Nicaragua

Il Nicaragua tra contraddizioni e speranze

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A cinque anni dalla caduta di Somoza i sandinisti hanno portato ad «elezioni democratiche» il loro Paese. Quale futuro aspetta questo popolo che spende un terzo del bilancio nazionale in armi e promette pace e libertà nello stesso tempo?

Dove sta andando il Nicaragua cinque anni e mezzo dopo la caduta della dittatura di Somoza? Il tentativo dei sandinisti può essere ancora considerato un modello valido, un esempio per gli altri Paesi dell'America Latina che cercano di affrancarsi dal totalitarismo?

Al principio le speranze erano molte. Ora, in una situazione non chiara e che presenta elementi di contraddizione, sono cadute molte illusioni: l'adesione a schemi dichiaratamente marxisti è evidente, la propaganda contro la Chiesa misconosce di fatto il ruolo che questa istituzione ha avuto nel Paese in difesa della libertà e dei diritti civili durante l'ultimo periodo della dittatura di Somoza.

È un atteggiamento che non sembra reversibile, almeno da parte dell'attuale governo. Certo, le elezioni del 4 novembre scorso sono state un passo importante. Da un punto di vista formale si è trattato di una consultazione regolare. Ma i partiti che non vi hanno partecipato, quelli della Coordinadora Democratica (che comprende i principali schieramenti moderati di opposizione), avevano le loro ragioni nell'invocare, prima delle elezioni, il rispetto di alcune garanzie fondamentali, come la separazione di potere esecutivo e potere giudiziario, la non identificazione fra Stato e partito sandinista, e la soppressione dei Comitati di Difesa sandinisti (CDS), organismi che esercitano una forte pressione, non solo psicologica, sulla popolazione e agiscono a livello di quartiere, addirittura di isolato.

Dei sei partiti che sono scesi in lizza assieme al Fronte sandinista, quattro erano gruppuscoli di estrema sinistra, due - il Conservatore e il Liberale indipendente - erano moderati. L'impressione è che i sandinisti abbiano puntato sulle elezioni soprattutto per consolidare la propria immagine all'estero, in un momento in cui la crisi del Paese si è aggravata su due fronti: quello economico e quello militare.

Sul piano economico il boicottaggio americano ha provocato una drammatica situazione: le esportazioni nel 1984 sono dimezzate, le riserve monetarie esaurite. Le spese militari assorbono circa un terzo del bilancio nazionale. Dall'altra parte i guerriglieri, lautamente sovvenzionati, banno solide basi nei Paesi confinanti. Sono una minaccia non debellabile a breve scadenza. A meno di non giungere a una trattativa. È il tentativo compiuto in Salvador dal presidente, il democristiano Napoleon Duarte. Ma la situazione del Nicaragua non è simmetrica a quella del Salvador. I sandinisti, pur sapendo che così non finirà mai lo stato di emergenza, non hanno nessuna intenzione di scendere a patti con i «contras».

Un Paese travagliato dunque; forse un esperimento fallito.

Il tentativo di coniugare insieme rivoluzione e democrazia, di condurre il popolo nicaraguense a decidere del proprio destino dopo anni di dominio straniero, non è riuscito a conciliare l'impossibile: stato di polizia e diritti civili; libere elezioni e sopravvivenza di strutture rivoluzionarie come le «lurbas» (i gruppi di provocatori) e i Comitati di difesa sandinisti; promozione umana e deportazioni di massa (terrificanti quelle che hanno dovuto subire gli indiani Miskitos, dei quali poco si parla perché non hanno potenti sponsor all'estero).

Tante contraddizioni; ancora delle speranze, riposte soprattutto nella Chiesa cattolica e nei partiti democratici di opposizione, forse, un giorno, mediatori di una pacificazione nazionale.

Il panorama storico e sociale del Nicaragua

Colonia spagnola fino al 1821, il Nicaragua ha avuto un breve e travagliato periodo d'indipendenza fino al 1912. In quell'anno gli Stati Uniti, i cui interessi economici si erano fatti sempre piu rilevanti, occuparono militarmente il paese.

Nel 1933 una rivoluzione popolare, capeggiata da Sandino, mise fine all'occupazione americana. Ma solo quattro anni dopo, con l'appoggio determinante di Washington, prese il potere il generale Anastasio Somoza. Iniziò un periodo di dittatura «dinastica», che vide il succedersi alla guida del Paese vari componenti della famiglia Somoza. L'assetto istituzionale era formalmente democratico (secondo lo schema della repubblica presidenziale) ma svuotato via via di significato dallo strapotere della polizia, dalla messa fuori legge di tutti i partiti tranne due e dalla censura sulla stampa.

Lecondizioni economiche del Paese (il Nicaragua èconsiderato il più povero e arretrato fra i Paesi dell'istmo di Panama, che non brillano certo per floridezza, si fecero sempre più gravi a causa degli squilibri interni, sociali e territoriali, e dello struttamento da parte di grandi compagnie nordamericane.

I guerriglieri sandinisti (così chiamati perché si rifacevano alla storica figura di Sandino, il leader della rivoluzione antiamericana del '33) acquistarono col passare del tempo forza e consensi fra la popolazione esasperata e le forze democratiche.

A una prima insurrezione fallita. seguì una sanguinosa repressione: era il 1978. Il regime somozista aveva ormai le ore contate. Nonostante la proclamazione dello stato d'assedio. la quarantennale dittatura cadde, il 17 luglio I979.

