Cile. Una settimana nella tana di Pinochet
Arriviamo a Santiago lunedì nel primo pomeriggio: all'aeroporto ad attenderci un gruppo di giovani tra cui Delia del giovanile democristiano, già conosciuta al Festival di Mosca.
Restiamo un po' stupiti da questo aeroporto, da Santiago che ci appare dai vetri dell'auto, occidentale, quasi europea; una città dove ad un primo impatto è invisibile la presenza del regime, della polizia: non immaginiamo neppure lontanamente quante volte saremo smentiti in questa valutazione durante la nostra lunga settimana cilena.
Iniziamo subito i nostri incontri con i dirigenti dei movimenti giovanili.
In Cile siamo arrivati in cinque: Renzo Lusetti per il Movimento Giovanile D.C., Roberto Cuillo responsabile esteri della FGCI, Oscar Giannino appena eletto segretario nazionale dei giovani repubblicani, Giuseppe Pagano responsabile esteri della FGS ed io in qualità si Presidente del CIGRI; Marco Pasqualin della gioventù liberale, ci raggiungerà più tardi.
Gli 11 Movimenti Giovanili cileni sono riuniti in una organizzazione unitaria: la «mesa de concertacion juvenil». Cogliamo subito l'importanza di questo fatto (conosciamo le divisioni esistenti tra i partiti d'opposizione) che assume qui in Cile una grande valenza politica; i colloqui seguenti ci porteranno poi a comprendere come i giovani, gli studenti coprano un ruolo centrale nella lotta al regime.
Ascoltiamo attenti la descrizione dei punti contenuti nel manifesto che la gioventù cilena ha sottoscritto nel marzo del 1986.
Al centro del programma la mobilitazione sociale e la necessità di un patto politico tra le forze democratiche. Sono i temi che ritroveremo in tutti i colloqui, in tutte le riunioni alle quali assisteremo: in ogni militante d'opposizione c'è la consapevolezza della necessità di unirsi, di lottare insieme.
Poi un'analisi dei fatti del 1973 che portarono alla caduta di Allende, ed ancora, il rifiuto di qualsiasi trattativa con Pinochet, la possibilità di negoziare con le forze armate a patto che esse accettino di ricoprire il loro ruolo naturale di garanti della libertà; infine i cardini della futura democrazia che insieme vogliono costruire: libere elezioni, rispetto per le minoranze, tutela dei diritti.
Si affrontano nel documento temi di grande respiro: la separazione dei poteri, il sistema elettorale, il ruolo dei partiti. Tutto ci riporta immancabilmente agli affascinanti dibattiti dell'assemblea costituente: il parallelo è inevitabile e a dire il vero suscita in noi un pizzico di invidia.
Durante la nostra permanenza a Santiago ci accorgeremo di come qui i giovani alternino questa grande elaborazione culturale con duri momenti di lotta. Allo stesso modo, con la stessa passione con cui discutono, organizzano clandestinamente le loro selezioni all'università, sono in trincea durante gli scioperi, rischiano quotidianamente la vita.
Ed in mezzo a loro tanti giovani D.C.: occupano posti chiave nelle organizzazioni giovanili, in un paese dove essere il Presidente o il coordinatore generale vuol dire essere arrestati e confinati più degli altri, dove essere il responsabile significa essere nel mirino, costantemente.
In serata ci rechiamo alla Cattolica, l'unica Università Cilena a non essere governata da un rettore militare.
Solo qui gli studenti hanno a disposizione stanze e mezzi per la loro attività.
Nelle altre università si tengono sì elezioni ma il risultato, sempre favorevole all'opposizione, non è tenuto in nessun conto dal regime, nonostante partecipi ad esse una percentuale altissima di studenti.
Alla Cattolica è diverso: qui si elegge la rappresentanza «estudiantil» alla quale vengono offerte possibilità di organizzazione e di espressione.
Ci sono elezioni la settimana prossima; mentre aspettiamo l'arrivo di alcuni amici, mi soffermo ad osservare il via vai degli studenti che arrivano con manifesti elettorali, discutono, si organizzano: (che differenza con le nostre università, così stanche e deserte sul fronte della presenza studentesca!)
