I1 problema dell'inquinamento delle acque esplode negli anni '70. Alla mancanza di una legislazione organica riguardante la materia suppliscono i cosiddetti «pretori d'assalto», ricorrendo alle poche ed eterogenee norme giuridiche esistenti: i responsabili dei noti scarichi di «fanghi rossi» di Scarlino vengono perseguiti, ad esempio, in base alla normativa sulla pesca marittima del 1965, per scarico nel mare di sostanze ad effetto inquinante, dannose per i pesci.
Nel 1976, divenuta notevole l'esigenza di una normativa che dettasse criteri generali ed organici per la tutela delle acque dall'inquinamento, vede la luce la famosa legge 319, meglio nota come «legge Merli». Oltre ai principi generali per l'utilizzazione e lo scarico delle acque, per la redazione di un piano generale nazionale di risanamento delle acque, si stabilivano precise scadenze temporali. Infatti entro tre anni le industrie avrebbero dovuto adeguare la tossicità e il grado di inquinamento degli scarichi ai limiti previsti dalle tabelle allegate alla normativa. Il 24 dicembre 1979 tuttavia nasce la «Merli bis», la quale proroga i tempi di adeguamento ed amplifica il potere, in materia di inquinamento, assegnato ai Comuni. Da una buona parte della sinistra tale principio viene caldeggiato, in virtù delle capacità politiche ed amministrative degli Enti locali: a questi ultimi la «Merli bis» concede in effetti cospicui finanziamenti che, nelle intenzioni, devono servire per la costruzione dei depuratori.
Ma il 5 marzo 1982 la «Merli ter» proroga i termini al 31 dicembre 1983. Nel frattempo, si fa notare presso diversi organi di ricerca e controllo, il livello di inquinamento ha in alcune zone raggiunto una quota di guardia. Ecco però che prima dell'ultima, fatidica scadenza viene varata la quarta proroga: il decreto legge 747/83 rimanda al 31 dicembre 1984 la data per adeguare gli scariche degli insediamenti produttivi industriali ai limiti stabiliti dalla tabella C della 319/76.
Parallelamente vengono diffusi anche i dati di una recente indagine dell'Istituto di Ricerca sulla Acque del Consiglio nazionale delle Ricerche: il 900Jo degli impianti di depurazione costruiti risulta inefficiente. Da un'inchiesta di un pretore del Lazio, inoltre, si viene a conoscenza del fatto che su 30 impianti, dislocati in 13 Comuni vicino Roma, solo uno è risultato funzionante: gli altri 29 depuratori rientrano, rispettivamente, nelle classifiche «inefficienti», «non funzionanti», «incompleti», «abbandonati».
Il nodo cruciale quindi non è la costruzione di impianti depurativi in sè, quanto piuttosto un'azione di controllo (i finanziamenti sono quasi sempre stati impiegati fino all'ultima lira). A poco servono soluzioni come le proroghe o le istituzioni di organismi particolari. Quando la nuova proroga si avvierà alla scadenza, i problemi saranno gli stessi degli anni passati. Basta dire che il non aver disposto, da parte delle Regioni, tutti i «piani di risanamento regionale» ha impedito la formulazione di un «piano nazionale delle acque»: entro il 1978, originariamente, Provincie e Regioni avrebbero dovuto predisporre un catasto degli scarichi e un censimento dei corpi idrici. Gli Enti locali, in sintesi, dovevano realizzare un quadro globale della situazione relativa all'inquinamento sul proprio territorio, con la finalità di avviare dei piani di risanamento su scala regionale.
Peraltro le legge 319 fissava delle norme tendenti alla parziale soluzione del problema di contaminazione delle acque, evitando la pretesa di un recupero totale dell'ambiente. Quest'ultima fase, ovviamente dopo aver portato a termine la prima, andava progettata ed avviata in un secondo tempo. Ma la mancata realizzazione dei principi proposti nel 1976 rimanda «sine die» il futuro del risanamento e della tutela ambientale.
Per gli operatori turistici dell'Emilia Romagna incombeva, nell'85, il rischio del divieto di balneazione. E intorno al decreto legge del governo che ha evitato il divieto si è creata subito una vivace polemica. In realtà, se da un lato il provvedimento tendeva ad abbassare i limiti previsti dalla Cee, dall'altro bisogna riconoscere che reali limiti riguardano non la percentuale di batteri bensì quella di ossigeno disciolto nell'acqua.
