Nel continente della speranza
Una delegazione di giovani dc europei (EYCD) ha visitato alcuni paesi dell'America Centrale nel mese di ottobre scorso, ospite dei partiti democratici cristiani locali.
Gli obiettivi del lungo viaggio er no sostanzialmente due: da una parte il contatto con i movimenti giovanili dc dei vari paesi, la dimostrazione della nostra attenzione e concreta solidarietà per le loro battaglie, lo scambio di esperienze; dall'altra lo studio del difficile il difficile processo di sviluppo politico, civile ed economico del continente latino-americano nel suo complesso e le specificità dei singoli paesi con le differenti tradizioni storiche, culturali e politiche.
La prima tappa del nostro viaggio è stato il Venezuela. A Caracas la delegazione degli EYCD ha partecipato ai lavori del1'8° Congresso dei giovani dc americani (JUDCA), svoltosi dal 9 al 12 ottobre.
La nostra presenza non è stato un atto formale, ma ha inciso profondamente, specialmente nella fase di preparazione del congresso. Durante le giornate di Caracas abbiamo direttamente constatato l'esistenza di un particolare rapporto tra EYCD e JUDCA, un rapporto di interscambio e di apprendimento vicendevole che esalta le differenti specificità per renderle ricchezza reciproca. La celebrazione del congresso e il rilancio della presenza e dell'attività della JUDCA sono state la dimostrazione dell'interdipendenza necessaria tra le due organizzazioni continentali che, in questo caso, si è concretizzata con l'imput che l'EYCD ha dato al processo di riorganizzazione dei giovani dc americani. I benefici di quest'operazione, oltreché sul continente latinoamericano, sul consolidamento della democrazia in esso, ricadranno anche sull'Europa e, soprattutto, sull'organizzazione internazionale della gioventù democristiana mondiale, il cui asse centrale è, numericamente e idealmente, costituito dai continenti europeo e latinoamericano. È stato così finalmente fissato il congresso dell'unione mondiale, che si terrà a Madrid a marzo 1987.
Questa posizione particolare degli EYCD, che va senz'altro consolidata in futuro, deve inoltre porsi nel difficile ma decisivo atteggiamento della non imposizione di propri schemi, ma dell'aiuto a che le diverse tradizioni storiche, sociali, culturali e politiche, elaborino e sviluppino schemi e categorie specifiche, all'interno, ovviamente di un quadro di riferimento comune.
Il Congresso della JUDCA è stato sicuramente in questa linea e ha esaltato le caratteristiche proprie delle varie organizzazioni membre.
Il tema della democrazia, del suo consolidamento laddove essa esiste, come in Salvador, Guatemala, della sua conquista laddove il potere si sviluppa in forme dittatoriali, come in Cile e in Nicaragua, è stato costantemente al centro dell'attenzione. La solidarietà, presente concretamente come vincolo per tutti i delegati, ha creato un'atmosfera suggestiva ed emotivamente trascinante anche per noi. Questa grande carica che ha animato i giovani dc latinoamericani è, crediamo, la loro forza, e questa è stata per noi una grande lezione, non solo politica, ma anche di vita.
Non sono mancati peraltro razionalità e realismo politico, come dimostra l'unità nei voti e negli intenti con la quale si è chiuso il congresso, sotto la saggia e intelligente guida di Caesar Perez Vivas. Al termine sono risultati eletti presidente Guillermo Villar, del Guatemala, e segretario generale Marcos Villasmil, del Venezuela.
«Uno degli aspetti più rilevanti del congresso è la presenza e il lavoro della commissione che ha per tema 'l'integrazione in America'. Il processo di integrazione regionale è un'intuizione di grande respiro e di grande valore che va appoggiata e sviluppata». Così si è espresso il presidente degli EYCD, Andrea de Guttry, nel suo apprezzato intervento al congresso.
Parallelamente alla partecipazione ai lavori del congresso della JUDCA, che è stato l'occasione per conoscere e fraternizzare con i delegati dei vari paesi latinoamericani, abbiamo avuto contatti con i giovani dc venezuelani, con altri leaders del COPEI (la DC del Venezuela), con i'dirigenti della CLAT, la confederazione dei sindacati di ispirazione cristiana di tutta l'America Latina, che ha la sua sede centrale vicino a Caracas.
Abbiamo potuto approfondire le nostre conoscenze sulla realtà politica e sociale del Venezuela. Particolarmente stimolante è stato vedere il partito già in campagna per le prossime elezioni presidenziali dell' '88. Abbiamo osservato con interesse gli strumenti pubblicitari e i modi originali per entrare in contatto con la gente, di cui il partito si avvale per lanciare la sfida ai socialisti, che guidano attualmente il governo.
Di questo e altro ci ha parlato, in un incontro suggestivo e in un'atmosfera tutta particolare, Rafael Caldera, già presidente della Repubblica e figura carismatica della Dc venezuelana. Il quadro che ci siamo fatti, al momento della partenza per Panama è, in sintesi, quello di un paese di solidissime tradizioni democratiche, forse l'unico in tutta l'America Latina, con una situazione economica resa ora precaria dal calo del prezzo del petrolio, unica grande fonte di ricchezza del paese.
