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Il punto sulla situazione mediorientale

Nuova Politica - Il punto sulla situazione mediorientale pagina 12
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Una guida utile alla lettura della questione palestinese e della difficile realtà del Libano.
Anche il 1985 è stato un anno particolarmente denso di avvenimenti sul. fronte mediorientale e·vari episodi di terrorismo internazionale hanno evidenziato ancora una volta che tutta la comunità dei paesi mediterranei (ma non solo quella) rimane inevitabilmente coinvolta dalle tensioni politiche che ivi hanno origine.

D'altra parte il rincorrersi frenetico di avvenimenti e colpi di scena rende sempre estremamente difficile una lettura ordinata della situazione mediorientale e una valutazione consapevole della politica estera italiana, che resta normalmente affidata ad emozioni passeggere o ad incoffessati pregiudizi razziali.

Tutto ciò rende utile il tentativo di riepilogare rapidamente alcuni degli elementi essenziali della questione e di interrogarsi sui fatti nuovi emersi al riguardo negli ultimi tempi, con particolare riferimento a quelli che vengono normalmente considerati come i maggiori punti di condensazione: la questione libanese e la questione palestinese.

La guerra civile libanese

Com'è noto, nel Libano – un tempo definito la «Svizzera del Medio oriente» per la sua fiorente economia di intermediazione finanziaria e commerciale – è in atto dal 1975 una situazione, ora latente ed ora esplosiva, di guerra civile, dovuta ad un complesso difficilmente estricabile di fattori.

Bisogna ricordare anzitutto che il Libano, entità statuale abbastanza artificiosa sorta nel 1920 dalle ceneri dell'Impero ottomano, è costituito da un mosaico di comunità religiose (principalmente quella cristiano maronita da una parte e quelle musulmane sciita, sunnita e drusa dall'altra), tra le quali vige dal 1943 un patto costituzionale che «lottizza» rigorosamente le cariche pubbliche in base ai dati di un censimento del 1932 (ad esempio, la Pres. della Repubblica èappannaggio dei maroniti, il primo ministro spetta ai sunniti, la Pres. della Camera è sciita, ecc.), e che favorisce largamente la comunità cristiano maronita. Tale sistema costituzionale è entrata progressivamente in crisi – al di là delle difficoltà naturali di convivenza tra le varie confessioni – per il modificarsi dell'equilibrio demografico a favore delle comunità musulmane (e in particolare di quella sciita) che ne reclamano pertanto una revisione.

Non meno importanti sono però le tensioni di ordine sociale e politico, che si sovrappongono solo parzialmente a quelle di natura religiosa: se è vero, infatti, che la comunità cristiana è composta in gran parte da possidenti terrieri ed alta borghesia e che la comunità sciita e drusa rappresentano tendenzialmente le classi contadine ed il proletariato urbano, è anche vero che la comunità sunnita ha un ruolo di primo piano nel mondo degli affari.

Né va dimenticato che all'interno di ciascuna comunità si riproducono divisioni laceranti di ordine politico (ad esempio, la comunità cristiana dà vita a tre diversi partiti: quello naz. lib. di C. Chamoun, il Kataeb di P. Gemayel, il Marada di S. Franjie), religioso (gli sciiti, ad esempio, hanno al loro interno un'ala radicale difficilmente controllabile: gli «hezbollah», di obbedienza komeinista) ed ancora sociale (tutta la struttura sociale libanese è fortemente improntata di caratteri feudal mafiosi, per cui ogni comunità si divide in grandi famiglie rivali tra loro).

In sostanza, se a prima vista si può parlare di una contrapposizione cristiani-musulmani, si deve aggiungere subito dopo che nella situazione libanese sono sempre esistite le premesse di una guerra di «tutti contro tutti».

A fare da detonatore, in questa situazione esplosiva, è intervenuto però un elemento esogeno: la crescente immigrazione di palestinesi che, specie dopo il 1970 (dopo, cioè, il «Settembre nero»), ha concentrati nei campi di Sabra, Chatila e Bury el Barajne nei pressi di Beirut (dove vive – va ricordato – più della metà dell'intera popolazione libanese) un elemento etnico a dir poco vivace, perché fortemente organizzato e concorrenziale sul piano economico e militare (e perciò riluttante ad accettare i potentati tradizionali) e decisamente motivato sul piano politico (in senso antiisraeliano all'esterno ed in senso socialisteggiante all'interno). Da cui, un odio feroce con i cristiano maroniti e una convivenza tutt'altro che facile con le altre comunità.

