Emittenza televisiva

Caos, libertà d'antenna o monopolio?

Nuova Politica - Caos, libertà d'antenna o monopolio? pagina 18
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Occorre mettere ordine nell'intricata mappa delle televisioni private. I provvedimenti legislativi adottati per la regolamentazione dell'emittenza radiotelevisiva.

Televisioni private: per un sistema «misto» pluralistico e democratico

La colorita definizione di «far-west» radiotelevisivo fotografa esattamente la situazione dell'etere italiano: campo di conquista per imprenditori abili e intraprendenti che si sono incuneati tra le maglie di una disciplina giuridica confusa e incerta e hanno posto le premesse di fatto per un sistema «misto» che veda. a fronte del servizio pubblico, emittenti televisive private in regime di concorrenzialità nei vari ambiti locali e in regime di oligopolio in campo nazionale.

Un sistema anomalo

Un primo dato che appare evidente è l'anomalia del sistema: in primo luogo, nel senso che non esistono altri sistemi televisivi con caratteristichesimili e, in secondo luogo, perché esso è venuto delineandosi sulla base delle sentenze della Corte Costituzionale senza che le forze politiche e il Parlamento siano stati capaci di elaborare e promulgare una disciplina legislativa «organica» del settore.

Difficile poter discernere quanto tale inadempienza sia dipesa da negligenza e ignoranza dei problemi da parte delle forze politiche e quanto invece da eventuali pressioni esterne affinché la legge non fosse fatta. Certo è che la latitanza delle forze politiche e del Parlamento costituisce la ragione principale delcaos e della incertezza odierni e rappresenta un fatto non facilmente giustificabile.

Le sentenze della Corte costituzionale

Nelle linee fondamentali, abbiamo detto, il sistema viene definito dalle sentenze della Corte Costituzionale e specificamente dalla n. 202 del 15 luglio 1976 e dalla n. 148 del 14 luglio I 981. In precedenza, varie sentenze della Corte (n. 59 del 1960 e n. 225 del 1974) avevano affermato e ribadito la legittimità costituzionale del monopolio pubblico sia in ambito nazionale che locale, principalmente sulla base dell'art. 43 della Costituzione, il quale prevede che, «ai fini di utilità generale», possano essere riservate originariamente allo Stato «determinate imprese o categorie di imprese che si riferiscano a servizi pubblici essenziali... ed abbiano carattere di preminente interesse generale».

La svolta avviene con la citata sentenza del 1976 che, nell'affermare la c.d. libertà d'antenna, consente, «previa autorizzazione statale», «l'installazione e l'esercizio di impianti di difTusione radiofonica e televisiva via etere di portata non eccedente l'ambito locale».

La seconda sentenza della Corte conferma il modello adottato nel 1976.

È da rilevare, tuttavia, che in questa sentenza vi è un notevole elemento di novità ed una non trascurabile apertura a favore dei networks privati quando si afferma che: «ciò vale, ovviamente, allo stato attuale della legislazione, in base alla quale, per la permanente carenza di tma normativa adeguata, restano appunto aperte le possibilità di oligopolio o monopolio sopra delineate. A diverse conclusioni potrebbe eventualmente giungersi ove il legislatore, affrontando in modo completo ed approfondito il problema della regolamentazione delle TV private, apprestasse un sistema di garanzie efficace al fine di ostacolare in modo effettivo il realizzarsi di concentrazioni monopolistiche o oligopolistiche non solo nell'ambito delle connessioni fra levarie emittenti, ma anche inquello dei collegamenti fra le imprese operanti nei vari settori dell'informazione incluse quelle pubblicitarie».

Cosa emerge, dalle sentenze della Corte?

  1. Il riconoscimento della libertà d'antenna per le emittenti locali previa autorizzazione e, conseguentemente ed in modo esplicito, il divieto di esercitare impianti televisivi di ambito nazionale, «allo stato attuale della legislazione».
  2. La tendenza al riconoscimento della legittimità costituzionale di emittenti su scala nazionale a condizione che il legislatore provveda, e dopo che il legislatore abbia provveduto, a regolamentare la materia con una disciplina legislativa «completa ed approfondita» e che comprenda, quale elemento prioritario e imprescindibile, norme antitrust di reale e profonda incisività. Che la situazione che di fatto si è venuta a creare nel «far-west» dell'etere italiano non collimi con le sentenze della Corte mi sembra il minimo che si possa affermare.

