Craxi e il nuovo socialismo
Non è mia abitudine disquisire troppo su termini e concetti che il mondo politico sforna con la stessa facilità con la quale macina i governi però mentre negli anni '70 era di moda la parola «partecipazione» oggi si parla di «decisionismo» facendo riferimento all'atteggiamento politico di Bettino Craxi.
Non si può capire l'attuale situazione politica senza uno sguardo critico agli anni '76-80 che vanno dal periodo dell'unità nazionale al Congresso del 'preambolo' in casa dc. È indubbio che il fenomeno Craxi nasce all'indomani delle elezioni del '76dovuto non solo al desiderio di rivincita dei socialisti ed al loro timore di essere vanificati nella azione politica dai due maggiori partiti DC e PCI, ma anche dalla obiettiva osservazione che la DC da sola neanche con il consenso dei 'laici' raggiunge la maggioranza ed ha bisogno dell'apporto determinante del Psi per governare. Questa situazione permette al Segretario socialista di giocare al rialzo imponendo la pari dignità del suo partito verso la Dc.
Così l'anomalia del nostro sistema non sta solo nella cosiddetta democrazia bloccata ma anche in una situazione che di riflesso premia un partito (il Psi) che gestisce ovunque potere usufruendo di una rendita superiore al suo consenso elettorale.
La strategia Craxiana mira a trasformare il Psi in terzo grande partito ed è per questo che si fa paladino della 'democrazia governante' volendo denotare con questo che solo grazie al suo partito il Paese riesce ad essere governabile: il decisionismo nasce tutto da qui, da una serie di atti miranti a realizzare la volontà del governo a tutti i costi. Ma l'obiettivo diventa anche togliere voti alla Dc ed allora è chiaro che si cerchi di piacere anche ai ceti borghesi emergenti, alla Confindustria, agli Stati Uniti. Tutto questo spiega alcune mosse della strategia di Craxi: la rottura a sinistra col cercare di relegare il Pci ai margini della scena politica facendo capire che l'anticomunismo non è prerogativa solo Dc: la battaglia sul decreto antinflazione con lo scontro sulle piazze in nome di un Parlamento che decida senza subire la suggestione delle folle (ma mi chiedo: il Parlamento non è anche espressione della piazza?) quando poi il risultato del decreto è poca cosa di fronte al cronico deficit pubblico che ancora oggi non si ha il coraggio di tagliare nei settori dove si manifestano sprechi e clientelismi; eppoi, malgrado questo, vediamo i socialisti amministrare spesso e volentieri con il Pci in molti Enti Locali. Non so se questa è una forte contraddizione oppure una delle regole del gioco politico, però mi domando se un decisionismo non sorretto da una responsabile cultura istituzionale non si confonda con un trasformismo di potere. È questo un dubbio grave ma legittimo quando si osservano le alleanze che il Psi attua ora a sinistra ora al centro nelle giunte locali, di fronte ai mezzi silenzi dell'ultimo congresso socialista sulla questione morale e la P2. A questo punto due osservazioni mi sembrano pertinenti.
Primo. Craxi appare oggi l'uomo nuovo della politica italiana capace di dare un governo che governi senza subire pressioni o patteggiamenti con l'opposizione, capace di fare scelte coraggiose in un momento difficile come il nostro e questo sarà in parte vero, ma una analisi più a fondo scopre come egli sia in linea con quella tradizione politica italiana che dal Risorgimento ad oggi ha espresso – tranne De Gasperi, Cavour e qualche altro – dei leaders di governo provenienti dagli apparati interni dei partiti, più abili a sfruttare la crisi cronica della politica italiana che non ad essere 'costruttivi' e 'propositivi', non pensando alle scadenze elettorali più o meno prossime.
Una constatazione di fatto è che Craxi ha cercato di stabilire con nettezza i confini tra chi deve governare e chi deve fare opposizione. Il suo merito è di aver fatto capire come sia oggi necessario che i governi facciano il loro dovere non essendo più possibile barcamenarsi tra non governo e gestione dell'esistente, vale a dire la pura e semplice ordinaria amministrazione.
Ora le recenti elezioni Europee sembra abbiano fermato questa strategia dandoci l'impressione di un elettorato che preferisce spartirsi tra le rassicuranti braccia di mamma Dc e la foga di un Pci che reclama un ruolo diverso non accontentandosi di essere messo in disparte.
È evidente che i dirigenti del Psi, che nutrivano ben altre aspettative, abbiano confuso il consenso del popolo socialista al loro leader con il consenso del Paese. È chiaro che questo risultato tiene conto del fatto che troppo sia stata declamata questa capacità di decidere rispetto poi ai risultati concreti conseguiti.
Infine la DC; è indubbio che l'atteggiamento aggressivo di Craxi sia stato possibile finora anche per la carenza di iniziativa della Democrazia Cristiana che ha mancato in quello che è stato il suo modo più genuino e vero di fare politica: di fronte alle sfide altrui, ai tempi nuovi che avanzano, alle nuove esigenze si risponde giocando al rialzo con le proprie proposte e non arroccandosi per timore del futuro.
L'ultimo leader storico che lo capì fu Aldo Moro quando in tempi lontani e non sospetti sostenne che «era venuto il momento di adeguare con estrema flessibilità la nostra costante ispirazione politica alle richieste e ai bisogni di un mondo in tumulto come non mai, ma non possiamo rifondare il partito senza animazione ideale, senza esperienza storica, sul confuso empirismo dei problemi che si accavallano e sulle sensibilità che, talvolta in modo effimero, si fanno valere». Oggi più che mai, a mio avviso, sorge la necessità di ripensare il presente tenendo un occhio verso il futuro. Chi ha orecchi cerchi di capire.