Così, in una situazione in cui ogni comunità andava attrezzandosi sul piano militare (i cristiani con le truppe falangiste, gli sciiti con le milizie di «A.mal», i sunniti col gruppo «Morabitum», i drusi con un aute11tico esercito di popolo) è stata proprio l'ennesima provocazione tra cristiani e palestinesi a innescare nel 1975 la guerra civile, che si è protratta fino ad oggi, passando attraverso due Conferenze di riconciliazione (nel 1983 e nel 1984), che hanno portato alla costituzione di un governo di coalizione, totalmente impotente a fronteggiare la situazione.

A questo punto è importante sottolineare il ruolo destabilizzatore svolto in questa situazione dalle due potenze della Regione: Siria ed Israele.

Secondo la maggior parte degli osservatori, la chiave di lettura dei cangianti atteggiamenti del Governo di Damasco è costituita dal miraggio della «Grande Siria», cioè dal desiderio di riassorbire progressivamente il Libano nei confini esistenti al tempo del Mandato francese. Di qui – come tappa intermedia – l'obiettivo di impedire che una qualsiasi delle forze in campo possa prendere il sopravvento e di mantenere in subbuglio la situazione per poter svolgere un ruolo decisivo di mediazione e di garanzia (anche attraverso una pesante presenza militare nella Valle della Bekaa); così si capisce, ad esempio, perché la Forza di Dissuasione inviata in Libano nel 1976, con l'appoggio tacito delle parti in causa, abbia finito per prendere le difese dei maroniti, che apparivano allora soccombenti, e per ridimensionare decisamente il compatto elemento palestinese (anche attraverso la palese complicità con i falangisti nel massacro di Tall el Zastar).

D'altra parte, Israele è sempre stata dominata dalla ricerca della propria sicurezza, che, sul fronte libanese, ha comportato una lotta senza quartiere alle basi del terrorismo palestinese e a chiunque avesse offerto ad esse un appoggio logistico. Di qui, l'attacco sferrato nel 1978 fino al fiume Litani e la sponsorizzazione offerta allo statò cuscinetto creato nel Libano sud dall'alleato falangista Maggiore Haddad; di qui soprattutto, l'operazione «Pace in Galilea» che, dal 1982, ha visto truppe israeliane invadere il Libano fino a cingere d'assedio Beirut per scacciarvi i feddayin (sotto lo sguardo compiaciuto di tutte le parti in causa, sunniti esclusi), consentire poi ai falangisti i massacri di Sabra e Chatila, e più in generale, imporre una sorta di quiescenza della guerra civile, sotto la pax armata israeliana.

Gli avvenimenti principali del 1985

Quali elementi di novità sono emersi in questo quadro, nell'ultimo anno? Riassumiamoli schematicamente:

1. Israele ha praticamente completato il ritiro dal Libano nei primi sette mesi dell'anno, in conformità al c.d. «Piano Rabin», che risponde alla diffusa esigenza del popolo israeliano di porre fine ad una guerra sanguinosa in cui Israele giocava fin troppo scopertamente il ruolo di paese aggressore (v. il ruolo svolto da movimenti del tipo «Peace now»).

2- Contemporaneamente al ritiro delle truppe israeliane, si è riaperta la guerra civile per acquisire il controllo delle zone liberate, guerra nella quale gli sciiti (vero elemento emergente della situazione) hanno fatto la parte del leone, rioccupando gran parte del Libano meridionale, dove resistono ormai solo piccole roccaforti cristiane. Per il resto, i drusi restano forti soprattutto sullo Chouf, mentre a Beirut permane la distinzione fra una zona est (cristiana) ed una zona ovest (musulmana), separate dalla c.d. «linea verde», nelle quali esplodono alternativamente le ormai famose auto imbottite di tritolo.

3. Mai come nel 1985, però è stato chiaro che, nella guerra civile libanese ogni alleato è anche un avversario, attuale o potenziale. In campo musulmano, nell'aprile, drusi e sciiti hanno praticamente annientato in 15 ore di battaglia dentro Beirut ovest le truppe «morabitum», dei sunniti; nel maggio, gli sciiti, approfittando della partenza di tutti i contingenti multinazionali di pace, hanno scatenato contro i palestinesi la c.d. «guerra dei campi», affamando la popolazione dei campi profughi vicino a Beirut e mietendo centinaia di vittime; ma anche tra gli «alleati fedelissimi» – come amano chiamarsi i drusi di Joumblatt e gli sciiti di N. 

