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Danimarca

Un cuneo nella Scandinavia

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Nuova Politica - Un cuneo nella Scandinavia
Nuova Politica - Un cuneo nella Scandinavia

A guardare la cartina della Comunità europea, la prima cosa che colpisce sono gli spazi bianchi. Quello tra Germania Federale ed Italia, innanzitutto, che corrisponde alla Svizzera (paese talmente neutralista da non avere aderito neanche alle Nazioni Unite) ed all'Austria (che però avrebbe intenzione di chiedere l'ammissione alla Comunità in tempi brevi). Il secondo spazio vuoto è tra Italia e Grecia. Occupato dalla Jugoslavia del dopo Tito difficilmente potrà essere riempito.

Terza area vuota: i paesi scandinavi. Uno di loro, la Norvegia, per un certo periodo è appartenuto alla Cee, a dire il vero. Ad allontanarlo, è stato un referendum popolare tenutosi negli anni '70. Come in Italia, anche in Norvegia la sovranità appartiene al popolo, che l'ha esercitata in questo caso per ribaltare una decisione francamente lungimirante del suo esecutivo.

Tra la Germania Federale (paese tra i sei fondatori della CEE) e la Norvegia sta, non solo geograficamente, la Danimarca. Già membro dell'EFTA, l'organizzazione internazionale a carattere economico voluta dal Regno Unito negli anni '50 per creare un contraltare alle nascenti Comunità Europee (CECA ed Euratom), la Danimarca è al pari dell'Olanda uno di quei paesi che ancora adesso mantengono all'interno della CEE un rapporto privilegiato con Londra. Perché le loro economie ancora adesso sono legate a doppio filo a quella britannica. Quando, nel 1983 la signora Thatcher rischiava di far saltare i delicati equilibri dell'integrazione europea facendo levare a gran voce le richieste di una parte della stampa italiana di una serie di misure più che dimostrative nei suoi confronti, la risposta dei più avveduti fu che una Comunità senza il Regno Unito sarebbe stata, oltre che senza senso, anche senza Olanda e Danimarca. Inoltre sarebbe stato impossibile sperare in una richiesta d'ammissione da parte dei paesi scandinavi, una volta consumato il divorzio.

L'atteggiamento qualche volta ambiguo di Copenhagen nei confronti del partner europei, e magari alle volte un tantino provocatorio, è ben raffigurato dalla frase infelice di un ministro degli esteri danese. Nel corso di un vertice europeo di non molti anni fa questi, ebbe il dubbio gusto di ricordare al nostro Giulio Andreotti, che insisteva dalla mattina precedente sulla necessità di non bloccare il processo di integrazione che «solo Mussolini credeva di avere sempre ragione». Un atteggiamento segnato da ambiguità anche nei confronti della Nato. La Danimarca fu uno dei pochi paesi europei a rifiutarsi di accogliere nel 1983 i missili della alleanza destinati a bilanciare gli SS-20 sovietici. Recentemente la appartenenza alla Nato è stata anche oggetto di un referendum.

Il referendum sulla Nato lo hanno vinto, anche se di stretta misura, gli atlantisti. Ma il paese sembra nella maggior parte dei casi perlomeno restio ad assumersi impegni oppure ad operare scelte di campo ben definite. Per tornare al caso degli euromissili, significativo perché ha costituito un difficile banco di prova per la solidarietà atlantica, si potrebbe ancora ricordare che furono i danesi, insieme agli olandesi ed ai tedeschi, a fornire il maggior numero di volontari alle file dell'esercito dei pacifisti. Se, per fare un paragone con la Germania Federale, il Kulturpessimismus e l'Europessimismus sono sintomi di una forte voglia di neutralismo, non c'è di che stupirsi che la Danimarca sia la patria di Kierkegaard.

 

Economicamente parlando le industrie legate al comparto tessile, legate agli zuccherifici e legate all'attività metallurgica, sono alcuni tra i settori più vivaci del Paese. L'attività metallurgica possiede oltre a ferriere e acciaierie, un gran numero di impianti per la produzione di alluminio, piombo e zinco. Collegata a queste attività è la fiorente industria navale, specializzata nella produzione di petroliere e navi a motore. Il comparto agricolo produce in larga scala cereali: orzo, avena, segale e frumento. Ad essi rispondono le barbabietole da zucchero, le patate, le cipolle, i cavoli, le pere e le prugne. Di buoni fondi marini è in grado di disporre la pesca, capace di soddisfare non solo la domanda interna, ma anche fette di mercato estere.

È molto il pesce lavorato a mano in Danimarca. Operaie locali, con la perizia e l'abilità delle loro nonne, con questa particolare attività producono farina ed olio di pesce.

La Danimarca è una monarchia costituzionale. La cui Carta Fondamentale attualmente in vigore è stata varata nel giugno 1953. Essa prevede un sistema studiato attorno alla figura del Parlamento (Folketing), eletto a suffragio universale diretto. Il mandato che i suoi membri ricevono, scade al termine del quarto anno di attività, e di fronte ai suoi 179 membri il Governo è chiamato a rispondere dei propri atti e della propria attività. La Danimarca è membro della Comunità Europea, dell'ONU, della NATO, dell'OCDE, del Consiglio d'Europa e del Consiglio Nordico.

Ancora forte il peso della «colpa storica»
Nella culla della democrazia

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