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Commercio di armi: l'ipocrisia di un segreto

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Il 76,6% delle esportazioni italiane sono primariamente indirizzate ai paesi del terzo mondo. La legislazione vigente risale al 1941 e impone il segreto militare sulle informazioni che riguardano il commercio delle armi. È urgente una nuova disciplina

Dalla fine della II guerra mondiale una serie innumerevole di conflitti locali ha richiesto alrumanità venti milioni di morti e uno sviluppo accelerato delle spese militari. Attualmente esse si aggirano intorno ai 650.000 miliardi di lire l'anno.

In questa folle corsa al riarmo sono impegnati nel mondo oltre 500.000 uomini. fra ingegneri e specialisti nelle diverse discipline: pochi altri obiettivi specifici occupano oggi tante risorse umane e materiali come l'invenzione e la produzione di anni. Una produzione le cui caratteristiche intrinseche (sofisticazione elevata. obsolescenza rapida, alto costo delle materie prime e delle spese di ricerca) richiedono oneri sempre maggiori che rendono indispensabile ilraggiungimento di elevati volumi di produzione in modo da consentire il raggiungimento di una qualche economia di scala. Ciò comporta una politica di marketing estremamente aggressiva sia all'interno (ove cliente è lo stato nazionale: ma solo USA e URSS possono fornire una domanda adeguata) sia soprattutto all'esterno: ne consegue un crescente ruolo del commercio internazionale delle armi, importante voce attiva nei saldi delle bilance commerciali dei paesi industrializzati.

Un dato di inquietante drammaticità è costituito dal fatto che negli anni settanta le spese militari sono andate continuativamente crescendo in particolare nei paesi del Terzo Mondo, ove il rapporto tra spese per armamenti e PNL è divenuto superiore a quello dei paesi sviluppati. Ebbene, sulla scorta di dati attendibili (1), sembra esistere una relazione di proporzionalità costante tra gli aiuti ufficiali pubblici concessi ai paesi in via di sviluppo e le spese militari da questi ultimi effettuate. Accade in pratica con sempre maggiore frequenza che le nazioni venditrici di armi predispongano le possiblità di acquisto a mezzo di prestiti vincolati, che, in luogo di favorire investimenti produttivi, contribuiscono ad espandere ulteriormente la spesa mondiale in armamenti.

L'Italia ha acquisito nel corso dell'utlimo quindicennio un ruolo assai rilevante in questo settore, per il quale registra a partire dal 1973 un saldo attivo nella bilancia commerciale.

Nel decennio 1969-1978 la quota italiana sul mercato OCSE è decuplicata (dallo 0,5% al 5,3%) ed a livello mondiale l'Italia è divenuta il quarto esportatore mondiale di «grandi sistemi d'arma» (velivoli, missili, mezzi corazzati, navi) inferiore, sia pur di molto, solo ai tre «giganti» del comparto: USA, URSS e Francia. Non solo: emerge con tutta chiarezza che le nostre esportazioni sono primariamente indirizzate ai paesi del Terzo Mondo (76,6%, una percentuale superata solamente da URSS e Gran Bretagna). E fra di essi emergono regimi dittatoriali quali l'Iran, la Libia, la Turchia ove le armi vengono utilizzate anche a fini di polizia interna.

L'Italia è anche il primo tra i paesi industrializzati importatore di grandi sistemi d'arma: ciò si spiega non solo con la riqualificazione» in atto da alcuni anni nei bilanci della Difesa (ovvero l'aumento delle quote destinate all'acquisto degli armamenti in modo da avere un rapporto uomini/mezzi pm favorevoli ai secondi) ma anche con l'assenza di un controllo rigoroso del commercio delle armi: ciò consente infatti alle industrie militari di vari paesi di fare dell'Italia un intermediario commerciale per esportare in nazioni nelle quali per motivi di ordine politico non potrebbero. Insomma, molte nostre importazioni nascondono una riesportazione.

Attualmente l'industria militare italiana (79.000 dipendenti, 4.000 miliardi di fatturato) è un'importante esportatrice di materiale bellico prevalentemente di tipo leggero, contraddistinto da una tecnologia media derivante da un buon assemblaggio del Know-how importato che non può avere impatto sui mercati più avanzati mentre riscontra esiti favorevoli in quelli meno esigenti: essa ha ormai raggiunto quel modello fifty-fifty (un'arma venduta all'estero per ogni arma adottata dalle FF.AA. nazionali) tipico delle industrie militari solidamente sviluppate.

Quanto si è qui sommariamente richiamato dovrebbe imporre alcune doverose riflessioni a chi vuol dare risposta alle esigenze etiche di cui, specie fra noi giovani, va aumentando la consapevolezza. Un'inversione di tendenza, in primo luogo nei confronti dei paesi poveri, davvero si impone. Un primo terreno di lavoro è quello legislativo.

L'Italia infatti si caratterizza per una disciplina giuridica poco restrittiva che fa del nostro paese – come si è visto – un importante crocevia nel traffico internazionale di armi. Un controllo parlamentare abbastanza puntuale è consentito invece dalla normativa di tutti gli altri pesi democratici produttori di armi, Stati Uniti e Germania innanzitutto.

