Nuova Politica - Il leader perduto pagina 14
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A due mesi dall'assassinio di Martin Luther King gli Stati Uniti d'America, ma anche il resto del mondo, perdevano un altro leader politico amato ed ancora inesplorato nelle sue enormi possibilità: Robert Francis Kennedy. Lo ricordiamo in questo Dossier che dedichiamo ad una famiglia il cui nome è, ancora oggi, leggenda.

Cosa sarebbe accaduto se l'attentarore di Robert Kennedy avesse sparato a vuoto? La storia, è frase comune, non si fa con i se. Ma il caso di Bob Kennedy è diverso. La storia è piena di uomini che sono arrivati ad un passo dall'entrare nei manuali. Bob Kennedy è uno di loro: forse tra un secolo di lui non si parlerà più. I suoi contemporanei, invece, continueranno a lungo a chiedersi: cosa sarebbe accaduto nel 1968 con Robert Kennedy alla Casa Bianca? Solo il «se», in questo caso, può indicare le passioni di un decennio, gli anni '60, vissuto intensamente dagli americani e dagli occidentali, un periodo tragico ed esaltante seguito da una ventina di anni di crisi e mancanza di impegno sociale.

La prima risposta è facile. Con Kennedy alla Presidenza gli Stati Uniti si sarebero disimpegnati prima – e meglio – dalla guerra del Vietnam, avrebbero evitato lo scandalo del Watergate, sarebbero stati un interlocutore più deciso nei confronti dell'Unione Sovietica. Ma non solo: Robert Kennedy avrebbe completato il progetto della «Nuova Frontiera» lanciato dal fratello e ripreso da Lyndon Johnson con il nome di «Grande Società». In altre parole, avrebbe saputo incanalare le spinte dei settori più vivi della società americana verso un grande progetto nazionale che avrebbe reso il Presidente degli Stati Uniti il leader delle nazioni libere e forti.

Personalmente Kennedy era un romantico. Un romantico vestito da pragmatico, così come suo fratello era un pragmatico vestito da romantico. Dagli anni della gioventù passati in Gran Bretagna, dove il padre era ambasciatore del Presidente Roosevelt, aveva imparato ad apprezzare il bene della libertà, che i suoi connazionali hanno in misura talmente grande da non rendersi conto della sua importanza. Questo lo aveva portato ad essere il principale falco tra gli uomini dell'amministrazione americana dei primi anni '60, sia nel bene (come nel caso dei Missili a Cuba), sia nel male (come per la Baia dei Porci).

La sua era una fede cieca nelle possibilità dell'America e nella necessità di esportare ovunque possibile il modello americano di democrazia, come era già successo una ventina di anni prima con i paesi europei occidentali. I suoi discorsi dai toni poco sfumati e dalle parole molto forti, che sembravano sfidare la platea più che cercare di accattivarsene le simpatie, riflettevano una fretta come se il tempo per non mancare questa occasione storica stesse per finire.

Robert Kennedy aveva anche la vocazione del gregario. Terzo maschio tra i nove figli del Signor Joseph Kennedy, democratico di destra ed uomo d'affari dal passato chiacchierato, aveva rinunciato al ruolo di capo del clan già dalla prima infanzia. Il lavoro fatto prima della decisione di presentarsi candidato alla nomination democratica nel 1968 era stato utile ed oscuro. Non di rado aveva fatto il lavoro sporco per il fratello. Nel 1960 era stato lui a condurre le manovre di corridoio che fruttarono a John la candidatura democratica grazie all'alleanza con Johnson. Dopo le elezioni, tutta la famiglia Kennedy dovette insistere perché accettasse la carica di Ministro della Giustizia. Dopo la morte del fratello passò un lungo periodo di frustrazione, in cui sembrò incapace, o almeno contrario, ad assumersi con tutto il suo peso l'eredità della Nuova Frontiera. Ancora una volta furono i membri del clan, contando tra questi non solo i familiari, ma anche gli esponenti del mondo intellettuale ed imprenditoriale che ruotavano attorno alla casa della madre, ad imporgli di presentarsi.

Bob Kennedy infine era un generoso. Una volta accettato l'invito, impiegò per ottenere la nomination democratica la stessa forza, la stessa testardaggine e quel pizzico di intimidazione sfoderate alcuni anni prima con nemici e giornalisti per ottenere l'incriminazione dei sindacalisti legati a doppio filo alla mafia – e ancora – negli anni '50 durante il mccartismo. Ma aveva anche parecchio fascino, ed un humor rivolto soprattutto contro se stesso, due armi contro le quali i direttori dei giornali avevano poche probabilità di vittoria, e che gli servivano per far pesare ancora di più il proprio carisma ed il proprio nome. Alla vigilia delle primarie in California, il giornalista della «Washington Post» al seguito della sua campagna scrisse un articolo che gli piacque poco. La mattina dopo sua moglie Ethel, 11 figli e forza a sufficienza per seguire il marito in ogni angolo d'America, prese il giornale e lo sbatté leggermente sulla testa del colpevole. Sorridendo, ma a quel giornalista vennero ugualmente i brividi.

Una volta Theodor Sorensen scrisse di John Kennedy che non importa in fondo quanto egli abbia fatto concretamente, perché quello che importa è ciò che ha rappresentanto. John Kennedy infatti è stato il primo Presidente Cattolico degli Stati Uniti, il primo ad arrivare alla Casa Bianca della sua generazione, il primo ad essere eletto così giovane, il primo a trattare con i sovietici senza paura e senza avere paura di trattare. Se Bob Kennedy fosse stato eletto nel 1968 non avrebbe potuto stabilire tutti questi primati, ma lo si sarebbe ricordato poi per quello che avrebbe fatto. Tra lui e suo fratello c'erano quasi nove anni di differenza, ed un affiatamento che li faceva sembrare gemelli. Il suo impegno era quello di compiere quanto il fratello aveva lasciato incompiuto, e di portare a conclusione l'opera iniziata dalla sua generazione, che credeva nell'impegno e nella presenza.

I trent'anni dell'impegno

La storia americana, ha scritto di recente in un libro che non è giunto in Italia lo storico Arthur Schlesinger Jr., va per cicli trentennali. Gli anni '20, '50 ed '80 sono segnati dal disimpegno e dalla fede nell'individuo. È per questo che Bob Kennedy è stato per anni fuori moda, e si dice che se Martin Luther King avesse 30 anni nel 1988 preferirebbe pensare a fare i quattrini. Ma gli anni '80, con la loro ripresa economica e con Michael Douglas che in «Wall Street» proclama «l'egoismo funziona, l'egoismo vince», stanno finendo. A marzo «Time» ha chiesto ai propri lettori di dare il nome di un eroe americano. In cima alla lista è saltato fuori il nome di Robert Francis Kennedy. Ancora pochi mesi prima gli eroi per gli americani erano Ronald Reagan ed Oliver North.

Vale ancora la proposta Sturzo
Simone Secondini
Ricordare la nuova frontiera
Simone Secondini

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