Sul muro campeggia un manifesto: molte foto di giovani e la scritta: «DONDE ESTAN? SON CHILENOS COMO USTED, LUCHABAN POR LA DEMOCRACIA PARA CHILE».
Sono «desaparecidos» scomparsi nel nulla, colpevoli solo del loro desiderio di libertà.
Claudia, una giovane comunista, vissuta per molto tempo in Italia, ci racconta delle repressioni del 1° maggio. Parliamo con Tomàs, presidente degli studenti, democristiano: il suo compito è importante: servire la causa delle opposizioni rendendo fruibili a tutti gli studenti Cileni le strutture della Cattolica, i mezzi di cui dispone.
Ci descrive con compiutezza il quadro universitario, il frazionamento operato da Pinochet per impedire l'aggregazione degli studenti, le difficoltà di superamento degli esami di ammissione, mezzo di selezione asservito ai disegni del regime.
Torniamo in albergo commentando questa prima giornata, non immaginiamo nemmeno lontanamente quello che succederà domani. Martedì, in mattinata, ci rechiamo alla Vicaria della Solidarietà: una piccola porta nasconde agli occhi del regime la grande attività che la Vicaria svolge. Essa rappresenta il nervo centrale della difesa dei diritti umani; qui, medici, avvocati, professionisti, mettono a disposizione le loro capacità professionali per aiutare la popolazione. Si adoperano per conoscere la verità sui desaparecidos; assistono le vittime dei rastrellamenti, organizzano colonie urbane per bambini, vendono artigianato locale.
Lavorano nella Vicaria 117 persone, sono il braccio operativo della Chiesa che qui in Cile copre un ruolo di fondamentale importanza.
Ci raccontano delle persecuzioni, delle detenzioni, dei loro morti; a conferma di ciò andiamo tutti insieme in carcere a trovare Gustavo e Ramiro (sono per noi volti e nomi familiari, letti nei numerosissimi manifesti di protesta), un medico ed un avvocato colpevoli solo di difendere ed assistere i deboli. Sono sereni: anche qui riescono a continuare la loro opera di solidarietà; essere in prigione li rende ancor più consapevoli 'dell'importanza del loro ruolo. «Oggi, a noi domani ad altri — ci dice Gustavo — l'importante è continuare».
Renzo Lusetti ed io incontriamo il Presidente Valdès nella sede della D.C.: c'è gran movimento, grande attività; ci invita a parlare sottovoce: «le telecamere ed i microfoni del regime arrivano anche qui».
A colazione con i dirigenti del Movimento Giovanile Cileno discutiamo della manifestazione internazionale di solidarietà che stiamo organizzando a Firenze; dalle loro parole traspare la volontà di cercare insieme agli altri un accordo: l'importante è essere uniti.
Una breve riunione è sufficiente per comprendere quanto sia fondamentale qui in Cile il lavoro del nostro partito, quanto sia grande la responsabilità di essere forza trainante.
La piena consapevolezza del grande ruolo della D.C., del suo essere partito di popolo, realmente radicato nel sociale, la acquisiremo visitando i quartieri popolari, ascoltando i sindacati, parlando con i giovani: «siamo senza dubbio il primo partito del paese».
La riunione con i giovani è molto rapida, dobbiamo trovarci con gli altri per partecipare alla marcia di protesta indetta per oggi dal Comando nazionale dei lavoratori: c'è molta tensione per questo avvenimento.
Uscendo, il viale principale di Santiago si presenta ai nostri occhi in maniera completamente diversa da quando siamo entrati.
La strada è stata sbarrata dalla polizia militare; è vietato il transito degli autoveicoli, in centro la gente circola all'interno degli sbarramenti, numerosissima, a piedi. Ad ogni semaforo un gruppo di militari in assetto di guerra, con mitra spianati ed il volto dipinto di nero. È impressionante: non hanno più di 18-20 anni. Delia ci racconta che qualcuno di loro una settimana prima protestava contro il regime, ora è stato precettato per il servizio militare e si trova costretto dall'altra parte della barricata; tutti giovanissimi, obbligati a difendere il regime dalle proteste della gente, dai loro stessi fratelli.
