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Rialziamo il sipario sull'America Latina con la campagna di sottoscrizione a favore del popolo cileno: «Un Pane per la Libertà»

La domanda che più frequentemente mi è stata rivolta in queste settimane girando per l'Italia a presentare l'iniziativa «Un pane per la libertà» riguardava l'impotenza della gente comune di fronte alle grandi tragedie dei popoli.

Se c'è un fantasma che si aggira nelle coscienze, questo è sicuramente la rassegnazione, talvolta mista ad un lucido cinismo, che campagne di sottoscrizione del genere sono marcate fin dall'origine della logica del «tanto ormai non cambia niente». Eppure vi è tutta una letteratura che denota la condizione giovanile, talora anche per ghettizzarla e ridimensionarne la capacità di sollecitazione nei confronti dell'intera società, come l'età delle speranze incoscienti, dei voli ideali incuranti dei crudi aspetti della realtà («a 20 anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell'età» dice Guccini nella canzone «Eskimo»).

Chi immaginasse che la campagna di sottoscrizione per il Cile promossa dal Movimento Giovanile possa essere letta in questa chiave, stavolta è davvero fuori strada. E lo è per più di un motivo. Innanzitutto il momento ed il Paese scelto rivelano l'assenza di un approccio emotivo ed anzi la velata polemica contro tutti coloro che hanno utilizzato le tragedie collettive, le sofferenze, le guerre, i golpe, solo per riempire le piazze facendo leva sul «cuore» della gente e non sulla «testa». Il Cile provocava sit-in e occupazioni di sedi diplomatiche nel 1973, i protagonisti di quelle drammatiche vicende erano spesso ridotti a marionette del teatro dei pupi, bollati in buoni e cattivi senza alcuna capacità di lettura della realtà più complessa, ma quali frutti ha dato quell'approccio? Il mito del socialismo vietnamita contrapposto all'invasione yankee ha subìto una mutazione genetica ed oggi si moltiplicano gli imbarazzati silenzi di fronte alla guerra, tutta comunista, tra cambogiani e vietnamiti nel teatro del genocidio dei «killing fields» e dei traffici internazionali di stupefacenti del cosiddetto «triangolo d'oro»; i Paesi sudamericani che il «Che», cioè il volto romantico della rivoluzione cubana, aveva insegnato ad amare sono stati abbandonati per un decennio, cioè durante il periodo più delicato della loro difficile transizione verso la democrazia. «Un pane per la libertà» rappresenta invece il tentativo di deviare le correnti della solidarietà internazionale verso un Paese con il quale esistono legami ed affinità vecchie e nuove.

L'altra fondamentale differenza con gli approcci di solo «cuore» risiede nel tipo di sottoscrizione promossa. Un antico e stranoto adagio cinese dice «Se qualcuno ha fame, non dargli un pesce ma insegnagli a pescare». La nostra iniziativa vuole aiutare il popolo cileno a costruire da solo le condizioni per la propria libertà ed il proprio futuro. Acquistando i certificati elettorali si garantisce il diritto all'espressione delle idee, ma non si pone alcuna ipoteca né si cerca di condizionare direttamente o indirettamente il lungo cammino verso la libertà che le giovani generazioni reclamano. La storia scritta dagli uomini ha dato vita a molti paradossi: tra questi la capacità di dare un rilievo smisurato ad eventi che non lo meritano e calano un sipario su tragedie collettive che non interessano la storiografia dei vincitori, rendendole – direbbe Milan Kundera – «inutili come un'inutile guerra combattuta tra popolazioni nere in Africa nel XIV secolo».

Rialzare il sipario sull'America Latina è allora non solo un atto di coraggio ma anche un gesto di lungimiranza politica che rivela la volontà di leggere i dati della storia con occhi nuovi.

Autonomia amministrativa
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