11 settembre 1973. Le bombe e i carri armati dell'esercito golpista pongono fine tragicamente a uno degli esperimenti più interessanti nella travagliata storia degli stati sudamericani.
Il presidente della repubblica cilena. il socialista Salvador Allcnde, da tre anni a capo di una coalizione governativa di sinistra, muore nel palazzo della Moneda. Prende il potere una giunta militare in cui l'uomo forte è il generale Pinochet.
Poteva essere evitato il golpe del '73? Senza dubbio fu sottovalutata la forza dell'esercito, tenace oppositore delle sinistre per cultura e tradizione; così come era chiaro che la nazionalizzazione delle miniere (1972) ledeva gli interessi delle potenti società nordamericane che le controllavano. Inoltre all'interno della coalizione di Unidad Popular (socialisti, comunisti e altre formazioni di sinistra), premevano le forze massimaliste che, scavalcando le regole del gioco democratico, volevano un esperimento più azzardato, di dittatura del proletariato. Il cardinale Silva Henriquez, arcivescovo di Santiago fino al 1983 e punto di riferimento per i cileni durante gli anni bui della dittatura, ricorda come il golpe fosse nell'aria.
Da quel momento il Cile è andato ad aggiungersi alla lunga lista dei Paesi che non·rispettano i diritti civili, che non rispettano nemmeno i diritti umani più elementari.
Non solo la pratica continua della tortura è dimostrata; essa è in un certo senso «legalizzata». Si sa dove sono le case di tortura e che vi lavora personale regolarmente stipendiato.
La gente scompare senza che se ne sappia più nulla.
I reparti militari, i carabineros, gli squadroni della morte, compiono irruzioni nelle poblaciones, agglomerati informi di lamiere e di cartoni dove l'esistenza è marcata dalla fame e dalla disperazione, portano via le persone.
Di loro spesso si perde ogno traccia.
Nel 1983 si era diffusa la convinzione che il regime di Pinochet avesse le ore contate, e che un graduale, prudente ritorno alla democrazia, fosse possibile a medio termine. Lo facevano supporre il fallimento del programma economico del regime, il consenso sempre maggiore che circondava i sindacati e i partiti d'opposizione, i quali del resto, pur operando sempre nella semi-clandestinità, avevano dei margini di manovra più ampi rispetto al passato. Questa illusione aveva portato la gente a scendere nelle piazze e a manifestare apertamente. La risposta fu terribile. L'11 agosto 1983 l'esercito ebbe l'ordine di sparare sulla folla. Colpi di coda, disse qualcuno, di un regime agonizzante.
Invece la situazione non è migliorata. L'anno scorso, nell'84, nell'imminenza dell'undicesimo anniversario del golpe. Pinochet ha voluto agire in contropiede, attuando quello che è stato definito «golpe nel golpe». Rastrellamenti. sparizioni, omicidi. La furia dei militari ha imperversato nelle poblaciones, ritenute potenziali covi di terroristi, e nei grandi quartieri popolari. Tra i morti un prete francese, André Garlan. Stato d'assedio, coprifuoco, censura di nuovo totale sulla stampa e sulle radio che a fatica erano riusciti a ritagliare qualche spazio di libertà fra le maglie della censura. Presa di mira anche la Chiesa. li nuovo arcivescovo, monsignor Fresno, succeduto a Silva Henriquez, che aveva tenuto fino a quel momento una posizione di estrema prudenza, ha avuto parole molto dure verso l'autorità.
Gli sviluppi in questa parte del 1985 confermano che il regime, nonostante lo sfaccio economico e la perdita di consensi anche in quei settori industriali e alto-borghesi che lo avevano sempre appoggiato, è tutt'altro che rassegnato a prepararsi la successione. In febbraio Pinochet ha deposto il ministro dell'interno Jarpa, sostituendolo con lo scolorito Garcia Rodriguez; con ogni probabilità proprio per togliere dalla scena un personaggio che avrebbe potuto gestire una specie di processo di transizione verso un'apertura alle opposizioni più moderate. Il dittatore ha poi fatto sapere che prima del 1990 non ci saranno elezioni, né sarà formato un Parlamento. Il mandato che Pinochet si autoattribuisce scadrebbe nell'89, ma è rinnovabile – tiene a precisare – per altri otto anni.
Come condurre la lotta? È questo il problema dei democristiani cileni. Purtroppo la presenza di forti contrasti, anche all'interno dei maggiori partiti, non favorisce il compito delle opposizioni. Da una parte esiste l'Alleanza democratica, che com prende socialisti e democristiani, ma esclude i comunisti, (è il partner che la giunta sembrava avesse scelto per comiciare a dialogare), dall'altra esistono forme di coordinamento che abbracciano anche i comunisti e l'estrema sinistra. ma che per questa ragione seono condannate all'illegalità. La discriminante sta nel rifiuto dei metodi di lotta violenta.che i comunisti cileni non vogliono abbandonare.
All'interno della Democrazia Cristiana cilena esistono posizioni diverse. La maggioranza del partito intende portare avanti l'esperienza dell'Alleanza democratica; la sinistra democristiana preferirebbe una strategia che coinvolga tutte le forze di opposizione, compresi i comunisti, per preparare un'autentica rifondazione del Paese.
