Caso Lazzati

Le premesse da non dimenticare

Nuova Politica - Le premesse da non dimenticare pagina 10
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Il settimanale di CL, «II Sabato» ha voluto concludere da solo il ''caso Lazzati-Rosa Bianca" con un pezzo a cui ha dato poco rilievo tipografico ed ancor meno dal punto di vista della riflessione. È chiuso, forse un caso ma è bene fare il punto sulle premesse che, ne siamo certi torneranno in futuro a favorire altri errori di valutazione storica come quello di cui tutta la stampa e non solo cattolica si è occupata a proposito del presunto "protestantesimo" del Rettore della Università Cattolica.

Come tutti i multiformi processi storici, anche quello del rapporto tra i cattolici e la politica del dopoguerra è stato fecondo e travagliato, anzi, travagliato perché fecondo.

Il «caso Lazzati» non è che il terminale di una querelle che si trascinava da molto tempo, e di cui in questa sede, data l'esiguità dello spazio, potrò riferire solo gli elementi fondamentali.

Tralascio un primo livello di considerazioni, che non necessitano di molti argomenti: l'accusa di «neoprotestantesimo» a Lazzati (...), il tipico stile censorio dei ciellini (potrei ricordare anche l'infondata campagna contro la parlamentare Paola Gaiotti, o i gentili epiteti che il supercattolico Formigoni aveva riservati a Pietro Scoppola o a Ruggero Orfei), o il presentare il card. Martini e la «Rosa Bianca» come inquisitori (occasione troppo ghiotta per Indro Montanelli (...). Di questo hanno già parlato in tanti, e poi si interverrebbe sull'ovvietà. Così pure l'autore di queste righe riconosce a Cl vitalità culturale e meriti storici, oltre a esperienze di fede personali spesso molto significative.

Volevo invece riferirmi a una seconda linea di considerazioni, non quelle contingenti ma di merito, di questa vicenda. Partirei, per inquadrare il tema, dalla tripartizione di posizione che Padre Sorge (uno dei cattivi della lista di CL) ha indicato già diversi anni fa. Tra fede e politica è possibile un rapporto di identificazione (dalla fede discendono direttamente delle indicazioni politiche), di separazione (la fede non ha alcun criterio di giudizio storico da fornire al credente), e di distinzione nella correlazione (la fede è qualcosa di diverso dalla politica, ma non è incomunicante con questa). Gli sbocchi storici di queste posizioni sono stati, rispettivamente, il collateralismo (ieri) e il neointegralismo (oggi), le esperienze dei cattolici a sinistra (certo, sarebbe necessario fare alcune precisazioni) e il cattolicesimo democratico, che ha trovato prima dei maestri «laici» (Sturzo, De Gasperi, Maritain e Mounier, Dossetti, Mazzolari e Milani, La Pira... ) poi un riconoscimento ufficiale della gerarchia con la «Gaudium et Spes» (e quest'ultimo è •anche quello cui da sempre ha fatto programmaticamente riferimento la Dc). Padre Sorge escludeva la suddetta analisi indicando i quattro criteri che un cristiano deve tener presente nelle sue scelte storiche: stile di dialogo e senso dell'identità cristiana, pluralismo delle scelte politiche ma con «discernimeno critico». E a partire da quest'ultimo nodo il dibattito si allargherebbe al pluralismo politico dei cattolici, alla nota della Cei del maggio scorso ecc... ; temi delicatissimi e complessi che il ristretto spazio a disposizione non mi consente di sviluppare. Mi interessa invece richiamare l'attenzione sugli attacchi di Cl al cattolicesimo democratico: il dialogo diventerebbe irenismo, la cultura della mediazione (tra fede e storia) sarebbe evanescente, come pure la categoria di ispirazione cristiana, e infine la scelta religiosa dell'Azione Cattolica dei primi anni '70 sarebbe disimpegno dal mondo e spiritualismo, rischiando di approdare ad un «neoprotestantesimo». Replicare non è molto difficoltoso: vi furono alcune malintese interpretazioni della scelta religiosa che portavano al disimpegno, ma queste furono frangie, e soprattutto non furono la sostanza della «scelta religiosa», che, ispirata da Paolo VI, fu proposta da uomini come Bachelet, Lazzati e, dietro le quinte, da Aldo Moro... tutti uomini che non avevano un secondario interesse per l'interesse sociale e politico; si voleva semplicemente distinguere l'ambito ecclesiale da quello politico dopo le passate commistioni, ma per impegnare il laico cristiano nel mondo non di meno, ma meglio e in modo più corretto. E poi basta guardare a una serie di frutti di questa famigerata area cattolica democratica: l'attenzione al sociale e al politico di presenze tradizionali come le Acli o il Meic (gli ex «laureati cattolici»); la nascina di nuove associazioni («Gaudium et .Spes» e «Città per l'uomo») e nuove esperienze (la Scuola di Formazione Politica della diocesi di Milano e dei gesuiti a Palermo, partite un anno e mezzo prima di quelle di Cl) il rilancio dell'Azione Cattolica (anche a Reggio Emilia) nei suoi strumenti di intervento culturale (la rivista «Segno Sette» e tutta la collana dell'Ave sulla «città dell'uomo lazzatiana») nei suoi convegni (ogni anno quello dedicato a Bachelet riguarda l'impegno sociale e politico, e quello di questi giorni per i responsabili di Ac era su «pace, lavoro, politica») e in tante esperienze di base (volontariato, pace, diritti umani, Terzo Mondo, droga, ... ); in questo contesto, ma senza far confuzione alcuna di ambiti va letto anche la notevole ripresa del Movimento giovanile dc, un movimento che tiene molto alla sua laicità, ma che è pur sempre composto nella quasi totalità da giovani dell'associazionismo cattolico-democratico.