Berrih – già in tensione per l'appoggio offerto dai primi ai palestinesi, è scoppiata puntualmente a novembre la c.d. «guerra delle bandiere» (80 morti) per il controllo di Beirut ovest (e sfociata poi in una ulteriore distinzione di quest'ultima in una zona nord drusa ed in una sud, sciita). In campo cristiano, nel marzo, si è creata invece una frattura tra la «Falange», dominata dalla famiglia Gemayel e le «Forze libanesi», rette da un difficile duumvirato di S. Gaegea (capo militare) ed H. Hobeika (capo politico).

4. Sempre nel 1985, sono entrati in scena a complicare la situazione, le frange impazzite dell'estremismo islamico, sia nella versione sciita (dirottamento nel giugno del Jet della TWA da parte degli Hezbollah: un morto) che in quella sunnita (rapimento, in ottobre, di 4 funzionari dell'ambasciata sovietica: un morto).

5. Per concludere, il tentativo fatto a Damasco il 28 dicembre da Hoberika, Joumblatt e Berrih di raggiungere un accordo sulla testa di Gemayel (nuovo patto cost., riduzione dei poteri del Pres. della Rep.) ha determinato la immediata reazione di quest'ultimo che, alleatosi nuovamente a S. Gaegea nel comune sentimento antisiriano, ha ricompattato le milizie cristiane, sconfig

gendo le «Forze libanesi» rimaste fedeli ad Hobeika (oltre 200 morti) ed esiliando quest'ultimo a Parigi. Alla fine di gennaio, quest'ultimo, rientrato prontamente in Siria ha iniziato a riprendere contatto con le componenti antifalangiste del fronte cristiano (Frangie e Chamoun).

La questine palestinese

Certamente più conosciuti sono i dati essenziali della questione palestinese, che costituisce il nocciolo duro dell'intera questione mediorientale. Anche qui cerchiamo comunque di riassumerli schematicamente.

Com'è noto, per questione palestinese si intende il complesso delle tensioni originate dal fatto che lo Stato di Israele è sorto nel 1948 su un territorio in precedenza abitato prevalentemente da popolazione araba, progressivamente costretta ad allontanarsi dalle successive ondate di immigrazione ebraica verificatesi nella prima metà del secolo. In questo senso, il motto in cui si riassume il programma sionista al fine di porre termine alla diaspora ed alle persecuzioni del popolo ebreo – «dare una terra senza un popolo ad un popolo senza terra» – era, almeno in parte, falso e ha dato origine ad una nuova diaspora ed a nuove sofferenze.

Va ricordato preliminarmente che nel 1947 l'ONU aveva fatto un tentativo di regolare la convivenza fra ebrei e palestinesi, prevedendo la creazione di uno stato ebreo e di uno palestinese territorialmente intrecciati fra loro (a quest'ultimo venivano attribuite sostanzialmente l'Alta Galilea, la Cisgiordania e la striscia di Gaza), ma tale progètto (il c.d. «Piano di spartizione della Palestina») era stato decisamente rifiutato dagli arabi e accolto freddamente dagli stessi ebrei. Così, mentre lo stato di Israele si formò fin dall'inizio anche sull'Alta Galilea, i palestinesi che non accettarono !'«ospitalità» dello Stato ebraico emigrarono nei vari stati arabi vicini (principalmente in Giordania ein Libano), mentre i palestinesi della Cisgiordania (o West bank), annessi nel 1949 alla Giordania, sono dal 1967 (cioè dalla Guerra dei 6 giorni) sotto la dominazione israeliana, così come gli abitanti di Gaza.

Detto questo, va sottolineato che per molti arini, la questione dei profughi palestinesi è stata· solo un elemento della più generale ostilità araba nei confronti di Israele e che solo da un paio di decenni – in parallelo cori l'affermarsi nella comunità internazionale del principio di autodeterminazione dei popoli e con la nascita di una organizzazione rappresentativa del popolo palestinese: l'OLP – essa ha assunto l'importanza centrale che ricopre attualmente.