Il nodo costituzionale

Ma quali sono, in definitiva, i problemi di ordine costituzionale? In estrema sintesi si può dire che l'art. 21 della Costituzione, riconoscendo e tutelando la libertà di manifestazione del pensiero «con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», costituisce la fonte di legittimazione, di un sistema radiotelevisivo pluralistico, aperto cioè al libero ingresso dei privati sia su scala locale che su scala nazionale.

Sistema verso il quale spinge anche l'art. 41 nel garantire la libertà d'iniziativa imprenditoriale privata.

Ma vi è un'altra norma che deve essere presa in considerazione, oltre al già citato art. 43, ed è l'art. 3, 2° comma, che, tutelando il c.d. principio di eguaglianza sostanziale, impone allo Stato di farsi carico di compiti «positivi» al fine di promuovere la realizzazione effettiva, di quelle «libertà» che la Costituzione astrattamente garantisce. E se certamente, dato il mezzo tecnico, la possibilità di esercitare l'emittenza televisiva rimarrà ristretta ad un ambito limitato di imprese l'introduzione di rigorose norme anti-trust costituisce esigenza imprescindibile per consentire il massimo di estensione di tale libertà. Sistema pluralistico di emittenze in cui sia evitato il pericolo di concentrazioni oligopolistiche: è questa la strada che la legislazione deve seguire per essere conforme al dettato della Costituzione, nonché per consentire uno sviluppo realmente democratico della società civile.

L'intervento dei pretori e i due decreti-legge

Il momento di rottura si è verificato con le decisioni dei tre pretori del Lazio, del Piemonte e degli Abruzzi di sequestrare impianti e ponti-radio dei principali networks privati: decisione che ha rivelato in modo manifesto e spettacolare la situazione di «anarchia» della materia scatenando un terremoto fra i partiti, costretti a placare una vera e propria sollevazione generale da parte dei telespettatori. Si è realizzato così in quattro giorni (dal 16 al 20 ottobre) ciò che non era stato possibile in otto anni; ma certo il risultato, dal punto di vista del contenuto, non poteva essere esaltante.

Il primo decreto-legge (poi bocciato dal Parlamento), che viene ribattezzato ironicamente «decreto Berlusconi», opera una semplice legittimazione di quella che era la situazione di fatto preesistente, consentendo alle emittenti private di trasmettere su tutto il territorio nazionale utilizzando il sistema delle videocassette preregistrate (viene esclusa l'interconnessione tecnica attraverso ponti-radio).

Il decreto ha suscitato fra giuristi e uomini politici, forù dubbi di costituzionalità.

In sintesi, comunque, si può precisare che:

  • Non era previsto alcun tipo di norme anti-trust.
  • Si trattava di un decreto-fotografia, ove la Corte aveva richiesto una legislazione «completa ed approfondita».
  • Non credo possa essere convincente la motivazione addotta ufficialmente per giustificare il decreto (il fine di «sanare la situazione di disuguaglianza che si è venuta a creare fra gli utenti»), dato che la situazione ripristinata presenta seri dubbi di costituzionalità.
  • Non convince neppure l'affermazione che è stata fatta per salvare la legittimità dei networks su scala nazionale anche dopo le pronunce della Corte Costituzionale, affermazione secondo cui le sentenze della Corte vieterebbero soltanto ai privati l'interconnessione «tecnica» (cioè un collegamento strutturale fra i vari impianti), ma ammetterebbero l'interconnessione «funzionale» (legata ad accordi fra emittenti diverse e «autonome» per la programmazione in simultanea) che rientrerebbe nel campo della libertà contrattuale delle imprese. Opinione di dubbio fondamento in quanto la Corte nella sentenza dell'8 I relativamente al fenomeno della interconnessione, precisa che «una serie di fattori di ordine economico, con l'utilizzazione del progresso della tecnologia, fa permanere i rischi di concentrazione oligopolistica attraverso lo strumento della interconnessione e degli altri ben noti mezzi di collegamento di vario tipo oggi esistenti per le trasmissioni televisive».
  • Senz'altro priva di fondamento, infine, è la sottolineatura della mancanza di una esatta definizione dell'espressione «ambito locale», dal momento che, in ogni caso, essa non può certo essere ampliata fino al punto da farle ricomprendere l'ambito nazionale.

