente è una realtà. La presa di coscienza è avvenuta a livello mondiale, più evidente nelle zone di alta industrializzazione, meno evidente nelle zone agricole.
Un altro aspetto importante del trasferimento è stato l'informazione. L'informazione per quanto riguarda le riviste ha cominciato a rispondere negli ultimi anni. Non è che ci sia da rallegrarsi per quanto tocca i mass media di altro genere: i mass media continuano a parlare di uomo come distruttore, come colui che inquina senza speranza.
Va evidenziato poi che opporre natura e cultura dell'uomo, qual è fatto ancora oggi nei mass media e perfino in qualche occasione nello stesso mondo della scuola, è atteggiamento culturalmente superficiale e socialmente dannoso. Ciò che, invece, deve essere messo in rilievo è l'ambivalenza che l'uomo dimostra nel gestire l'ambiente e le sue risorse.
Agendo sotto lo stimolo di concezioni sociali, economiche, politiche errate l'uomo può provocare danni incalcolabili al suo ambiente e alla società umana. Ma qui si evidenzia, con tutto il suo carico progettuale, l'obiettivo dell'educazione ambientale e, più a fondo, le necessità di sviluppare una nuova cultura per l'ambiente dell'uomo: un ambiente del quale ogni persona è, al contempo, padre e figlio. Si parla oggi di crisi ecologica, di questa difficoltà, cioè, di crescita del rapporto tra la società umana e il suo quadro di vita. Si tratta, dunque, della crisi di una cultura.
La giustificazione etica dell'atteggiamento dominatore dell'uomo sulla natura e della riduzione di essa a materia da ad6perare si rifà, almeno per quanto riguarda il mondo occidentale: al razionalismo greco (l'uomo misura di tutto); al pragmatismo e all'ingegneria romani; ad una non coerente traduzione culturale del messaggio biblico del rapporto natura-uomo; allo sviluppo del secolo XIII, che ha individuato il suo fondamento nel denaro e nel commercio; all'umanesimo rinascimentale; a correnti illuministiche e razionalistiche e alla loro sfiducia nell'uomo; a indirizzi sociali ed economici.
La soluzione della crisi ecologica, per quanto riguarda il comportamento di dominio-sfruttamento dell'uomo, passa attraverso l'acquisizione di un'etica della presenza, tendente al raggiungimento di un equilibrio culturale tra struttura, funzionamento e storia dell'ambiente da un lato e richiesta di risorse naturali e culturali da parte del- l'umanità».
L'uomo è potenzialmente e virtualmente educabile all'ambi nte, del quale egli stesso fa parte: l'uomo rispetta l'ambiente perché nell'ambiente guarda e vede se stesso. È impegno delle istituzioni come pure delle forze vive della società che in qualche modo sono state partecipi, ispiratrici, continuare con decisione il percorso evolutivo culturale che porti ad una consapevolezza solare e profonda della questione ambientale.
L'impegno per un ambiente integro di cui tutti possono godere è un impegno che la società deve assumere e fare proprio. Per l'uomo la scelta di un rapporto non conflittuale con l'ambiente lo rende parte armoniosa di quest'ultimo. L'uomo e l'ambiente, in funzioni del domani.





















