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André Glucksmann, «La forza della vertigine»

Nuova Politica - André Glucksmann, «La forza della vertigine» pagina 20

Elogio del missile, avrebbe potuto provocatoriamente intitolarsi l'ultimo libro di André Glucksmann, forse il più noto tra i «nouveaux philosophes», in anni non lontani cervello pensante del maggio parigino, oggi critico radicale del marxismo in tutte le sue manifestazioni teorico-pratiche ed assertore della necessità di una difesa europea proporzionata alle mire espansioniste dell'«impero concentrazionario» di Mosca.

La bomba – secondo Glucksmann – interpella l'umanità in termini non tanto tecnologici quanto escatologici: occorre. insomma, scegliere tra la probabilità della vetrificazione nucleare e la certezza del gulag. Ipotesi, la seconda, che si verificherebbe qualora l'Europa, incapace di resistere alla «forza della vertigine» esercitata dalla consapevolezza di vivere nell'orizzonte della morte atomica, cedesse alla tentazione nichilista e suicida del disarmo unilaterale (o – il che è lo stesso – del non adeguato riarmo di fronte allo spiegamento degli SS-20 sovietici).

Tra la potenzialità di Hiroshima e la tragica sicurezza di Auschwitz, per il filosofo francese, esponente di una generazione di intellettuali di sinistra che l'opera di Solgenitsin a metà degli anni settanta ha svegliato dal «sonno dogmatico» tertium non datur.

Nella demistificazione dell'ideologia del pacifismo convergono il realismo della teoria strategica e l'inquietudine dell'indagine filosofica. «Una volta presi in considerazione reticolati e psicofarmaci tutta la bella costruzione antinucleare crolla». Né si può dire che la «Prospettiva della morte per atomo» sia la più temibile delle ipotesi, se è vero che «il male raggiunge la suprema perfezione quando offre la prova irrefutabile della sua inesistenza» e il missile, almeno, ci impedisce di abbassare il livello della guardia, di adagiarci in una tranquillità superficiale e illusoria, poiché «rileva la faccia nascosta della guerra costringe a guardarla in anteprima, mostra in grande ciò che ogni guerra fa in piccolo e che la prossima farebbe in blocco». L'armamento nucleare europeo, nelle presenti condizioni storiche e politiche, allontana lo spettro della guerra – sostiene Glucksmann fino a ipotizzare il «crimine di non dissuasione» – e soprattutto impedisce che la sinistra luce del gulag si riverberi sul vecchio continente. «Né rossi, né morti» egli dice citando l'esempio polacco, ma in realtà la sua conclusione è «meglio morti che rossi».

Si tratta, come si vede, di un'opera che va letta con prudenza e raziocinio, evitando di lasciarci troppo avvolgere tra le spire fascinose di un pensiero audace sino al paradosso, nella sua rigorosa coerenza logica. Più utile a noi per la sua pars destruens (denuncia delle ambiguità e contraddizioni etiche prima ancora che politiche del «pacifismo») che non per una pars costruens in verità per taluni aspetti piuttosto manchevole e difettosa. Se infatti il pensiero dei «nuovi filosofi» opera da eccezionale solvente nei confronti dei grandi sistemi immanentistici e razionalistici moderni, elaborati dai «Maître penseurs» (Marx soprattutto), esso, forse per le disillusioni del passato, sembra quasi in generale impotente a delineare le ragioni di una speranza alternativa. Nel caso specifico: dissolutore delle ideologie, Glucksmann non rischia di esserlo anche degli ideali? La venatura di scetticismo che percorre la sua riflessione, lo sbocco vagamente libertario che sembra esserne l'esito ultimo, non travolgono, assieme a tutti gli equivoci del pacifismo, il concetto stesso di pace?

Ma Glucksmann, a suo tempo attivo oppositore dell'intervento americano in Vietnam, ha ragione nel ricordarci che la pace non è mera sopravvivenza senza libertà e senza diritti. «II conquistatore ama la pace»: la differenza kantiana tra pace repubblicana e pace imperiale è ancor valida oggi. Il prezzo della pace non può essere il cinico silenzio (o le formali proteste) dell'Occidente, esso stesso non privo di peccato, di fronte ai genocidi dei Pol Pot come al napalm afghano; ai lager dell'Est come al soffocamento della Polonia. Opera della pace è la giustizia: per il pensiero laico nutrito di motivazioni etiche, non meno che per quello cristianamente ispirato.

André Glucksmann
«La forza della vertigine»
Ed. Longanesi
pp. 272
L. 16.000

Elezioni Americane: The Day Before
Andrea de Guttry
Ruggero Orfei, «Pace tra missili e fame»
Paolo Ziotti

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