Ci avviamo veloci verso l'albergo ecominciamo ad avvertire il fastidio dei gas lacrimogeni nell'aria.
Raggiunti gli altri ci dirigiamo verso piazza Italia dove inizierà la manifestazione: le vie sono piene di gente che cammina, discute, indifferente alla polizia, indifferente all'assedio.
Con la presenza testimoniano la loro solidarietà alle opposizioni. È questo un aspetto della «mobilitacion popular». Arrivano all'improvviso delle camionette, tutti corrono a ripararsi dietro alle edicole, dentro i negozi: Delia ci grida di fare altrettanto: entrano in funzione gli idranti, spazzano via tutto e tutti; ci salviamo solo per aver trovato vicino a noi una bancarella coperta da un telo impermeabile. I militari passano e noi continuiamo nel verso oppo sto: sempre verso Piazza Italia.
Cento metri poi un'altra carica: questa volta sono lacrimogeni. Io e Delia ci rifugiamo in una galleria di negozi che dà su una via parallela, ci affrettiamo ad uscire sul retro ma un'altra gruppo corre verso di noi, i militari hanno attaccato anche dalla parte opposta. Riusciamo ad uscire in mezzo al fumo (non ho mai desiderato tanto una fazzoletto o un po' di limone), cerchiamo Renzo e gli altri, li troviamo con gli occhi rossi: un lacrimogeno è scoppiato loro tra i piedi. Nella confusione abbiamo perduto Pagano, Io ritroveremo la sera in albergo, ci racconterà di essere stato fermato e malmenato dalla polizia.
Respiriamo un po', poi di nuovo verso Piazza Italia. Arriviamo alla Cattolica, la presenza di altri militari ci spinge ad entrare; per la strada un grido si leva più volte: «:y va caer». Anche gli studenti cominciano a gridare questo slogan che sentiremo ripetere fino a sera; poi più forte «assassino, assassino»; un gruppo di militari arriva fino al cancello e noi dentro, gridando ancora. «I militari non dovrebbero attaccare — mi spiegano — alla Cattolica non è mai successo». Improvvisamente una bomba lacrimogena viene lanciata verso di noi, qualcuno chiude il cancello ma il fumo riempie ugualmente l'atrio e ci costringe a scappare.
Più tardi proviamo ad uscire, gli studenti sono indignati per l'affronto fatto alla Cattolica ma riescono a restare in silenzio: si avvicina un militare e minaccia di arrestarci se solo varchiamo il cancello.
Troviamo allora una uscita secondaria e torniamo verso l'albergo. È gia tardi, sono tutti preoccupati per noi, ci danno di volta in volta consigli su come comportarci: per loro è tutto normale, per noi decisamente un po' meno.
Tutte le strade di accesso al centro sono bloccate, riusciamo a tornare in albergo solo grazie all'intervento di un diplomatico svedese. Commentiamo tutti insieme l'accaduto; siamo stupiti: solo ora riusciamo a comprendere quanto sia brutale la repressione che impedisce a monte qualsiasi tentativo di ribellione.
Ci informano che Roland, uno studente di 19 anni, è stato ferito gravemente. Questo è il Cile, questo è Pinochet.
Gli amici cileni hanno ottenuto per noi un invito dall'assemblea degli ex parlamentari alla quale partecipano numerose delegazioni di deputati stranieri. L'invito non è altro che un piccolo cartoncino giallo senza alcuna intestazione, senza alcun timbro: ci guardiamo un po' stupiti... comunque... andiamo. La strada è sbarrata, alla sala non può accedere nessuno; riusciamo ad entrare ed incontriamo l'On. Bonalumi che interviene ed annuncia per noi il convegno di Firenze. I giornali riportano tutti le invettive della giunta militare contro questa iniziativa: si tende a screditare elencando le assenze di personaggi autorevoli nel panorama politico internazionale (per l'Italia viene citato l'On. Rumor).