La legislazione vigente si compone per lo più di decreti risalenti al periodo fascista; in particolare il R.D. 11 luglio 1941 n. 1161 impone il segreto militare sulle informazioni che riguardano il commercio delle armi, specificando così il dettato ex art. 256 Codice Penale che punisce con la reclusione da 3 a 1O anni «chiunque si procura notizie che nell'interesse della sicurezza dello Stato o comunque nell'interesse politico interno o internazionale dello Stato debbano rimanere segrete». Nell'allegato al decreto («Elenco delle materie di carattere militare o comunque concernenti l'efficienza bellica del Paese, di cui nell'interesse della sicurezza dello Stato deve intendersi vietata la divulgazione di notizie») si fa preciso riferimento alla «spedizione e cessione di materiali bellici all'estero sia da parte delle amministrazioni militari sia dell'indutria privata» e alla «esportazione di materie prime semilavorate e prodotti simili comunque interessanti la produzione di materiale bellico. Questo alone di segretezza permane anche nelle pochissime recenti disposizioni normative in argomento: il D.M. 20 marzo 1975, ad esempio, istituisce una commissione interministeriale preposta al rilascio delle licenze di esportazione e viene definito «Provvedimento interno organizzatorio e come tale non soggetto all'onere di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale»: i membri della commissione rimangono così ignoti.

Di fatto non solo l'opinione pubblica in generale ma perfino il Parlamento è privato di quel minimo di informativa che consenta un qualsivoglia controllo sull'esportazione e sull'intermediazione commerciale degli armamenti. Simile normativa non solo contrasta col carattere generale di democrazia che contraddistingue la Repubblica Italiana. ma anche con la risoluzione n. 3484 dell'ONU (12 dicembre 1975), che implica un dovere di pubblicità sugli armamenti e con la stessa proposta avanzata proprio dall'Italia in sede ONU (5 febbraio 1980) per la creazione di un organismo speciale che sarebbe incaricato di «sorvegliare, di controllare e di limitare il commercio internazionale delle armi, applicando procedure da concordare».

Crediamo che un rilevante contributo alla causa della pace e dello sviluppo nella logica della collaborazione Nord-Sud possa essere rappresentato da una risoluta iniziativa parlamentare tendente a costituire un reale meccanismo di controllo politico e di trasparenza informativa sulle transazioni di armi nel nostro Paese.

È necessaria pertanto una nuova legge che. abolendo la citata normativa fascista e consentendo la pubblicazione dei dati sul commercio delle armi, definisca una griglia di controllo parlamentare sul traffico di armamenti sia interno sia in transito e in uscita dal territorio nazionale. La nuova disciplina consentirebbe senz'altro una più marcata s nsibilizzazione della gente comune su una questione tanto delicata e anche una qual certa «moralizzazione» delle transazioni. oggi spesso legate ad altri loschi traffici (droga, denaro riciclato. ecc.).

Al momento in tal senso esiste una proposta di iniziativa popolare presentata dalle ACLI nel giugno 1982, che di recente il sen. Zaccagnini ha rilanciato studiando la possiblità di trasformarla in progetto di legge. Il nostro Movimento Giovanile potrebbe ora caratterizzarsi per un impegno nei confronti del partito e del gruppo parlamentare affinché si a questa in tempi ravvicinati. la direzione di marcia della Democrazia Cristiana.

È giunto infatti il tempo nel quale gli appelli che le più alte autorità morali del mondo rivolgono agli uomini di buona volontà ai fini di un più giusto ordine internazionale oltrepassino il limbo delle buone interazioni e divengano, per quanti hanno davvero a cuore lo sviluppo della cultura della vita, stimolo concreto per una coerente opera in quella direzione. È un impegno di civiltà al quale non possiamo sottrarci.

(1) Le uniche fonti attendibili sul settore degli armamenti sono l'organo governativo statunitense ACDA (Arms Control and Disarmament Agency) e soprattutto il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) che pubblica un rapporto annuale avente però ad oggetto i soli «grandi sistemi d'arma» costituenti circa il 40% del totale.

Bibliografia

In argomento esistono poche pubblicazioni in italiano. La ricerca recente condotta con maggior serietà è rappresentata dai Seminari su «armi e disarmo» organizzati dal «Gruppo di studio su anni e disarmo» costituito presso l'Istituto di Scienze Economiche dell'Università Cattolica e dal Movimento Pax Christi. Sono apparsi gli atti dei primi tre seminari per i tipi dell'editrice Vita e Pensiero:

AA.VV., Il problema degli armamenti. Aspetti economici e aspetti etico-morali, Milano 1980;

AA.VV., Spese militari, tecnologia e rapporti nord-sud, Milano 1982;

AA.VV, Armi e disarmo oggi, Milano 1983.

V. anche: F. Battistelli, Armi: nuovo modello di sviluppo? L'industria militare in Italia, Einaudi, Torino 1982. G. Brunetta, Le spese militari nel mondo dal 1950 al 1980 in «Aggiornamenti Sociali», I, 1983; G. Salvini, Aspetti del problema degli armamenti, in «Aggiornamenti Sociali», XII, 1983; in «Avvenire», 25-5-83, p. 11 un documento sul tema a firma delle associazioni cattoliche italiane.

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