Pur annunciando come prossimo il ritorno alla democrazia, i sandinisti costituirono un governo militare, operando una serie di vendette ed esecuzioni di massa. Sul fronte della guerriglia passarono i somozisti. Le zone di confine del Nicaragua vivono in pratica da oltre dieci anni una situazione di guerra vile.

Il tentativo della giunta sandinista di instaurare una democrazia socialista, in parte originale nei suoi contenuti, in parte ispirata ad esempi reali come quello cubano, ha trovato il principale ostacolo nell'aggravarsi della situazione economica, causato dall'embargo degli aiuti statunitensi (1° aprile 1981). Gli USA. che in un primo tempo erano rimasti a guardare l'evoluzione dei fatti, prendevano cosi un atteggiamento decisamente ostile al nuovo governo di Managua, e, decisi ad evitare ad ogni costo il sorgere di una nuova Cuba cominciarono a fornire aiuti e basi nei paesi limitrofi ai contras (così si chiamano i guerriglieri antisandinisti). Appoggio culminato nella moderna operazione di pirateria con cui furono minati i porti nicaraguensi. Ma ad ingrossare le fila dei contras sono andati anche ex sandinisti, perplessi di fronte alla piega autoritaria presa dall'attuale regime. Il caso più clamoroso è quello di Eden Pastora, il mitico comandante Zero (una specie di Garibaldi della guerra di liberazione) che combatte oggi contro i suoi camerati di un tempo. Le due principali organizzazioni di ribelli sono l'Fdn (composto da somozisti), che ha basi in Honduras. al confine settentrionale del Nicaragua, e L'arde (Alleanrn nvolunonaria democratica) guidata dal comandante Zero a sud del Paese. Una tenaglia che costituisce una minaccia perenne per il governo rivoluzionario, impedendone la stabilizzazione.

Pur mantenendo una netta egemonia, grazie a una organizzazione e a una propaganda capillari, i sandinisti hanno avviato un processo di democratizzazione non solo formale. Il 19 luglio 1984, è stato abolito lo stato di emergenza. Esistono diverse formazioni politiche e la stampa non è censurata. ll 4 novembre si sono tenute le prime elezioni, contestate e disertate dai principali partiti di opposizione. Daniel Ortega, già a capo della giunta militare, é stato eletto presidente della repubblica. Il partito sandinista ha raccolto il 66% dei voti (meno del previsto, considerate le premesse) e detiene tutte le leve del potere

Le relazioni con gli Stati Uniti sono pessime, al punto che gli USA hanno interrotto, nel gennaio scorso, le trattative bilaterali di Manzanillo.

F.S.

Da che parte sta la Chiesa in Nicaragua?

Da che parte sta la Chiesa in Nicaragua? Sta con i sandinisti, come farebbe supporre la presenza di ben tre religiosi nel governo, o li combatte? Il problema è complesso e non basta rispondervi schematicamente accennando alla contrapposizione fra Chiesa popolare da un lato e Chiesa istituzionale dall'altro. Fra l'altro questo dualismo ha ragion d'essere solo nei libelli propagandistici, dal momento che pone sullo stesso piano due realtà totalmente diverse.

In Nicaragua, come altrove in America Latina, la Chiesa ha avuto fino ad un certo periodo, diciamo gli anni 60, una funzione di sostanziale supporto del potere. Poi le cose sono cominciate a cambiare. Fino a spingere anche le gerarchie ecclesiastiche, significativo l'esempio dell'arcivescovo di Managua Miguel Obando y Bravo, a scendere in campo contro la dittatura somozista. I vescovi fecero sentire più volte la loro voce in difesa dei diritti dell'uomo, ed appoggiarono la rivoluzione sandinista, considerandola «legittima e necessaria». 

Ma furono anche i primi a denunciare le violazioni dei diritti dell'uomo compiute dai sandinisti, una volta al potere.

Si è così scavato un solco fra i religiosi che collaborano attivamente con il governo rivoluzionario: quattro uomini di governo, alcuni preti (molti dei quali stranieri), qualche congregazione, dei centri culturali. Sarebbero questi a comporre quella che viene definita l'iglesia popular, che non è in effetti la Chiesa del popolo (fedele in genere alle gerarchie ecclesiastiche), quanto una struttura elitaria, ben organizzata, che conduce una sapiente propaganda in favore della rivoluzione, della quale ha sposato la causa.

Istituti come il Centro Antonio Valdivieso, diretto da padre Molina, o altri simili gestiti da gesuiti o francescani, sono un po' il braccio spirituale della rivoluzione. Una scelta fatta senza dubbio in buona fede, sulla base di riscontri teorici (la teologia della liberazione) ed umanitari, ma che ha portato i rappresentanti dell'iglesia popular a smarrire quella «distanza critica» dal potere politico che permette di denunciare anche le disfunzioni e i misfatti di questo, oltre ad assecondarne gli aspetti positivi. È chiaro che i sandinisti preferiscono avere parteners così fedeli piuttosto che trattare con la Chiesa «istituzionale». Queste le ragioni dell'ulteriore inasprimento dei rapporti tra Chiesa e regime. Si ricorderanno i disordini e le ignobili contestazioni durante il viaggio del papa in America Latina. L'espulsione di dieci sacerdoti stranieri (luglio '84) prosegue questa linea di incomprensione. Dopo ripetuti ammonimenti della Santa Sede i religiosi che mantengono incarichi di governo nella giunta sandinista sono stati sospesi a divinis.

F.S.

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Luca Capecchi

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