Tutto questo è sufficiente? E allora si dica la verità: non è che non ci sia sensibilità per l'impegno sociale e politico, o che sia colpa della scelta religiosa; è che ci sono tanti giovani che si impegnano, ma che lo fanno secondo criteri conciliari e non integralistici. La strategia di Cl alla fine è quella di far passare uno scenario dualistico per cui «tertium non datum»: o si è cattolici dell'identità neointegralista (ma l'identità cristiana è altra cosa), o si è cattolici spiritualisti e «neomodernisti», quindi disimpegnati non coerenti e subalterni culturalmente alla secolarizzazione. Mentre invece il «tertium» non solo esiste, ma è anche quel filone che in questi decenni ha guidato il mondo cattolico e a volte la società italiana nei suoi passaggi più qualificati e positivi. Ecco perché viene attaccato sistematicamente questo filone (e anche chi vi si richiama, come la segreteria della Dc; ma questo è già meno importante); il processo (quello vero non quello canonico) è a questi quarant'anni di cattolicesimo democratico (che pure, certo·, ha commesso errori e presentato qualche limite), e a chi oggi lo incarna a vario titolo: Montini-Pappalar:do e la Cei (ma anche i richiami di Cl al Papa sono non fondati e troppo «interessati»), Sorge-Pintacuda e i Gesuiti, RosatiBianchi e le Acli, Scoppola-Ardigò e la Lega Democratica, MonticoneCananzi e l'Azione Cattolica, ed anche l'attuale dirigenza democristiana. Ecco perché, quindi, il bersaglio non è solo Giuseppe Lazzati, ed ecco perché non è un bersaglio solo culturale o ecclesiale.

Per venire ora a una sorta di pars costruens, da offrire come possibile terreno di incontro agli amici socialisti (certo, ci sono anche diverse variabili di dissenso), mi limito in questa sede ad un tema solo che può sembrare generico ma non lo è affatto: la democrazia. La democrazia può essere concepita come insieme di regole, procedure e istituzioni. Anche a questo livello si può discutere, ma si discuterà, credo, già un po' di più qualora si proponga di considerara un insieme di valori. Kelsen, il grande filosofo (laico) del diritto della scuola normativa e formalistica, poneva spesso la questione dei «valori» della democrazia riportando la famosa frase del capitolo 18 del Vangelo di Giovanni, quando Pilato chiede a Cristo «che cos'è la verità». In altri termini, quali sono, si chiedeva Kelsen, i valori che tutta una comunità deve accettare o quanto meno rispettare, posto che esistano convinzioni e ispirazioni spesso molto distanti? A prescindere dalla risposta kelseniana, che non può qui essere presa in considerazione, credo che un'autentica democrazia non possa fare a meno di un comune sostrato etico, che la alimenti e la tenga al riparo da eccessive suggestioni individualistiche. Questo, ci tengo a precisarlo, continuando a condividere una visione non solo di tolleranza (primo imperativo categorico di una democrazia) ma anche di una laicità, elemento che a volte non abbonda in certi settori del mondo cattolico. Anzi, è proprio a partire da una ispirazione cristiana verificata nella laicità (che non va considerata solo un criterio ma anche un valore) che vorrei riproporre il tema di quel «denominatore etico comune», di quell'area valoriale da tutti condivisa che si pone come architrave di una convivenza.

La democrazia, diceva Emmanuel Mounier, è come una bicicletta se non va avanti cade. All'attuale crisi della democrazia è necessario non più solo garantismo ma anche la tensione morale, non solo la deregulation (in quali casi?) ma anche la solidarietà. Certo, è terreno sul quale sorgerebbero forti divisioni e difficoltà (si pensi ai diritti del nascituro: ma la tutela di quei diritti è richiesta da un punto di vista costituzionale e non confessionale); tuttavia crediamo che quello dei,«vincoli etici» e delle «evidenze etiche» (per dirla con linguaggio Cei) sia un problema che devono porsi non solo i credenti. Inoltre, ci potrebbe essere un ulteriore livello, che mi limito ad accennare: la democrazia come «insieme di atteggiamenti» cui ci si deve autoeducare. Spesso ci si limita ai primi due versanti di analisi, e si dimentica che la democrazia ha un aspetto «processuale» nelle istituzioni ma anche uno a livello di predisposizioni esistenziali e di atteggiamenti quotidiani: una mentalità tollerante e una capacità di mettere in discussione, ad esempio, ma anche un po' di senso dell'interesse generale, di tenzione alla partecipazione, e perfino di spirito di servizio. In fondo, la democrazia è anche lo stile di coloro che scelgono di vivere in democrazia. Per i cattolici, poi, si porrebbe il problema della maggiore incidenza storica di una «cultura del progetto» o di una «cultura dei comportamenti» come direbbe Pietro Scoppola.

Certo, questo fascio di considerazioni è incompleto e necessiterebbe di alcune precisazioni e approfondimenti. Ma credo che nelle sue linee di fondo sia corretto e che offra diversi spunti di dibattito e di confronto possibile tra socialisti e cattolici democratici.

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