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Nuova Politica - Possiamo fare di più
Centro-America: gli schematismi non aiutano a capire, una realtà difficile. Serve una solidarietà reale e continua. Con poco possiamo fare molto

Per anni abbiamo interpretato secondo gli schematismi politici nazionali i fatti della politica internazionale. Solo ad esempio dopo che il «Vietnam liberato» si è tramutato in un immenso lager aggredendo i suoi vicini, la invasione sovietica dell'Afghanistan, la prova di forza inglese sulle Malvinas o americana a Grenada, qualcosa è mutato. Le ideologie e la passione politica tra i giovani non sono morte solo per autonoma consunzione o per i cattivi maestri che ne hanno fatto scempio, ma anche per la loro evidente incapacità a spiegare perché «i liberati» diventassero poi oppressori, perché i «paesi liberi» necessitino di mantenerne o tollerarne altri «non liberi», perché USA e URSS rispettino rigidamente le opposte sfere di influenza.

Quanto ristretto e viziate fossero le nostre passate considerazioni svolte rimanendo qui e leggendo le interpretazioni scritte da altri, ci è risultato evidente al termine delle visite che negli ultimi mesi sono state compiute da varie delegazioni di giovani dc italiani in Centro America. In particolare le vicende del Nicaragua, El Salvador, Guatemala hanno indotto in noi alcune riflessioni.

Mentre Duarte in Salvador – nonostante il nuovo esfortunato dramma del recente terremoto che ha colpito il Paese – sembra aver trovato la strada per consolidare respingendo «aiuti esterni» il regime democratico con l'affermarsi della Riforma Agraria – l'unica vera «Rivoluzione» in atto in Centro America – e la proposta di riappacificazione nazionale lanciata alla guerriglia, il Nicaragua si trova a vivere la fase più drammatica della caduta di Somoza. La pesante interferenza americana – dimostrata anche nella vicenda della vendita di armi USA all'Iran – e le nefandezze dei «contras», denunciate dalle stesse forze democratiche di opposizione, sono servite ai sandinisti quali giustificazione per compromettere seriamente i diritti civili e politici e paradossalmente a coagulare intorno al concetto di identità e sovranità nazionale le masse rafforzando il regime sandinista. Solo la Chiesa guidata da mons. Obando e dalla nuova attiva presenza del Nunzio vaticano costituisce in un paese religiosissimo, l'autentico freno alla definitiva affermazione legale o meno del sandinismo.

In Guatemala, dove da pochi mesi si è insediato Cerezo, il primo presidente eletto liberamente dopo 30 anni di dittatura militare, la ancora fragile struttura democratica si scontra con le resistenze dei grandi proprietari, dei banchieri e dei militari ancora potenti che non intendono abbandonare i loro privilegi.

La situazione si evolve dunque in quei Paesi in maniera diversa rispetto a quanto in Italia molti avevano immaginato. E bisogna ammettere che noi stessi, giovani dc non siamo immuni da sommari, seppur passati giudizi.

Ricorda qualcuno quando il MG, compreso chi scrive, denunciava il supposto «tradimento» di Duarte alla causa della libertà in quanto «reo» di adoperarsi per una transizione non-violenta dalla dittatura alla democrazia?

È in tale situazione che va colto un dato importante. I Sandinisti, Duarte, Cerezo, temono di dover pagare costi enormi sul piano internazionale per le loro azioni interne. In Nicaragua nei mesi scorsi si sono accorti che le reazioni nel mondo alla chiusura de «La Prensa» unico giornale di opposizione, e della espulsione di mons. Vega rischiavano di costare al Paese più dei 100 milioni di dollari dati da Reagan ai contras, mentre gli «aiuti sovietici si limitano ad una «flebo» appena sufficienti a tenere in vita la rivoluzione. Duarte denuncia la solitudine in cui parte dell'Europa lo ha lasciato nel suo difficile sforzo per rafforzare, escludendo fermamente ogni interferenza esterna, il processo democratico. Cerezo teme di non riuscire nel suo intento senza aiuti internazionali che non chiedano contropartite negli equilibri interni. Non a caso Cerezo è venuto recentemente in Europa mentre prima della fine dell'anno – se non ci fosse stato il – dramma del terremoto – lo stesso Duarte intendeva compiere una visita.

Risale a solo qualche mese fà la visita di Ramirez, Vice-Presidente del Nicaragua ricevuto anche dal Papa e molto attiva è la diplomazia nicaraguense verso tutti i Paesi Occidentali.

Ecco perché, dopo le manifestazioni degli scorsi anni, serve ora rinnovare attenzione e solidarietà a questi Paesi.

L'autentico sviluppo democratico non può essere promosso con le armi. Serve molto di più far sentire addosso ai governanti di quei Paesi l'interesse sincero di quanti credono nella pace, la libertà, il diritto all'autodeterminazione dei popoli, pronti a denunciare le situazioni di illiberalità che permangono come disponibili a sostenerli con la concreta solidarietà. L'Europa, l'Italia i democratico-cristiani in particolare di cui laggiù si chiede una più attiva presenza, potrebbero ora fare molto, con poche energie, per loro, Le marce e le manifestazioni future, in caso di fallimento dei processi oggi in atto, servirebbero a poco. Una nuova politica, frutto di sincera solidarietà a chi soffre, potrebbe così apparire ai giovani.

Nel continente della speranza
Enrico Letta

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