Nicola Pistelli

Un ricordo che non può essere venduto

Nuova Politica - Un ricordo che non può essere venduto pagina 7

«Pistelli ci disse»: così un caro amico di Nicola, Giovanni Di Capua, intitolava qualche anno fa un libro su di lui. Era un bel titolo nella sua semplicità. Perché non è che la nostra generazione non avesse in genere maestri. Li aveva e li trovava, forse ancor più di oggi all'Università. Ma Pistelli era qualcosa di più e qualcosa di meno di un maestro. Di meno perché imparavamo insieme lavorando con lui senza che egli salisse mai in cattedra. Di più perché con lui si verificava continuamente ogni giorno, alla prova dei fatti, nel lavoro politico, ciò che avevamo ipotizzato. Un lavoro, che era prolungamento e cemento di una amicizia che non moriva e non languiva mai per mancanza di motivi per cui stare insieme.

L'esempio di Pistelli, da questo punto di vista, mi sembra estremamente prezioso oggi, quando ritorna in voga, soprattutto fra i giovani, il riflusso al privato, al particolare, all'individuale. Pistelli ci aveva insegnato con il suo stile di vita, più che con le sue parole, che fare politica non è uno spogliarsi di una parte di se stessi e un disumanizzarsi, come spesso accade quando la politica diventa mestiere, carriera, e soprattutto impoverimento spirituale nella routine, ma un completarsi. Perché per Pistelli la politica altro non era se non dare un respiro creativo ai propri sentimenti per fare dell'individuale un ariete che entra nel pubblico e conferisce efficacia e spessore storico alla propria cultura.

Pistelli sapeva che la politica intesa nel senso più autentico e più nobile è «investimento a lunga scadenza». Ciò significava non compromettersi con il potere pur di trovare comunque una gratificazione alle proprie ambizioni, ma anzi il saper attendere e il saper maturare il tempo in cui lo stesso esercizio del potere diventasse legittimo perché diventato traduzione della proprie idee. Da questo punto di vista egli sapeva benissimo che l'impegno politico del cattolico, se correttamente inteso, ha la peculiarità e il privilegio di bastare addirittura a se stesso anche senza la conferma del successo. Se il cattolico viene giudicato sulla base delle sue intenzioni mentre il laico ha per unico la storia, allora la diversità del cattolico rispetto al laico sta proprio nella equivalenza dei mezzi e dei fini per cui è meglio una sconfitta pulita che una vittoria sporca. «L'impegno politico delle generazioni cattoliche – aveva scritto Pistelli sul "San Marco" – ha punti di partenza e punti di arrivo ben diversi da quelli di una forza laica o atea, in base ai quali i risultati sono un accessorio e il risultato vero consiste nell'impegno stesso. E questo ci dà la certezza e la serenità di spirito necessaria per fare anche un'ampia raccolta di accessori».

In altre parole per Pistelli proprio l'essere cattolici democratici doveva preservare le generazioni democristiane sia dalla fretta clericale di anticipare con la forza e con l'ipocrisia la «città di Dio» che spesso reclama a gran voce proprio una fede infantile che ha bisogno a tutti i costi di segni visibili per placare la propria insicurezza, sia dai deragliamenti del trasformismo che privilegia l'esercizio del potere indifferente ai mezzi e ai fini.

Disse Pistelli in uno dei suoi discorsi: «Ad un partito di cattolici, costretto ad operare in determinate occasioni storiche, molto potrà essere perdonato: certamente il moderatismo, forse anche la conservazione. Quello che certo ci si perdonerà meno, sarà l'aver mancato questa occasione per dare una nuova impronta al modo di fare politica».

Il ricordo di Pistelli non può quindi essere venduto a chi ha adottato quella forma di consumismo per cui anche la politica vale per quello che ci dà. Al contrario egli ci ha dimostrato che si può dare molto ed ottenere poco, puntare alla vittoria attraverso le sconfitte, esercitare la politica come servizio e diventare guide senza essere notabili. Ora non possiamo far altro che sperare e chiedere che ciò domani possa essere detto anche per altri.

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