Come era immaginabile, l'OLP, sorta nel 1964, si è immediatamente caratterizzata per una forte ostilità antiisraeliana (l'obiettivo di combattere con tutti i mezzi lo Stato di Israele è sancito dall'art. 1 della Carta Costitutiva) che si è tradotta, specie dopo la sconfitta degli stati arabi nella Guerra dei 6 giorni, in una incessante attività terroristica (anche se i palestinesi rifiutano questo aggettivo per quella che ritengono una guerra di liberazione), sia in territorio israeliano che in paesi terzi (ad esempio, l'eccidio di Monaco).

Per comprendere gli sviluppi più recenti della questione palestinese è necessario tener presente poi alcuni elementi.

In primo luogo, l'OLP è stata composta fin dal suo sorgere da un complesso molto variegato di formazioni politiche, che si dividono sulla matrice ideologica e sulle scelte tattiche e strategiche da seguire nei rapporti con Israele e con i vari stati arabi, anche se un inventario completo di esse è praticamente impossibile, giacchè in alcuni casi si tratta di piccole formazioni militari ed in altri casi di sigle mutevoli scelte per singole operazioni belliche.

In secondo luogo, benchè tutti gli Stati della Lega araba si autotassino in diversa misura per finanziare le attività di vario genere dell'OLP (non bisogna dimenticare che esso tende ad operare come uno stato vero e proprio nei confronti dei cittadini palestinesi), l'appoggio che essi danno alla causa palestinese è sempre condizionato e spesso neutralizzato da valutazioni di politica interna o da obiettivi confliggenti di politica estera. Ad esempio, il Re Hussein di Giordania non ha esitato a scatenare nel 1970 una violentissima repressione antipalestinese (oltre 20.000 morti; è il c.d. «Settembre nero») per porre fine alla decisa opposizione politica da essi svolta al sistema hashemista; il Presidente egiziano Sadat, nello stipulare la pace con Israele, ha pagato il prezzo di una soluzione, per la Cisgiordania e Gaza, ritenuta come un tradimento imperdonabile della causa palestinese; ed anche il Presidente siriano Assad non ha esitato a combattere ferocemente i palestinesi quando essi ostacolavano le sue mire espansionistiche in Libano.

In terzo luogo, tutta la linea politica e militare ufficiale dell'OLP si è mantenuta dal 1964 ad oggi in costante evoluzione, allargando nel contempo il ventaglio di posizioni esistenti all'interno. Per quanto riguarda gli obiettivi ultimi dell'organizzazione, si è passati dalla rivendicazione in Palestina di uno stato laico democratico ed interconfessionale al posto di Israele (Carta costitutiva dell'OLP), all'accettazione di un mini Stato palestinese indipendente in Cisgiordania e a Gaza con Gerusalemme capitale (cioè su una parte soltanto del territorio originariamente previsto dal Piano di spartizione della Palestina), in cambio del ritiro di Israele dai territori occupati nel 1967 (Vertice arabo a Fez nel settembre 1982 e XVI Cons. Naz. Pal. di Algeri del febbraio 1983), alla previsione infine di una forma confederativa di tale mini-Stato con la Giordania (in modo da depotenziarne l'autonomia in politica estera ed in materia di difesa, come sostanzialmente prevedeva anche il Piano Reagan: XVII C.N.P. di Amman nel dicembre 1984). Per quanto riguarda i metodi di lotta, si è cercato timidamente di sconfessare le forme più odiose di terrorismo, come i dirottamenti aerei (annuncio di Arafat del 29 gennaio 1975) o quanto meno di astenersi da azioni contro la popolazione civile, che, oltre a provocare le micidiali reazioni di Israele, determinavano la dissociazione senza riserve della comunità internazionale.

Tutto ciò ha portato, come è noto, ad una netta divaricazione interna dell'OLP, alimentata dal fronte dei paesi arabi radicali, in componenti

«moderate» ed «oltranziste», che ha avuto i suoi risvolti nella guerra fratricida combattuta nella Bakaa e a Tripoli nel dicembre 1983 tra Al Fatah ei ribelli filosiriani guidati da Abu Moussa, nonchè nella espulsione di Arafat da Damasco (24 giugno 1984).

Gli sviluppi del 1985

Cosa ha portato, in questa materia, il 1985?

Riassumiamo, anche in questo caso, per punti.

