Essere responsabile a vent'anni
È un segno particolarmente importante e significativo che i nuovi giovani della Democrazia Cristiana intendano oggi rileggere. con «Nuova Politica», la breve ma splendida battaglia di Nicola Pistelli. esponente di quella leva giovanile che, all'indomani della caduta del fascismo, era desiderosa di partecipare alla evoluzione politica nazionale portando un proprio contributo di idee al partito nuovo dei cattolici democratici.
Occorreva in quegli anni soprattutto costruire una coscienza democratica collettiva. E questo era difficile, perché le divisioni erano enormi, maniche e, le barriere ideologiche inducevano a demonizzare l'avversario, la spartizione delle aree di influenza nel mondo non procurava ragioni d'incontro.
I giovani democristiani svolsero, allora, un'opera di disintossicazione, fra i coetanei e fra i più maturi ed anziani, perché la politica fosse ricondotta ad una battaglia di idee e di proposte, più che a scelte di campo nette ed immediate, con un congelamento di quella incomunicabilità che caratterizza ogni condizione di reciproca chiusura tra partiti armati di ideologismo più che di programmi contrapposti.
L'azione in questo senso di Nicola Pistelli fu preziosa. Essa fu orientata a spiegare come la storia della democrazia italiana non incominciasse il 26 luglio 1943, né si esauriva nella pur rilevantissima e fondamentale lotta di Liberazione, nell'azione armata contro nazisti e repubblichini, ma fosse il risultato di una complessiva crescita, civile innanzitutto, del popolo, di tutte le componenti sociali, di un comune guardare avanti, al di là degli steccati d'un tempo e di quelli in quell'epoca imposti.
Pistelli -si presentò sin dall'inizio sulla scena fiorentina come un politico, un uomo di parte dunque, ma deciso a spiegare le ragioni della sua opzione, a cercare adesioni ai propri convincimenti innanzitutto ragionando, confrontando le proprie idee – o quelle di cui la sua generazione si faceva portatrice nel suo partito – con le idee di giovani ed anziani che dimostrassero una comune vocazione al dialogo civile e al dialogo democratico.
Non fu, Pistelli, di quei cattolici inquieti che, oltre a non saper mai fissare una propria personata rotta politica pensavano anche di poter dettare comportamenti ai Vescovi in materia religiosa.
Egli fu, invero, cattolico nella Chiesa, anche se attento a tutte le novità in essa emergenti rispetto ai movimenti della storia; e democratico cattolico nella DC, dove richiamò sempre il suo diritto; come il diritto di chiunque, ad esprimere in libertà le proprie idee, salvo a conservare indirizzi unitari all'esterno.
La periferia cattolica, con le sue ansie e tensioni dinanzi ai mutamenti della società universale, e di quella italiana in particolare, fu al centro delle attenzioni di Pistelli, il quale, del resto, ad essa si richiamava per tentare anche, oltre che un bilancio, la definizione di una prospettiva storica per una società ch'era stata troppo divisa e ancora non riusciva ad esprimere una propria vocazione di lungo periodo, che non fosse né l'illusione autarchica, né un cattolicesimo tanto integrista da ridursi progressivamente a dimensione minoritaria.
I tempi del Concilio furono, per certi versi, anticipati nel tipo di dialogo che Pistelli, sia sul «San Marco» che su «Politica», stabilì nella complessa reatà dei credenti come nel variegato mondo dei non credenti e fra le due aree fra loro.
Non che Pistelli immaginasse di fare il mestiere a lui non spettante: ma, con la sua singolare capacità di riflettere e fare riflettere; con quel suo modo speciale di obbligare ad affrontare i tempi più ostici e più delicati con una indubbia dose di signorilità logica; col dire le cose con verità più che con un parlar forbito. pure a lui congeniale, Pistelli introdusse certamente nella vastissima platea cattolica, addottorata e no, i temi del mondo contemporaneo.
Altri, non Pistelli, credettero ad un certo punto di usare le inquietudini dei credenti in funzione antidemocristiana. Pistelli fece in un certo senso il contrario: studiò, analizzò, spezzettò tutte le questioni che si agitavano nella periferia cattolica. cercò di comprenderne ogni motivazione oggettiva ma anche di trovare le motivazioni più eque, più storicamente sostenibili, perché i dissensi fossero rimossi: e si realizzasse così una forte spinta all'unità che, sul terreno proprio della politica, doveva però riguardare solo quanti si ritrovavano su una comune visione delle cose della politica; i reazionari coi reazionari, i democratici coi democratici, altri a sciogliere nella propria coscienza il nodo della compatibilità tra fede cattolica e adesione a dottrine politiche lontane. come la marxista.
Sentendosi ed esprimendosi, dentro la DC e mai fuori della funzione storica di essa. come un esponente di una classe dirigente potenziale, ma in attesa di essere chiamata in servizio permanente effettivo. Pistelli cercò di preparare con cura i dirigenti del futuro, dando loro tutto ciò che – in tema di bagaglio culturale e di convinta adesione al metodo della democrazia, nell'alveo della predicazione degasperiana ma anche con attenzione ai tempi nuovi maturati nella società e nel cattolicesimo italiano e mondiale – era mancato ai padri e ai nonni.
