Fu un caso a gettare Martin Luther King nel vortice della vita pubblica. Una sera, rincasando, una sua parrocchiana di colore si rifiutò di cedere il posto a sedere ad un bianco, contravvenendo a quanto stabilito dal regolamento dei mezzi pubblici cittadini.
Normalmente un incidente del genere si sarebbe concluso con l'intervento degli altri occupanti dell'autobus che la avrebbero costretta a cedere il posto.
Quella volta dovette intervenire la polizia per trascinarla a forza via dall'autobus direttamente alla prima stazione di polizia.
Il giovane pastore di una chiesa metodista di Montgomery, in Alabama, fino ad allora restio a schierarsi in prima persona nella lotta per la pari dignità con i bianchi, dovette pertanto prendere una decisione: quattro giorni dopo il fatto, mentre già la comunità negra aveva deciso un boicottaggio dei mezzi pubblici che durerà 382 giorni, Martin Luther King assumeva la carica di presidente della "Montgomery lmprovement Association".
Il pastore dalla faccia mite e dal comportamento umile, più simile a quello di un curato di campagna cattolico che di un consumato uomo politico americano, si trovava improvvisamente sbalzato dagli eventi in una posizione di primo piano della lotta alla segregazione razziale ancora imperante negli stati del profondo sud americano. La via che scelse, dopo notti di profonda preghiera, fu diversa da quella tradizionale dei capi storici del popolo negro americano.
Quattrocento anni dopo il primo sbarco su una spiaggia del Nuovo Continente di una nave negriera, il discendente di uno schiavo del signor King, un bianco venuto dalla vecchia Inghilterra e trapiantato in Alabama, proprietario di una piantagione e di numerosi schiavi, parlava di comprensione e di dialogo alla pari con i discendenti del padrone.
Non era né rivalsa né rabbia quella delle sue parole. Solo la coscienza della grandezza spirituale della propria gente, che sapeva saltare più alto dei bianchi e mettere la palla più spesso nel canestro di loro; che sapeva pensare e meditare di più e più profondamente ed alla quale nonostante tutto era negato il diritto di voto, quand'anche quello di riposare su un autobus se si è stanchi e integrazione che voleva non era quella di pochi che entrano nel gioco politico ed economico dei bianchi, si arricchiscono, si imborghesiscono ed alla fine diventano bianchi dalla pelle scura. L'integrazione dei negri doveva avvenire sulla base della grande rivoluzione cristiana che vuole tutti gli uomini figli di Dio e uguali l'uno all'altro.
Da quel dicembre del 1955, quando Martin Luther King si lasciò prendere dalla vita pubblica, gruppi di giovani negri iniziarono ad entrare nei bar, nei teatri dove fino ad allora era stato negato loro l'ingresso.
Non un vetro venne mai rotto, né la fodera di una sedia bruciata.
Con un esempio che da quel periodo solo gli operai dei cantieri "Lenin" di Danzica furono capaci di seguire, i negri americani, quella maggioranza che non si fece prendere dalle parole di odio di Malcom X o dalla paura del cambiamento si misero ad attuare la parabola evangelica dell'amico importuno.
La politica, lo abbiamo scritto più volte, è anche poesia. È anche sogno. Ed il sogno di Martin Luther King era quello che un giorno i suoi figli potessero vivere in una società dove a giudicarlo non era più "il colore della loro pelle, la loro personalità".
Il suo sogno era che un giorno sulle "rosse colline della Georgia i figli dei bianchi ed i figli dei negri possano darsi la mano e sedersi al tavolo della fratellanza".
A fermarlo furono alcuni colpi di arma da fuoco, come già per quel Presidente degli Stati Uniti che anni prima era intervenuto personalmente per farlo liberare da un carcere della Georgia.
La politica è anche un sogno, la politica ha la sua poesia.
La politica è fatta anche dalla presenza cristiana.
Questo è quello che ci ha insegnato.





