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Parchi e aree protette: la nostra Amazzonia

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Nuova Politica - Parchi e aree protette: la nostra Amazzonia

Come purtroppo noto, nel nostro Paese non esiste una normativa unica relativamente alle aree protette; ogni parco o riserva gode della propria legge istitutiva, senza alcuna regolamentazione generale.

Tuttavia, circa l'oggetto e le finalità di una legge in merito, vanno avanzate delle considerazioni preliminari. La Costituzione, nell'art. 9 si limita a richiamare il problema chiarendo che la Repubblica «...tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione...», un concetto assai meno articolato della «tutela dell'ambiente naturale», che non è legata necessariamente al punto di vista estetico-panoramico così come viene espresso nella famosa legge n. 1497, del 1939, «Protezione delle bellezze naturali».

È invece necessario collocare il discorso delle aree protette in un quadro più completo ed unitario, convincendosi che non è possibile difendere solo alcuni settori dell'ambiente naturale. Il sistema normativo, in sintesi, deve sempre aver presente il problema complessivo.

Nei confronti del discorso sul rapporto conservazione/sviluppo, va detto che solo in un periodo relativamente recente si è cominciato a guardare all'ambiente con una prospettiva nuova. Dall'idea di «bellezza naturale» e di «paesaggio» si è giunti a comprendere che la natura è anzitutto una «risorsa», un qualcosa, quindi, di cui l'uomo può fruire. La politica ambientale si è infatti evoluta sulla base di tre principali filoni; inizialmente il problema si inquadrava solo in funzione di una difesa della natura; poi, gradualmente, si passò a considerare la possibilità di gestire l'ambiente secondo precisi criteri di tutela; oggi la soluzione migliore appare quella di una tutela delle risorse naturali da operarsi con, e attraverso il concorso dell'uomo. È persino superfluo sottolineare come un parco naturale non costituisca un elemento di ritardo o di stasi circa le esigenze di crescita economica delle collettività locali; se organizzato secondo precisi principi, può venire visto come un'autentica «rendita». In prospettiva, le popolazioni residenti possono trarre sicuri vantaggi non solo di natura economica; anche il bene da proteggere, per la sua sopravvivenza finalizzata, richiede sovente la presenza dell'uomo. Si tratta certamente di un equilibrio diverso da caso a caso, e differentemente articolabile; comunque, in generale, la cosiddetta conservazione dinamica appare oggi come la linea ottimale. La convivenza tra l'uomo e la natura è oggettivamente una esigenza ineludibile. La crescita socioeconomica del parco deve perciò essere classificata tra gli obiettivi irrinunciabili, senza per questo venir meno alle necessità di un'effettiva tutela. Il cittadino, in definitiva, concorre alla protezione dell'ambiente esercitando il «diritto all'ambiente» con il «dovere» però di rispettare e salvaguardare le risorse naturali.

Quanto all'estensione delle aree protette, la grande varietà di circostanze geografiche, economiche ed ambientali (ricordiamo che il patrimonio naturale va visto come un luogo, di qualunque natura, proprietà o destinazione, che formi un ecosistema di considerevole valore ambientale, fisico, paesaggistico, geomorfologico, biologico, sia esso nel suolo o nelle acque, in superficie o in profondità) consiglia di lasciare un rilevante margine di valutazione all'autorità istitutiva. Per il problema della gestione, salvo i parchi regionali il cui organismo di gestione viene definito da legge regionale, si deve prevedere la costituzione di appositi enti. L'ente parco dovrà configurarsi come lo strumento di gestione delle indicazioni e delle direttive impartite dalla normativa. Non dunque un «super-ente», ma un ente-funzione o di settore, preordinato e delimitato nelle sue competenze e nel suo funzionamento dalle esigenze di tutela, e ovviamente impegnato anche nei problemi legato allo sviluppo organico dell'area interessata.

Un passo ormai indifferibile è l'istituzione di quell'organo di collegamento, promozione e programmazione da tanto auspicato. Tale organo può configurarsi nel Consiglio nazionale per le aree protette. In esso troverebbero adeguata rappresentanza gli esperti. I compiti possono vedersi, ad esempio, nella formazione del programma nazionale delle iniziative e degli interventi per le aree protette e da proteggere. Talora contestato, costituirebbe invece, finalmente, la soluzione concreta a molte sperequazioni, discriminazioni ed errori, verificabili con

procedure prive di una valutazione globale e complessiva del problema. Strumenti di gestione sono individuabili nel piano del parco, che rappresenta il cosiddetto piano regolatore generale; nel regolamento applicativo del piano del parco e, infine, nel piano di sviluppo, che inquadra attività economiche compatibili con la conservazione degli ambienti naturali.

Si dovrà dare maggiore articolazione, di quella solitamente adottata, al capitolo «finanziamento». Al sovvenzionamento del programma di sviluppo di un parco non deve, in effetti, essere tenuta solo l'autorità istitutiva del parco stesso. Al contrario, debbono concorrere tutti gli organismi che, in maniera diretta o indiretta, abbiano interesse al migliore funzionamento del parco, anche riguardo le istanze delle comunità locali. Sarà opportuno prevedere la priorità per i finanziamenti di Enti pubblici e privati, che operino all'interno del parco, per la realizzazione di opere compatibili con le finalità dell'area da tutelare.

Appare ovvia la conclusione che i principi normativi debbano porsi all'avanguardia nell'ambito delle moderne strategie di tutela dell'ambiente; debbano quindi vedere oltre la semplice disciplina dei parchi esi

stenti, fornendo strumenti adeguati per la costituzione di nuove aree protette e recependo le più recenti teorie in materia di politica ambientale.

In questa direzione il parlamento ha più volte fornito delle proposte utili e percorribili. Nella X legislatura il testo presentato dall'on. Gianluigi Ceruti, relatore l'on. Piero Angelini, ha avuto il merito di raccogliere le adesioni di un po' tutti i partiti dell'arco costituzionale. Si tratta di una proposta chiave per la politica ambientale del Paese, che oltre all'aspetto istitutivo stabilisce moderni criteri di gestione che permetterebbero all'Italia di entrare in Europa a pieno titolo.

In Italia esistono attualmente 5 parchi nazionali (Abruzzo, Calabria, Circeo, Gran Paradiso, Stelvio; complessivamente circa 270 mila ettari), 42 parchi regionali o naturali (circa 501 mila ettari), 256 riserve naturali (circa 144 mila ettari), 40 zone umide (49 mila ettari). Tenendo conto che il territorio nazionale ricopre oltre 301 mila Kmq, il totale delle aree protette rappresenta circa il 3,2%.

Ma se è vero che molti Paesi, anche del Terzo Mondo ci superano sensibilmente (si va dall'8% di territorio tutelato in Francia, Venezuela e ambia, al 17% di nazioni eone il Botswana; in Islanda la superficie protetta arriva al 9%, mentre in Inghilterra e Germania Federale si tutela circa il 21% dell'intero Paese), dobbiamo ammettere che i paragoni non tengono sempre presenti alcuni parametri fondamentali. La Svezia, ad esempio, protegge sì il 5% del proprio territorio, ma a fronte di una superfice di un terzo maggiore dell'Italia ha una popolazione di poco più di 8 milioni di abitanti. Assegnando senza ambiguità le competenze gestionali, e contemperando le esigenze delle collettività locali con gli interessi di tutela, potremo condurre il nostro Paese fuori dalla situazione di obiettivo ritardo in cui si trova nei confronti di quella risorsa, tra le più meritevoli di attenzioni e valorizzazione in una nazione civilmente e socialmente evoluta, che è l'ambiente naturale.

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