Da giovedì, terminata l'assemblea, cominceranno a scagliarsi contro di noi. Visitiamo «Victoria», una delle più grandi «poplaciones» di Santiago. Quanto contrasto tra questi quartieri popolari, fatti di baracche e piccole case, e la collina e la città dove le ville dei generali e dei «potenti» sembrano anch'esse sorvegliare Santiago.
Va via la luce, gli attentati sono numerosissimi: la vista è desolante, niente asfalto, niente strutture, niente servizi: eppure in questi quartieri vive il 70% della popolazione.
Visitiamo la piccola casa di un parroco ucciso dal regime con una pallottola sparata dalla strada mentre leggeva vicino alla finestra. Non credo dimenticheremo con facilità la foto a colori, illuminata da una candela, che lo ritrae accasciato sulla scrivania con in evidenza il foro del proiettile sul collo. Ci portano ad una assemblea democristiana, in un locale adiacente alla Chiesa. Alcuni dirigenti del partito spiegano alla gente quello che qui è considerato un fatto politico di grande rilevanza.
Si è costituita in Cile «l'assemblea della civiltà». Medici, studenti, avvocati, pobladores, minatori, commercianti hanno elaborato insieme, superando le divisioni politiche, un programma di lotta: «la domanda del Cile».
È un ultimatum a Pinochet, scaduto il quale il paese si fermerà in un «paro general», uno sciopero generale che, attraverso la disobbedienza civile dovrà creare le condizioni per la caduta del dittatore. È indubbia l'influenza della vicenda filippina. Così, mentre i partiti si dividono nell'individuazione delle strade da seguire per il rovesciamento del regime, la società civile si organizza, cosciente della forza derivante dall'unità.
È presente alla riunione Jorge Lavandero, deputato democristiano, forte avversario di Allende, che oggi paga la sua opposizione a Pinochet con la sordità, ricordo delle carceri del generale.
Non ha perso però neppure un grammo della sua combattività.
Va via improvvisamente la luce e come se nulla fosse accaduto l'assemblea continua. I dirigenti annunciano la nostra presenza; credo di aver ricevuto in quel momento l'applauso più bello della mia vita. È la testimonianza di quanto sia importante la solidarietà internazionale, di quanto sia utile far comprendere ai Cileni che nella loro lotta non sono soli.
Commentiamo la riunione con Claudia, non avrebbe mai creduto di poter assistere ad una riunione democristiana, speriamo serva anche questo.
I numerosi partiti qui in Cile sono divisi in due blocchi: da una parte l'Allenza Democratica che fa perno sulla D.C., alla quale aderiscono i repubblicani, i liberali, l'opposizione di destra ed alcuni partiti socialisti; dall'altra il Movimento Democratico Popolare che raccoglie i comunisti, i socialisti di Almeyda ed il Mir.
Incontriamo gli uni e gli altri, ai massimi livelli.
In entrambi la consapevolezza della necessità di essere quanto più possibile uniti, la condivisione _di alcune scelte quali la mobilitazione popolare, lo sciopero generale, l'importanza di arrivare presto alla democrazia, senza aspettare le elezioni indette per il 1989, il rifiuto della Costituzione del 1980. Ma quante divisioni, quanti condizionamenti internazionali. Questa classe dirigente sconta, paradossalmente, i lunghi anni di democrazia che hanno visto la stessa essere classe di governo. C'è tra loro la consapevolezza che il peso dei partiti che rappresentano sarà diverso a seconda delle strade che si seguiranno dopo la caduta del regime. E intanto Pinochet governa, ormai da tredici anni!
È arrivato il giorno del Congresso: alla facoltà di diritto si registrano le presenze. Un rappresentante del CONFECH (la federazione studentesca unitaria che ci ha invitato) annuncia che sono in corso trattative con la polizia ed il rettore militare. Poi la notizia: hanno deciso di disperderci, abbiamo 20 minuti per lasciare l'Università.
Tra gli studenti sembra prevalere l'idea di restare comunque, Felipe ci avverte del pericolo: sta a noi decidere se andar via oppure no. Decidiamo di restare, siamo venuti per questo.