Lasciato il Venezuela, prima di arrivare in Nicaragua, abbiamo fatto una sosta di alcune ore a Panama, il tempo per un incontro con i giovani democristiani locali, che ci hanno tratteggiato a grandi linee la situazione del paese. Un paese che accoglie e protegge grandi finanzieri e magnati internazionali, ma che opprime sotto il peso di una malcelata dittatura militare i tanti cittadini «indigeni».
I nostri amici ci hanno raccontato la storia recente del paese, fatta di colpi di Stato, elezioni truccate, soppressione delle libertà civili e politiche, intimidazioni, ma nella quale ha anche il suo posto l'opposizione democratica interna, che lotta per la transizione verso un regime saldamente democratico.
Il tempo di dare un'occhiata al celeberrimo canale e siamo già a Managua.
Nicaragua, urla del silenzio?
I giovani vissuti in Nicaragua sono stati, penso, per tutti noi un'esperienza unica, politicamente e umanamente parlando. Per cinque giorni abbiamo lavorato, ascoltando, discusso, non ci siamo riposati un attimo, abbiamo avuto paura, in un paese dove ormai la paura, la diffidenza, la tristezza dominano l'atmosfera.
A Managua eravamo ospiti del Partito socia! cristiano e dei suoi giovani, la più importante formazione di opposizione al regime sandinista, ancora tollerata da un governo che si è ormai incamminato su una strada che si può definire quantomeno autoritaria.
Dal 1979, anno in cui, grazie al mutato atteggiamento dell'amministrazione americana (guidata allora da Carter) e ad una lotta che vide impegnate tutte le energie vitali del paese, la dittatura della dinastia dei Somoza fu abbattuta, i sandinisti si sono impossessati, con mezzi leciti e non, di tutte le leve del potere e stanno lentamente ma progressivamente occupando, secondo lo schema del totalitarismo pervasivo di ispirazione marxista-leninista, i mondi vitali della società e gli spazi privati della vita dei cittadini. Il tutto mascherato da strutture formalmente democratiche come nel caso del Parlamento, frutto di elezioni truccate e svolte in un clima di intimidazione e di tensione, che è ora impegnato nella stesura e approvazione di un testo costituzionale chiaramente orientato per la perpetuazione del regime esistente.
Durante i numerosi incontri che abbiamo avuto con tutte le parti sociali e politiche ci siamo resi conto del dramma che si sta consumando in Nicaragua; non esistono più organi di stampa indipendenti, la giustizia è amministrata da tribunali speciali dipendenti dal potere politico, la brutalità dei miliziani sandinisti si abbatte su tutte le voci di dissenso che si alzano a denunciare le continue violazioni dei diritti umani e civili compiute dal regime in nome della «difesa della rivoluzione». La drammaticità del momento che sta vivendo la Chiesa ci è stata descritta dal segretario del cardinale Obando y Bravo; intimidazioni continue, il giornale ufficiale della curia occupato militarmente, due vescovi espulsi dal paese.
Eppure la gente continua a radunarsi attorno al suo cardinale, vessillo della libertà religiosa e civile.
Niente più che un'operazione di elite, ad arte gestita dal governo, è la fondazione della «Iglesia Popular», in competizione con la Chiesa ufficiale, guidata da due religiosi ministri del governo, e che si muove su un'ambigua linea di sovrapposizione tra i dogmi storici della rivelazione divina e le vicende rivoluzionarie del sandinismo.
Come nel settore delle religiosità, così anche in quello dell'educazione l'intervento del governo è imponente e interessato. Nelle scuole si insegnano, con l'ausilio di esperti cubani e dell'Est europeo, i principi chiave del marxismo; i bambini, fino da tre anni vengono spinti e quasi obbligati a partecipare alle diverse associazioni giovanili del Fronte Sandinista. Nei corsi di filosofia si insegna che il marxismo è l'unica risposta ai problemi del Mondo.
Con questa educazione settaria si stanno manipolando le menti dei futuri adulti del paese.
La situazione economica, realmente disastrosa, è aggravata dallo stato di guerriglia nel quale vive il Paese. L'esistenza dei campesinos, nelle zone vicine alla frontiera con l'Honduras, come noi l'abbiamo osservata in una visita ad una comunità rurale a 120kmaNorddi Managua, è presa nel mezzo dalla·brutalità dei miliziani sandinisti da una parte e dalle continue razzie dei guerriglieri contras dall'altra.
La vita, fatta di stenti, privazioni e malattie, che conducono i campesinos è immersa nella precarietà quotidiana. La posizione statunitense di appoggio finanziario ai contras è uno dei fattori determinanti di questa situazione. Ci siamo potuti rendere conto di persona di quanto miope e controproducente, oltreché moralmente inaccettabile, sia una politica di sostegno ad una guerriglia che, pur tenendo constantemente sotto pressione l'esercito sandinista, non riesce ad andare oltre un'opera di razzie e di gesti isolati, senza costituire una credibile alternativa.