L'autorizzazione criticata come un privilegio alla Regione Emilia Romagna si risolve pertanto in una sorta di obbligo di rilevamento dello stato di eutrofizzazione, cioè, appunto, del rilevamento della percentuale di ossigeno. L'eutrofizzazione, come è noto, è in sostanza una «supernutrizione» delle acque che porta al proliferare, oltre misura, della vegetazione algale.
Il nostro sistema normativo, dal punto di vista della qualità delle acque di balneazione, è uno dei più avanzati nell'ambito europeo. Nel nostro Paese si è infatti fissato, dal '71, il limite di 100 colibatteri per millimetro quale soglia massima microbiologica per le acque ad uso di balneazione.
Secondo la CEE, il limite «invalicabile» è di 2.000 colibatteri per millimetro: quota che permetterebbe di classificare come purissime oltre il 90% delle nostre acque marine.
Tuttavia non vi sono, allo stato attuale, dati precisi ed organici: l'unica raccolta di indicazioni scientifiche e rigorose è quella dell'Istituto di Ricerca sulle Acque del Consiglio nazionale delle Ricerche, risalente al 1973. In tale pubblicazione, anche se con le dovute prese d'atto dei mutamenti, si può trovare una «zonizzazione» indicativa delle aree a rischio. Le fasce costiere più inquinate sono, comunque, sempre le stesse:: sul Tirreno, quelle prospicienti Roma e Napoli; sull'Adriatico, le zone di Venezia ed Ancona. I dati, come dicevano, non vanno in ogni caso confusi, Il fenomeno dell'eutrofizzazione (salvo i casi di alghe tossiche, che per fortuna non esistono nel Mediterraneo), magari causato da un eccesso di fertilizzanti chimici, non comporta il medesimo rischio delle acque inquinate, nei pressi di porti e fogne, da batteri fecali.
La carenza di informazioni scientifiche di una certa organicità va poi attribuita a diverse motivazioni strutturali. Anzitutto, a causa di complicazioni burocratiche, sovente nascono problemi sulla competenza dei prelievi: in seguito, Regioni e vari laboratori non trasmettono puntualmente i dati riscontrati, mentre il Ministero della Sanità, per mancanza di strutture o personale, non riesce talvolta a rispettare in pieno le scadenze fissate.
Vediamo il quadro normativo. Come si diceva, la prima legge in Italia che prende in esame l'acqua è del 76; è la legge 319.
Di recente è stata varata (nell'82) la 979, la legge per difesa del mare, che ha, per così dire, una funzione «integrativa» della precedente per quanto attiene alle acque marine: ha per oggetto «la protezione del- 1'ambiente marino e la prevenzione di effetti dannosi alle risorse del mare».
La legge Merli, invece, costituisce la «disciplina degli scarichi di qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti e indiretti, in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, sia pubbliche che private, nonchè in fognature, sul suolo e nel sottosuolo».
La legge dell'82 per la difesa del mare, per contro, non può dirsi del tutto inapplicata. L'Ispettorato per la difesa del mare, creato dalla legge, si propone come obiettivi strategici la stesura di un piano delle coste per la tutela dell'ambiente marino, l'allestimento di una rete di vigilanza, l'istituzione di numerose riserve marine, e via dicendo. La legge prevedeva per l'Ispettorato 400 dipendenti, ma le normative di compatibilità delle nuove assunzioni con la spesa pubblica hanno bloccato i concorsi: i dipendenti sono solo 12. Malgrado ciò, dall'inizio del 1984 opera la Consulta per la difesa del mare. E si è riùsciti a costruire le fondamenta per i traguardi prima accennati.
Ma alcune riserve marine, che potrebbero già esistere grazie ad un decreto del ministro, non riescono ad essere costituite per le opposizioni regionali, talora di Regioni autonome e quindi maggiormente «competenti» in materia.
Persino la Protezione Civile ha rivolto la propria attenzione al Mediterraneo, proponendo un'azione comune con altri Paesi per evitare i rischi di inquinamento «traumatico» dovuto a scarichi pericolosi.






