1. La creazione di un asse preferenziale tra l'OLP di Arafat, la Giordania e l'Egitto, sancita dall'accordo tra Arafat ed Hussein dell'11 febbraio sulle seguenti basi: creazione di una Confederazione tra Giordania e futuro Stato palestinese;accettazione delle ris. ONU sul M.O., senza però esplicits riferimento alla famosa 242; convocazione di una Conferenza int. di pace sul M.O. con i paesi coinvolti più i 5 membri del C.d.S. dell'ONU.

2. La freddezza di Israele e degli USA di fronte al Piano Hussein-Arafat, al quale si contrappone la disponibilità di Israele a trattative bilaterali con i paesi arabi e tuttalpiù anche con una delegazione congiunta giordano-palestinese, in cui i rappresentanti dei palestinesi cisgiordani non siano però membri dell'OLP o del C.N.P. o anche solo subordinati al semplice gradimento dell'OLP. Questa freddezza si è espressa anche nel sostanziale fallimento delle visite di Mubarak (marzo '85) e di Hussein (maggio '85) a Washington. Negli ultimi mesi, Israele – nel quadro di una certa distensione dei rapporti con l'URSS – è sembrata comunque più disponibile ad accettare la cornice di una Conferenza internazionale.

3. La contrapposizione all'OLP ufficiale di Arafat di un Fronte di Salvezza Nazionale, in cui il 25 marzo si sono uniti tra gli altri le organizzazioni Al Fatah-Comando generale (Abu Moussa), Fronte Pop. Lib. Pal. (G. Habbash), FPLP-Com. Gen. (A. Iibril), l'ala filosiriana del FLP (T. Jacub) ed altre, avente la propria sede a Damasco, mentre in posizione mediana rimane il Fronte Dem. Pop. Lib. Pal. di N'. Aawatmeh. Nonostante la forte contrapposizione ad Al Fatah, bisogna ricordare che Abu Moussa è intervenuta ad aiutare le popolazioni dei campi profughi palestinesi (notoriamente fedeli ad Arafat) contro gli sciiti durante la «guerra dei capi».

4. Il perdurare di una attività terroristica palestinese, spesso del tutto estranea all'OLP (attentati di Fiumicino e Vienna del 27 dicembre ad opera della frangia filolibica di Abu Nidal), ma talvolta in rapporti non chiari con lo stesso Arafat (sequestro della Achille Lauro del 7 ottobre e ambiguo ruolo giocato nella vicenda da Abu Abbas, leader del FLP), nella quale Israele ravvisa comunque la responsabilià ultima dell'OLP, cui indirizza le sue azioni di rappresaglia: delle quali, la più eclatante, è stata indubbiamente il raid aereo contro il Q.G. dell'OLP a Tunisi (oltre 150 morti) dopo l'omicidio a Larnaka di 3 turisti israeliani (ad opera, sembra, di «Forza 17», l'organizzazione che cura la sicurezza personale di Arafat).

5. La crescente difficoltà della posizione di Arafat che, pur pagando il prezzo della scissione dell'OLP per la sua opzione «trattativista», non ha ottenuto alcun riconoscimento tangibile da parte israeliana; difficoltà che si esprime, negli ultimi mesi, in continue e poco producenti oscillazioni verbali, come da una parte la c.d. «dichiarazione del Cairo» (7 dicembre, in cui Arafat sconfessa ogni azione di guerriglia fuori dai territori occupati da Israele) e dall'altra la promessa di appoggio a Gheddafi in caso di guerra contro Israele ed USA.

Per concludere, due rapidissime osservazioni sulla politica estera italiana:

1. Per quanto riguarda il Libano, è difficile immaginare una posizione diversa da quella espressa da Andreotti nel viaggio in Siria del maggio 1985: cioè la necessità di favorire la convocazione di una terza Conferenza di riconciliazione interlibanese, alla quale prendano parte, però, tutte le parti in causa.

2. Per quanto riguarda la questione palestinese, il nostro paese non può essere sospettato di simpatie levantine, solo perché tenta di mantenere con grande prudenza (l'Italia infatti non ha ancora riconosciuto ufficialmente l'OLP) i rapporti con le componenti palestinesi disposte al dialogo. Senza indulgere alle frasi provocatorie udite durante il dibattito parlamentare sul caso della Achille Lauro, si deve dire che una pace basata sulla preterizione dei diritti del popolo palestinese sarebbe – oltre che instabile – ingiusta: per cui è lecito attendersi, nella ribadita centralità del rapporto con Israele, un appoggio più deciso al piano di pace di Hussein ed Arafat.