«Sulla questione dei contras, gli USA stanno perseverando nei loro errori, privilegiando il sostegno alla lotta armata, piuttosto che quello all'opposizione civile. Ed è facile per i sandinisti prendere a pretesto la politica di Reagan per legittimare ogni misura eccezionale interna!». Con queste vibranti parole e invitandoli a perseguire nel loro nobile impegno, Renzo Lusetti si rivolgeva ai leaders della Coordinadora Democratica, il composito cartello di tutte le forze economiche, sociali e politiche, che, dopo aver lottato accanto ai sandinisti per abbattere la dittatura dei Somoza, ora si impegnano, tra intimidalioni e persecuzioni ufficiali e non, in una disperata lotta civica per la democrazia.
L'obiettivo che essi perseguono è, parallelamente ad un lavoro di mobilitazione all'interno del paese, quello di una campagna di informazione internazionale sulla situazione del Nicaragua, per squarciare il velo, fatto di egoismo e disinteresse, delle opinioni pubbliche e dei governi europei sulla vicenda del popolo nicaraguense.
La disinformazione che esiste, forse volutamente, in Italia a questo riguardo, è un delitto per delle coscienze che si definiscono amanti e garanti della libertà e della democrazia.
Certo, quello che noi possiamo fare è poco, ma i nostri fratelli nicaraguensi ci chiedono almeno di ascoltare e di non dimenticare le loro «urla del silenzio». E questo lo possiamo, lo dibbiamo fare tutti.
Il difficile cammino della democratizzazione
Ad appena un'ora di aereo da Managua, Città del Guatemala sembra in un altro pianeta rispetto alla piccola e povera capitale del Nicaragua. Grandi viali, grattacieli, piazze alberate sono gli elementi che subito colpiscono e ci fanno pensare quasi ad una moderna capitale occidentale.
Qui la DC guida il primo governo democratico del paese dopo che, un paio d'anni fa, con l'appoggio dei settori moderati delle forze armate, era iniziato il processo di transizione verso la democrazia.
«II nodo centrale – ci spiega Guillermo Villar – segretario dei giovani dc locali e nuovo presidente della JUDCA, è lo sforzo di far convergere e alla fine coincidere, la democrazia formale, che ora è salda, con quella reale, che necessita ancora di uno sviluppo».
Il problema del rapporto con i militari è difatti ancora scottante e la sicurezza interna dei delitti politici, casi di disaparecidos e'intimidazioni, va senz'altro rinsaldata. L'impressione che però riceviamo dalla serie di incontri che abbiamo è che, nonostante questi delicati problemi, ai quali va aggiunta una ancor precaria situazione economica, il partito ed il governo stiano lavorando con un impegno ed un entusiasmo che, secondo noi, sono vincenti sul lungo periodo.
E così approfondiamo i temi della questione giovanile con i membri della Juventud Democratacristiana, della condizione universitaria con il Bloque Universitario, dello sviluppo con il ministro René De Leon, nostra vecchia conoscenza per avere partecipato al GIÒ BOAT, della situazione dei lavoratori con i rappresentanti sindacali; questi ultimi ci spiegano bene la funzione del sindacato in questa area geografica del!'America; una funzione quasi priva di potert: contrattuale e tesa invece ad un lavoro prioritario di formazione e organizzazione dei lavoratori. Con l'aiuto competente di Rodolfo Maldonado, presidente della commissione esteri del Parlamento, approfondiamo il tema della politica estera; il ruolo di «neutralità attiva», che è la linea politica che si è dato il governo, è teso a favorire un processo di pace e democratizzazione in tutta la regione dell'America Centrale, senza interventi esterni, tramite il sostegno al «gruppo di Contadora» e al Parlamento Centroamericano.
Un'impressione che riceviamo netta in tutti gli incontri e in tutti i settori politici e sociali è un diffuso sentimento anti-americano, eredità del comportamento politico statunitense nel passato, preoccuparo, in questo paese come in tutta la regione, di curare solo i propri interessi, economici principalmente.
L'incontro con il vice presidente della Repubblica Roberto Carpio e, in seguito, con il presidente stesso, Vinicio Cerezo, sono i momenti di più alto livello politico. Ci impressiona particolarmente la grande capacità di contatto con la gente dei due statisti, che godono di un consenso popolare di dimensioni molto maggiori rispetto a quanto siamo abituati in Europa.
Concludiamo il lungo e, per certi versi estenuante, viaggio in America Centrale che tanto ci ha assorbiti, a livello di studio, di contatti umani, di condivisione, con una breve visita alle rovine della civiltà Maya al Nord di Città del Guatemala. L'importanza e la perfezione geometrica che si intuisce dai resti archeologici, dimostrano l'esistenza e la fioritura di una grande civiltà in queste zone, non più di un millennio fa. È questo il migliore ammonimento di come debba essere il contatto di noi occidentali con questi popoli, dai quali, nonostante le nostre orgogliose tradizioni, tanto abbiamo da imparare.

















