Sturzo, un riferimento ancora attuale
È indubbia l'importanza che negli ultimi mesi ha assunto, nel dibattito politico, la riflessione sulla pace e sulla guerra, sulla comunità internazionale e sulle frizioni e tensioni che in essa possono generarsi. Ma è anche indubbia l'esigenza, da più parti avvertita in un contesto costantemente preoccupante e a volte drammatico, di punti di riferimento insieme etici e politici, culturali e teorici. Anche da questo punto di vista, la riscoperta del pensiero di Luigi Sturzo può essere un utile sussidio.
In questa direzione si pone il saggio di un giovane ricercatore bolognese, Mario Tesini, pubblicato sul n. 1/86 di «Studium» (Problema della guerra ecomunità internazionale nel pensiero di Luigi Sturzo). Molti gli spunti densi di interesse, ma tutti sorretti, mi pare, da uno stesso disegno comune: mostrare l'attualità di alcune intuizioni in riferimento a una fase, come quella attuale, che è di trapasso d'epoca anche riguardo al problema della guerra e della pace. Non si vuole certo con questo sottovalutare il fatto che Sturzo espone ed argomenta alcune..tesi in un preciso contesto storico e culturale, e quindi non si vuole sopravvalutare la sua «profeticità»; ma d'altro canto non è neppure possibile sottovalutare l'indubbio anticipo con cui il pensatore e uomo politico siciliano coglie alcune contraddizioni tipiche dell'età contemporanea, in ordine al diritto di pace e di guerra.
Tre esempi di questa «attualità». Innanzitutto, la relazione strettissima esistente tra la tentazione-rischio.della soluzione bellica e la crisi della comunità internazionale, la cui fragilità politica e diplomatica è tanto evidente quanto preoccupante (si pensi l'impotenza dell'ONU su ogni questione davvero decisiva). Per Sturzo va delegittimato qualunque assolutismo (etico e politico ma anche giuridico) asserito dallo stato, e va viceversa accentuato il connotato, politico ma anche giuridico, della comunità internazionale, in modo da dotare questa di un'autorevolezza non solo nominale e di un apparato di strumenti diplomatici e sanzionatori muniti di potere reale.
In secondo luogo, in uno scenario in cui la guerra ha perduto qualsiasi limite normativo di reciproco «rispetto» tra i contendenti, quasi fosse un duello con norme di cavalleria, per assumere invece il carattere di scontro mortale e «assoluto» (si veda a questo proposito un acuto saggio di Carl Schimitt, La teoria del partigiano ed. Il Saggiatore), è illuminante l'analisi sturziana che intravede la possibilità del dissolversi del «rischio di guerra», ove nella società si avvii un vasto e (sia chiaro) pluridecennale lavoro di formazione pacifista delle coscienze e di parallela responsabilizzazione morale del potere e degli stati. Questo, anche alla luce della fi ducia che Sturzo conserva in una «legge di razionalità progressiva» che gradualmente permea di sé la storia.
Infine, innovativa e profetica appare la riflessione sturziana persino in ordine al magistero conciliare: basti citare alcuni passi sulla teoria della legittima difesa, più avanzati della stessa formulazione data nella Gaudium et Spes, l'avversione alla coscrizione obbligatoria e la simpatia per il movimento dei «conscientious objectors».
Come si vede, tutte tematiche all'ordine del giorno, e che definiscono quel «nuovo profilo» che ha assunto il problema della pace e della guerra nei tempi attuali. Così pure, puntuale è la ricostruzione critica che Sturzo fa delle tre principali teorie giustificative della guerra: la teoria (medievale) della guerra per giusta causa e per legittima difesa, quella (cinquecentesca) della guerra per interesse e/o ragione di stato, e quella, propria di questo secolo, della concezione «biosociologica» del conflitto tra stati. Ed è significativo che un filo rosso leghi per il pensatore siciliano queste tre dottrine, una comune radice soggettivistica, nel senso che il giudizio su uno o più requisiti di legittimazione dell'azione bellica è rimesso a dei «singoli» (singoli regnanti, o politici, o stati), e l'assenza di qualunque riferimento etico, politico, giuridico, comune a una «pluralità» di soggetti politici (regnanti, politici, o stati), escludendo in tal modo qualsiasi strumento e sede istituzionale per comporre le controversie.
Tesini parla di «solitudine» dell'uomo politico calatino e di «scarsa fortuna» delle sue tesi su questi temi, solitudine e scarsa fortuna che si registrano in ordine all'accoglimento di queste analisi sia nel dibattito politico, che in quello teorìco ed ecclesiale. Certamente, comunque, vede bene Tesini il punto di arrivo di queste riflessioni in quello che lui chiama il «pacifismo integrale» di Sturzo, un pacifismo cioè che si qualifica contemporaneamente, per dirla con Norberto Bobbio (Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino), come pacifismo «strumentale» (che agisce sugli strumenti della politica), «istituzionale» (sugli organismi statuali ed interstatuali) e «finalistico» (sulle coscienze degli uomini). Come pure appare centrale nell'elaborazione sturziana, la denuncia della massima clausewitziana per cui «la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi», e l'affermazione, al contrario, della coincidenza tra le «ragioni della politica» e le «ragioni della pace». Fiducia nella politica, tra l'altro, tutt'altro che irrilevante in un contesto culturale come l'attuale, in cui oltre che di «pensiero debole» (Gianni Vattimo) si comincia a parlare anche, da più parti, di «politica debole», vista cioè non come «scienza della realizzazione del bene comune» ma come «scienza del contenimento del danno comune».