La risoluzione n. 242 del 1967 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU

Una delle difficoltà principali affinché Israele e l'OLP siedano allo stesso.tavolo è data dal rifiuto di quest'ultimo di riconoscere ufficialmente la ris. 242 del 1967. Israele afferma che mai potrà trattare con una organizzazione che oltre ad avere come finalità sancita dallo Statuto la distruzione di Israele, rifiuta di riconoscere la ris. del C.d.S. che garantisce «l'integrità territoriale e l'indipendenza politica di ogni Stato della Regione e il suo diritto di vivere in pace all'interno di frontiere riconosciute».

L'OLP replica che la propria disponibilità a sedersi al tavolo delle trattative implica il riconoscimento dello Stato di Israele, che è d'altra parte previsto anche dall'accettazione che l'Olp fa di molte altre risoluzioni dell'ONU (ad es. le ris. 3236 del 1974 dell'Ass. Gen. ONU): mentre il rifiuto di rionoscere la ris. 242 è dato dal fatto che essa – a differenza delle successive risoluz. ONU che affermano tutte anche il «Diritto di autodeterminazione» del popolo palestinese – si limita genericamente ad auspicare «una giusta soluzione del problema dei profughi palestinesi».

Cronologia della guerra civile libanese dal 1975 al 1984

1975 aprile Massacro di Ain-el-Remmanech da parte dei falangisti: scoppio dells guerra civile libanese.
  luglio Formazione di un governo di salute pubblica.
1976 maggio La Siria invia in Libano una «Forza di Dissuasione» con la funzione di sedare la guerra civile.
  agosto Massacro di palestinesi (circa 6000 morti) a 2.all-el-t.aatar da parte dei falangisti, con la complicità siriana.
1977 marzo Uccisione del leader druso Kamal Jumblatt (pare ad opera dei cristiani maroniti) e recrudescenza della guerra civile.
1978 marzo Invasione israeliana nel Libano meridionale, per colpire le basi del terrorismo palestinese.
Ritiro israeliano su pressione dell'ONU, che decide l'invio di proprie truppe (la UNIFYL) ai confini tra i due paesi.
1979 aprile Proclamazione da parte di Maddad del «Libano libero» nel Sud del Paese.
1982 6 giugno Invasione israeliana (Operazione «Pace in Galilea») nel Libano allo scopo dichiarato di scacciare i feddayn dal Libano.
  11 giugno Grave sconfitta dell'aviazione siriana nello scontro aereo con Israele (86 mig abbattuti contro nessuna perdita per Israele) nella Valle della Bekaa.
  luglio I feddayn palestinesi lasciano Beirut ma gran parte di essi restano nel Libano.
  23 agosto Invio della rforza multinazionale (USA, Francia, Italia) con il consenso della parte in causa, per proteggere l'esodo palestinese: questa forza si ritirerà il 13 settembre ritenendo esaurito il suo compito.
  14 settembre Uccisione di Bechir Gemayel capo delle milizie falangiste eletto un mese prima alla Presidenza della Repubblica: gli succederà pochi giorni dopo il fratello Amin Gemayel.
  16 settembre Strage di Sabra e Chatila ad opera dei Falangisti di Maddad.
  28 settembre Invio della 2ª Forza multinazionale (USA, Francia, Italia) in Libano, con compiti di protezione civile e di supporto ai poteri costituiti.
1983 settembre Arretramento delle truppe israeliane verso Sud.
  ottobre gravissimi attentati (si pensa ad integralisti sciiti) contro i contingenti americano e francese (complessivamente oltre 300 morti);
contemporaneamente si svolge a Ginevra la Conf. di riconc. nazionale che non produrrà alcun risultato concreto, se non la decisione di abrogare il trattato di pace con Israele del maggio dello stesso anno.
1984 gennaio Muore di cancro il maggiore Maddad: gli succede il gen. Lahad.
  febbraio Nuova recrudescenza della guerra fra sciiti e.drusi contro i falangisti.
  marzo Ritiro della 2ª Forza multinazionale di pace.
A Losanna si'svolge la Conf. di ricon. naz. che conduce alla formazione del Governo Rarameh con la partecipazione di tutti i notabili Libanese e alla decisione generica di riformare la costituzione.
Dopo poche settimane gli scontri ricominciano.

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