Nuova Politica - Rambo risale la china? pagina 22
Nuova Politica - Rambo risale la china?
Nuova Politica - Rambo risale la china?
Dopo la pubblicazione del Rapporto Tower, Ronald Reagan riprende forza e cerca di riconquistare l'opinione pubblica e la stampa americana. Gli riuscirà?

Ronald Reagan nomina un nuovo direttore della Cia e neanche 24 ore dopo compare di fronte alla nazione per riassumere le proprie responsabilità nello scandalo dell'Irangate: l'opinione pubblica e la stampa statunitensi reagiscono positivamente ma fanno capire che si deve trattare solo dell'inizio di una campagna di pulizie a fondo, fino negli scantinati della Casa Bianca.

Una settimana dopo la pubblicazione del rapporto finale della Commissione Tower sull'affare della vendita sottobanco di armi all'Iran di Ruhollah Khomeini e della diversione dei fondi a favore dei contras del Nicaragua, l'Amministrazione Americana ha iniziato le grandi manovre per recuperare la fiducia del paese mettendo a capo dei servizi di informazione William Webster, 61 anni, da nove alla guida dell'FBI. «Non puzza di Irangate» è stato il primo commento della stampa americana, a cominciare dall'autorevole «Washington Post». «Reagan ha cominciato nel modo migliore» ha affermato immediatamente il senatore Edward Kennedy, normalmente uno dei critici più accaniti della presidenza repubblicana.

Poche ore dopo Reagan è apparso di fronte ai teleschermi di milioni di americani per ammettere grossomodo quanto scritto dai tre saggi della commissione Tower, e cioè di essere stato spinto da motivi umanitari (la necessità di liberare gli ostaggi americani in Libano) ma di avere sbagliato nel lasciare eccessivo spaz10 di manovra a personaggi che ne hanno carpito la buonafede.

«Ho sbagliato» ha ammesso esplicitamente, per aggiungere però subito che adesso l'importante è fare tesoro dell'esperienza e non ripetere le stesse leggerezze.

Gli americani sembrano avergli creduto, almeno stando ai primi sondaggi di opinione. Reagan, facendo proprie le conclusioni del Rapporto Tower, cerca di evitare che il «pasticcio iraniano», come lo chiama la stampa, si trasformi in un vero e proprio nuovo Watergate. La prospettiva al momento sembra abbastanza lontana, anche se occorre ancora attendere i risultati delle due inchieste avviate dal Congresso e della terza dal dipartimento della Giustizia. Stando così le cose, il Presidente è al massimo imputabile di alcune gravissime leggerezze che sono costate a Washington, per usare le stesse parole della Commissione Tower, «una delle peggiori brutte figure in politica estera della storia recente degli Stati Uniti». Ma i veri colpevoli, sempre nella versione della Commissione sposata da Reagan, sono altri: prima di tutti Donald Regan, capo di gabinetto della Casa Bianca fino a due giorni dopo la pubblicazione del Rapporto Tower, responsabile di avere creato una sorta di presidenza alternativa. Poi John Poindexter, che fino a dicembre ricopriva la carica di Consigliere per la Sicurezza nazionale. Insieme al colonnello Oliver North, anche lui dimessosi a dicembre dal NSC, avrebbe architettato il piano per la diversione dei fondi in direzione della giungla nicaraguense.

Da parte sua l'ex direttore della Cia William Casey avrebbe saputo delle manovre del consiglio per la Sicurezza Nazionale almeno un mese prima che lo scandalo venisse a galla, ma avrebbe taciuto per motivi di opportunità. Per opportunismo invece il segretario alla difesa Caspar Weinberger ed il segretario di Stato George Shultz avrebbero evitato di informare Reagan della vera destinazione dei soldi provenienti da Teheran.

Sul presidente pende ancora la minaccia delle memorie del computer del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, nel quale sarebbero contenuti anche alcuni documenti che il colonnello North aveva cercato di distruggere prima di dimettersi. Le analogie con le cassette su cui erano registrate le telefonate di Richard Nixon alla vigilia del Watergate sembrerebbero molte. Secondo gli osservatori però è difficile che dal computer del Consiglio esca la prova che Reagan effettivamente autorizzò nell'agosto del 1985 la vendita di armi all'Iran, violando l'embargo deciso dal suo predecessore all'indomani del rapimento a Teheran dei 55 americani dello staff della ambasciata USA in Iran.

Il caso contrario potrebbe apparire come un'ironia della storia: il Presidente giunto alla Casa Bianca per mostrare i muscoli dell'America là dove Carter aveva mostrato le sue debolezze rischierebbe l'impeachment per avere scelto la linea morbida dove Carter aveva preferito la dura.

Il Medioriente ed il Centramerica, i due problemi principali che Reagan ha ereditato dall'ultima amministrazione democratica rischiano di dimostrare alla lunga l'effettiva inconsistenza della azione del governo americano.

Con la tragica avventura del contingente americano nella forza multinazionale di pace in Libano nel 1983 e con la successiva vicenda degli ostaggi americani il problema libanese, nodo principale della più vasta crisi mediorientale, si è dimostrato un osso troppo duro anche per i falchi di Washington.

Poi il Nicaragua elemento destabilizzante degli equilibri centramericani: il regime sandinista sta vincendo almeno per il momento la sua battaglia per la sopravvivenza in un ambiente ostile.

Finora Washington ha scelto la soluzione apparentemente più semplice: quella dei contras. Non quella del rafforzamento dell'opposizione democratica al sandinismo.

Le soluzioni alla Rambo riescono solo al cinema.

L'uomo di marmo
Nicola Innocenti
Il bene non fa notizia ma c'è

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