Di ben altra profondità il secondo de­creto-legge (6 dicembre '84), il quale, oltre a sciogliere l'impasse in cui si era venuta a trovare la Rai (fissando i nuovi criteri di nomina del Consiglio di amministrazione, del Presidente e del Direttore Generale e ridefinendo i poteri dei suddetti organi in modo da conferire alla Rai caratteristiche di maggiore imprenditorialità e di svincolarla, per quel che è possibile, dalla ingerenza delle forze politiche), stabilisce principi di notevole importanza.

Fra le altre disposizioni sono da segnalare:

  1. La precisazione che «nell'ordinare il sistema radiotelevisivo lo Stato s'informa ai principi di libertà di manifestazione del pensiero e di pluralismo dettati dalla Costituzione per realizzare un sistema misto di emittenza pubblica e privata».
  2. L'esplicita previsione che, pur non essendo previste specifiche norme antitrust, «la disciplina delle attività di radiodiffusione sonora e televisiva dell'emittenza privata, nazionale e locale, nonché le norme dirette ad evitare situazioni di oligopolio e ad assicurare la trasparenza degli assetti proprietari delle emittenti radiotelevisive private, sono dettate dalla legge generale sul sistema radiotelevisivo».

Verso una regolamentazione dell'emittenza radiotelevisiva

L'evolversi della vicenda conduce dunque all'affermazione del c.d. sistema misto. il quale, in verità, non corrisponde ad una scelta di mero realismo politico, ma rappresenta una soluzione senza dubbio corretta e razionale, almeno in linea di principio.

Si dice sì al pluralismo televisivo, a patto che questo principio diventi, in concreto, espressione di libertà e di democrazia e non costituisca un vago richiamo di facciata per coprire sottostanti interessi di parte.

Se da un lato ritengo che sia giusto ampliare al massimo l'ambito di operatività delle televisioni private, riconoscendo la possibilità della «diretta» e di programmi di informazione come i «telegiornali», l'imminente legge di regolamentazione del settore dovrà farsi carico di disporre rigorosamente su quattro punti:

  • quale disciplina antimonopolistica delineare e come applicarla alla realtà esistente;
  • come costruire il rapporto fra emittenza pubblica e privata;
  • difesa delle televisioni private realmente locali;
  • garanzia per la stampa e per le altre forme di manifestazione del pensiero e di esercizio di una attività imprenditoriale (es. cinema).

Quali presupposti per una seria disciplina anti-trust, è opportuno chela legge stabilisca:

  • un regime pubblico delle frequenze e degli impianti o comunque una regolamentazione pubblica del loro esercizio in modo da far operare le televisioni private in regime di autorizzazione o concessione amministrativa;
  • un regime di trasparenza della proprietà, come quello che la legge sull'editoria prevede per la stampa, in modo da rendere ben evidenti quali siano le imprese e le società che hanno in mano le varie emittenti televisive;
  • la previsione di validi indici di concentrazionismo, così come per la stampa, tralasciando l'indice basato sulla audience, che non è certo sicuro, e attribuendo invece maggiore importanza a quello derivante dalla concentrazione pubblicitaria, che è da ritenersi l'indice più serio e attendibile.

Le norme anti-trust potrebbero ispirarsi alla legge sull'editoria o alle norme antimonopolistiche previste dalla CEE e comunque avere come contenuto fondamentale il divieto di essere proprietario di più di una o due emittenti e la fissazione di un tetto alla pubblicità per ciascuna emittente, ciò che servirebbe, inoltre, per salvaguardare adeguatamente non soltanto quotidiani e periodici, ma anche le piccole televisioni (eventualmente prevedendo, a favore di queste ultime, anche un divieto per i networks nazionali di trasmettere pubblicità di ambito locale).

Il nodo che la legge dovrà sciogliere è questo del tetto alla pubblicità, superando sia obiezioni di ordine sostanziale («mettere un limite alla acquisizione della pubblicità da parte delle TV commerciali significa mettere un limite allo sviluppo delle imprese») che di tipo formale (il richiamo alla libertà di iniziativa privata sancita dall'art. 41 Cost.).

Relativamente ai rapporti fra emittenza pubblica e privata, sembra opportuna infine la creazione di organi di governo comune con il compito di far rispettare regole del gioco appositamente predisposte per la razionalizzazione delle attività (distribuzione delle frequenze, accordi produttivi, distribuzione delle risorse finanziarie, ecc.).

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