Tra i movimenti giovanili vive la stessa contraddizione. È venuta recentemente in Italia una delegazione del Codeju, il Comitato per i diritti dei giovani, piattaforma multipartitica presieduta da Felipe Sandoval, della sinistra democristiana, e nella quale sono rappresentati giovani socialisti e comunisti. Il loro terreno d'azione non è ancora quello politico, ma prepolitico; si battono per il rispetto dei diritti umani e lavorano a stretto contatto con la gente delle poblaciones.
Si tratta di famiglie che vivono ormai sull'orlo della follia, della disperazione: senza casa, senza cibo, senza lavoro. Per questo la protesta a volte esplode spontanea, incontrollabile. come nell'autunno scorso. Farsi ammazzare nelle strade non è prospettiva peggiore che continuare a vivere in quelle condizioni.
L'esasperazione è generalizzata. Ma come reagire? La violenza è perdente non solo moralmente, ma anche strategicamente. I sassi non possono rovesciare un regime militare, e gli attentati occasionali non fanno che inasprire la repressione. Gli spazi per la protesta civile e non violenta sono ridotti al minimo. Eppure la dittatura non può cadere da sola, anche se il consenso è praticamente nullo.
Non crede più in Pinochet la classe media; non ci crede più nemmeno l'alta borghesia dei circoli di tennis e dei grandi viali alberati di Santiago, che sembrano lontani mille miglia dalle poblaciones. Il regime si sente isolato, è questo è il motivo dei suoi isterici comportamenti.
Piangere gli scomparsi, percuotere le pentole, pregare. Il popolo cileno, che vanta una tradizione di vita democratica superiore a quella di altri paesi latino-americani, si raccoglie attorno ai propri simboli: i poeti e i martiri, la Chiesa, i grandi partiti.
Un paese difficile
Una lunga striscia di terra sulla costa occidentale del continente sudamericano, con una larghezza media di 200 chilometri e una lunghezza di 4.300. Dal clima tropicale e dai deserti del nord del Paese, ai ghiacci della Terra del Fuoco alle porte dell'Antartide.
Una struttura fisica atipica quella del Cile, ma naturalissima, perché delilitata a est, al confine con l'Argentina, dalla Cordigliera delle Ande. In pratica una lunga e stretta valle, fertile e abitabile solo nella parte centrale del Paese, dove si verificano i maggiori insediamenti di popolazione, inospitale siaal nord che alsud. In pratica l'85 per centodegli abitanti vive nelle regioni centrali, oltre un quarto nella capitale, Santiago. Gli indios (soprattutto araucani, il popolo che abitava il Cile meridionale, e che ha resistito per molto tempo alla colonizzazione) sono appena il 5 per cento. La maggior parte della popolazione (65 per cento) è costituita da meticci, mentre il restante trenta per cento è formato da bianchi, eredideicolonizzatori europei; non solo di origine spagnola ma anche tedesca, italiana, francese e slava.
C'è da dire che il ritmo di crescita della popolazione è elevato (i cileni sono attualmente più di 10 milioni e mezzo). Questo porta a un abbassamento dell'età media (la metà della popolazione ha meno di vent'anni), e a grandi problemi legati alla condizione economica drammatica del Paese.
Il Cile trae la sua massima ricchezza dalle esportazioni di rame e di nitrato di sodio, ma molti altri sono i prodotti del sottosuolo e i settori industriali sviluppati, mentre la presenza del latifondo e gli scompensi climatici non hanno mai consentito uno sviluppo in senso moderno dell'agricoltura. Troppo breve l'esperienza della riforma agraria del governo di Unidad Popular, per cui il Cile è costretto ad importare gran parte dei prodotti alimentari.
Una situazione come si vede già squilibrata in partenza, che la gravissima crisi economica (inflazione inarrestabile, disoccupazione di massa, crollo della produttività e deficit della bilancia dei pagamenti) sta rendendo insostenibile.
L'obiettivo della giunta militare, e dei suoi consiglieri in campoeconomico, i «Chicago boys», che si ispirano a filosofie neoliberiste lontane dalle necessità di un Paese dove la fame è ormai realtà di ogni giorno, è miseramente fallito.
La struttura sociale del Paese era, lino agli anni 70, ben definita; una divisione abbastanza rigida, quasi di casta, fra l'alta borghesia di estrazione europea, che deteneva la ricchezza del Paese; la casta militare, l'esercito, orgogliosa delle proprie tradizioni di matrice quasi prussiana; una classe operaia molto forte e politicamente più matura rispettoad altre realtà sudamericane (perché l'industrializzazione del Cile cominciò molto presto, per sfruttare le risolrse naturali, le uniche fonti di ricchezza del Pese). In mezzo il ceto piccolo borghese e impiegatizio.
Adesso che la crisi ha investito tutti, a parte la ristretta oligarchia dominante, che comunque vede vacillare la sua culla ovattata, il datoche emerge è quello di una proletarizzazione di massa. I disoccupati sono il trenta per cento, secondo le cifre ufficiali; in pratica la disoccupazione colpisce un cileno su due in età da lavoro. La maggior parte della gente vive con redditi da fame, in una situazione che peggiora ogni girono a causa dell'inflazione, nelle poblaciones, gli agglomerati di baracche ai margini della città. Un chilo di pane costa ottocento pesos; il reddito medio di una famiglia delle poblaciones è di seimila pesos mensili a persona.