Incontriamo Yerko, giovane D.C., coordinatore degli studenti che abbiamo conosciuto in Italia. Ci informa che hanno deciso di lasciare l'Università e recarsi alla Cattolica: «E stupido farsi arrestare – ci dice – il congresso deve svolgersi ad ogni costo». Lui sarà arrestato il giorno dopo.
Alla Cattolica ci si divide in gruppi di lavoro; le sedi ci saranno comunicate all'ultimo momento.,
Ronald, il ragazzo ferito negli scontri di ieri, è gravissimo; la sua scuola è stata occupata dagli studenti che chiedono una nostra presenza. Arriviamo in una grande sala dove sono tutti riuniti in assemblea permanente: è in corso una conferenza stampa, parlo a nome della delegazione italiana manifestando loro la nostra solidarietà e la speranza che tutti possano presto conquistare il diritto ad una cultura libera e soprattutto il diritto alla vita.
Al termine dell'assemblea gli studenti escono in strada e bloccano il traffico: arriveranno i soliti candelotti a disperderli.
In serata ci informano che la televisione di Stato ha parlato di noi come forze sovversive presenti in Cile al servizio dell'ideologia marxista. Ci scherziamo su e prepariamo un comunicato stampa.
Venerdì mattina, mentre siamo in riunione con i dirigenti giovanili, ci informano dell'arresto di Yerko, di altri 30 studenti e del rappresentante del Costarica che verrà espulso dal paese.
Corriamo alla Cattolica e diffondiamo un fermo comunicato di condanna dell'accaduto.
L'importante è farlo arrivare alla radio democristiana, l'unica voce di opposizione ascoltata in tutto il paese.
Ronald è morto, aveva 19 anni. «Nistrus muertus son semilla de libertad» scrive un ragazzo su un cartoncino che credo conserverò.
Un attimo di smarrimento, poi di nuovo al lavoro.
Assistiamo ad una assemblea di rappresentanti delle «poblacions». Un entusiasmo incredibile: si organizza il «paro generai»: si boicotteranno i prodotti che fanno pubblicità alla televisione di stato, non si acquisteranno i quotidiani, si organizzeranno raccolte di fondi per nutrire i bambini.
I Pobladores hanno scelto la quinta di Beethoven come inno della rivolta. Mille assemblee sono in programma per i prossimi mesi, un milione di vola,ntini con la «domanda del Cile» verranno distribuiti. Anche qui è molto forte il vento filippino.
Ci guardiamo stupiti: una organizzazione perfetta; e pensare che questa è solo una delle tante organizzazioni delle poblaciones.
Stessa carica, stessò entusiasmo tra i sindacalisti (il Comando Nazionale dei Lavoratori) che ci accolgono in una sede dove frenetica sembra l'attività. Si commenta la manifestazione del 20 maggio, invitiamo il loro leader Rodolfo Segue! alla manifestazione di Firenze: non può uscire dal paese più di una volta al mese ed ha già preso un impegno. «Saranno giorni caldi» – precisa – . È vero, noi ci vediamo a Firenze proprio quando il Cile sarà al massimo della tensione (il paro generai è previsto per il 2 o 3 luglio).
Segue! sarà arrestato il giorno seguente per aver difeso alcuni giovani che esponevano i loro prodotti artigianali su bancarelle. Verrà rilasciato dopo qualche ora.
Passiamo questa ultima serata Cilena a cena, tutti insieme. Si discute del debito estero, della estrema povertà dei Cileni, del tracollo dell'economia. Cantiamo insieme alcune note canzoni tra cui la famosissima «Venceremos» il proprietario ci chiede di smettere o sarà costretto a mandarci via. «Questo è il Cile».
Sabato mattina una conferenza stampa prima di partire, domani ci saranno i funerali di Ronald, alcuni di noi rimarranno, li invito alla prudenza.
Io, Renzo e Oscar Giannino partiamo tra poco, l'aeroporto di Santiago non ci sembra più così occidentale come all'arrivo: scorgiamo la dittatura in ogni angolo in ogni formalità: non la dimenticheremo presto questa settimana cilena.














