«Duemila anni fa, la frase più fiera che un uomo potesse pronunciare era "sono cittadino di Roma". Oggi, nel mondo dei liberi, la frase più fiera che si possa pronunciare è "Io sono un berlinese" (...). Ogni uomo libero, ovunque egli viva, è un cittadino di Berlino. Pertanto, da uomo libero, io grido di fronte al mondo "lch bin ein Berliner"». Ottobre 1963: diciotto anni dopo la fine della guerra e la scoperta dei crimini nazisti, John Fitzgerald Kennedy si dice berlinese di fronte al Muro eretto dalla Germania Est per bloccare il flusso di profughi che raggiungono (anche più di 100.000 all'anno) la Germania Federale. Per i tedeschi è il riconoscimento della pari dignità con gli altri popoli europei. Per gli europei il riconoscimento che la Cortina di Ferro denunciata nel 1946 da Churchill impone al Vecchio Continente il ruolo di partner subordinato delle due superpotenze: a porgere alla mano ai tedeschi nel nome della fine dei contrasti è un uomo di una quarantina d'anni che guida quelle che una volta erano colonie, e nemmeno le più importanti, della Corona Inglese.
Berlino è l'Europa. È stato un ex borgomastro di Berlino a lanciare quella Ostpolitik che ha lasciato la sua impronta nei rapporti Est-Ovest. Berlino, ancora adesso, è la Germania, per anni gigante economico e nano politico ed ora impossibilitata da un passato che non passa ad assumere quel ruolo di guida che la sua potenza economica le attribuirebbe.
Una situazione che sfocia di quando in quando nel Kulturpessimismus, il pessimismo culturale, o nei tentativi di affiancare alla teorizzazione della «colpa storica» dei tedeschi una nuova idea del nazismo, visto non più come fenomeno puramente tedesco ma calato nell'ambito delle dittature totalitarie di tipo «asiatico» che imperavano in quegli anni in Europa. Il nazismo, insomma, uguale al bolscevismo. Il massacro degli ebrei sostanzialmente uguale a quello dei kulaki russi ed a quello degli armeni voluto dai turchi tra il 1886 ed il 1905. Un libro in tal senso pubblicato due anni fa dallo storico Ernest Nolte ha suscitato le ire delle sinistre, soprattutto da parte del filosofo Jurgen Habermas.
Nel frattempo il governo, guidato dai democristiani dal 1982 dopo una pausa di 14 anni, ha deciso di aprire un museo di storia nazionale a Francoforte. Nel 1985, proprio a Francoforte, il teatro comunale cercò di mettere in scena l'ultima piece teatrale di Reinhold Werner Fassbinder, opera in due atti dal titolo «Die Stadt, der Muell und der Tot», «L'immondizia la città e la morte». Oggetto: la storia di un ebreo che, tornato in Germania dopo l'Olocausto, fa affari puliti e meno puliti sfruttando il complesso di colpa della popolazione locale. Una storia neanche frutto della sola fantasia a volte contorta di Fassbinder, c'è chi dice. Ciò nonostante, la sera della prima la folta comunità ebraica di Francoforte blocca la rappresentazione.
A nulla valgono gli appelli in favore della libertà di espressione da parte di personaggi insospettabili, come Daniel Cohn-Bendit, «Daniel il Rosso», il quarantenne di famiglia ebraica leader del maggio francese nel 1968.
Pochi mesi dopo il presidente della Repubblica Federale di Germania, Richard Von Weiszaecker, si reca, primo nella storia, in visita ufficiale in Israele. C'è poco gelo, ma molto imbarazzo. Il passato pesa ancora, e su Weiszaecker pesa il passato del padre, accusato a suo tempo di atteggiamenti tiepidi nei confronti del Fuehrer. A Berlino, dove è morto lo scorso anno Rudolf Hess, l'ultimo gerarca nazista, i sovietici stanno demolendo il carcere di Spandau, dove Hess aveva trascorso gli ultimi 40 anni di vita. A poca distanza sorge ancora il Muro, che con il passare del tempo sa sempre di più di un monumento alla sconfitta della Germania.
L'economia locale ha alcuni settori leader: il bacino della Ruhr, con le sue risorse minerarie e gli insediamenti industriali che offre, ne è sicuramente uno. Degne di citazione sono pure le lavorazioni meccaniche e le importantissime industrie tessile e chimica.
L'ordinamento dello Stato della Repubblica Federale di Germania, è regolato, ed il popolo tedesco ci tiene a sottolinearlo, non da una Costituzione, ma da una «Legge Fondamentale dello Stato». Varata nel 1949, riconosce ampia autonomia ai Lander, ciascuno dei quali dispone, oltre che di una propria carta Costituzionale, di propri ed autonomi organi legislativi ed esecutivi. Il potere legislativo è in mano, su scala nazionale, al Bundestag, Camera dei Deputati, eletta con mandato quadriennale a suffragio universale diretto, e dal Bundesrat, un consiglio federale composto da 41 membri designati dai governi dei Lander. Le due camere comprendono anche i rappresentanti di Berlino Ovest, ai quali però non spetta il diritto di voto. Il Governo Federale è costituito dal Cancelliere e dai Ministri. Il primo viene nominato dal Presidente della Repubblica e deve godere della fiducia del Bundestag, il quale può revocarla solamente indicando il nome del successore. Si tratta della famosa «fiducia costruttiva». Il presidente della Repubblica viene eletto ogni cinque anni da un'assemblea composta dai parlamentari del Bundestag e da un ugual numero di rappresentanti designati dai Lander.





