Tadeusx Konwicki, Piccola Apocalisse, ed. Feltrinelli.
La sua esperienza assume un valore paradigmatico, dal momento che egli ha vissuto in prima persona tutte le vicende ed i problemi che hanno travagliato il suo paese in questi ultimi quarant'anni; dopo aver combattuto, durante la Il guerra mondiale, prima contro i tedeschi, e poi contro l'Armata Rossa, Konwicki si adegua alle linee del partito comunista, divenendo uno dei maggiori esponenti della letteratura «ufficiale», ma negli anni '50, – deluso dalla povertà di temi e di valori in cui il governo costringe la cultura e, soprattutto, dalle repressioni che seguono i primi scioperi di Ursus e Radom – decide di andare ad ingrossare le fila del cosiddetto «secondo circuito letterario»; questo è il fìlone più vivo della odierna letteratura polacca, ed è composto da autori che pubblicano clandestinamente le loro opere, senza però nascondersi dietro l'anonimato o dietro pseudonomi.
In questo ambiente vede la luce nel 1979 «Piccola apocalisse», che, pur precedendo di un anno l'estate di Danzica, esprime già le tensioni e le inquietudini da cui scaturiranno gli scioperi del 1980; questo romanzo, infatti è una chiara denuncia del fallimento del «socialismo reale» e della crisi di valori e di idee in cui si dibatte una certa parte della società polacca. Konwicki ci mostra una Varsavia senza tempo e senza speranza aura verso gli occhi di uno scrittore (lui stesso?) che, prima di darsi fuoco per protesta davanti alla sede del partito comunista, ci conduce in quello che è stato giustamente definito un vagabondaggio joyciano.
Il romanzo offre varie chiavi di lettura, a partire da quella che vede, celati nelle vesti dei vari personaggi, alcuni fra i più importami esponenti della cultura del dissenso polacca; ad ogni buon conto la difficoltà che il lettore italiano trova nel riconoscere il referente reale dei vari personaggi e delle varie situazioni, permette di non ridurre «Piccola apocalisse» ad un semplice pamphlet di denuncia politica. Infatti, come accenna anche Pietro Marchesani nella sua nota al libro, se quella che attende il protagonista del romanzo e la Varsavia in cui egli si muove è una piccola «apocalisse», una apocalisse ben più grande rischia di colpire il mondo intero: e una volta tanto non ci si riferisce all'apocalisse nucleare (che pure è sempre presente e da non dimenticare) ma quella «apocalisse» che colpisce la società che perdono i valori grazie ai quali sono nate e si sono sviluppate. Questo monito che Konwicki lancia attraverso la sua opera oggi è vero forse più per un mondo occidentale che sta smarrendo i suoi ideali caratteristici, che per una Polonia che ha ritrovato qualcosa in cui credere ed in cui sperare.