Essere responsabile a vent'anni non è facile. Per molti non è neppure immaginabile e addirittura non è proponibile. Eppure Pistelli e, con lui, una vasta schiera di giovani democratici cristiani, seppero inventare questa speciale condizione: seppero indicare – essi storicamente incolpevoli – la via della responsabilità a tutti, vecchi, maturi e giovani, a cominciare da se stessi, perché il terreno della rinata democrazia risultasse davvero fertile non per una, ma per numerose stagioni a venire.
Pistelli non predicava responsabilità, la praticava. Nell'intero campo delle sue polemiche. giornalistiche e politiche, non si trovano note fuori tono e misura, non c'è traccia d'insulto, non c'è un argomento che non sia motivato. Quanti della sua generazione – e quanti, giovanissimi delle generazioni che gli sarebbero succedute – hanno mai saputo compiutamente coniugare il diritto a guardare avanti col realismo delle situazioni e dei movimenti dei partiti veramente popolari?
Essere responsabili a vent'anni è esercitazione difficilissima. Pistelli riuscì a superare anche i limiti più impervi. E così pur propungnando soluzioni che a taluno parvero avveniristiche, se non utopostiche, Pistelli seppe stare coi piedi per terra, seminando, arando e tornando a seminare, perché, nel frattempo, nessuno riuscisse ad introdurre nel campo trasformazioni che andassero nel senso della involuzione piuttosto che verso un naturale avvenire. Anche per questo Nicola Pistelli costituisce ancora, a distanza di tanti anni, un punto di riferimento.
Pistelli fu antesignano dell'incontro coi socialisti e di una diversa considerazione della presenza storica del comunismo in Italia. Fu tra i più prudenti ed, assieme, fra i più attenti costruttori di una solida alleanza fra cattolici e laici sul terreno della democrazia.
Comprese fra i primissimi il valore inno ativo della costruzione europea, di cui si fece paladino quando tanti coetaneie tanti progressisti di oggidileggiavano gli ideali di Adenuer, Schuman, Dc Gasperied inneggiavano alla sciagurata reazione borghese·che affossò in Francia la Ced.
Si adoperò perché la DC non fosse un partito di cattolici senza altra identità ed in attesa di input forniti dai padri nobili del prefascismo o dalle scoperte grida delle piazze contrapposte alle istituzioni.
Studiò e lavorò perché la Dc diventasse un partito libero all'interno, impegnato a garantire tutte le libertà nel paese.
Procedette sempre ragionando, cercando consensi con la persuasione, collegandosi con tutte le forze più vive della società, non perché prevalesse una qualche linea élitaria ma perché si affermasse una linea di equità, risultante da una reciproca comprensione tra interessi e forze diversi.
Questa spinta a fare politica con la ragione, approfondendo le questioni, non dandone per scontati gli esiti, è stato il metodo di Pistelli, è il metodo di questa Democrazia Cristiana.
Con questo spettro così ampio di motivi di attualità della vasta seminagione di Nicola Pistelli, ci sono però, per noi, anche motivi di rimpianto: di cosa poteva essere e non è stato, di cosa sarebbe avvenuto se Pistelli non ci fosse stato prematuramente strappato.
Ci sono. ad ogni modo – e sono motivi di impegno solenne – le ragioni più autentiche del patrimonio dei «sergenti» come Nicola Pistelli che, alla soglia degli Anni Duemila, più che un ricordo, sono e restano un preciso viatico: per noi che siamo tenuti a rispettarne le indicazioni e le sollecitazioni; per voi giovani democratici cristiani, perché sappiate coglierne i sentimenti più nobili e lavorare – sodo e con pazienza. ma anche con estrema decisione – perché la nostra diventi finalmente – come lo stesso Pistelli implicava nelle sue analisi e nelle sue provocazioni – una democrazia compiuta.
Citazioni di Nicola Pistelli
«Siamo in uno strano Paese dive le parole feriscono più dei fatti, e il prossimo è anche disposto a restare oppresso purché si salvi la sua dignità trattandolo con cerimoniale e dell'uomo libero»
«I cattolici formano un copioso esercito di milioni di voti, disciplinato e attento alle indicazioni della Gerarchia; molti di essi votano scudo crociato perché la Democrazia Cristiana è un partito d'ordine e poi sbarra la strada al divorzio, ma la pochezza dei motivi non li toglie dal numero delle schede a sicura disposizione. Sono una barriera contro la quale si infrange ogni avanzata – e i comunisti ne avevano fatta ripetuta prova – perché in tale ruolo basta stare fermi e dire no; ma avrebbero dimostrato uguale rendimento qualora muovessero – essi – all'attacco, promossi finalmente da fronte anticomunista che non voleva il programma degli altri a partito politico che voleva un programma suo?
E qui, dopo avere già trovato sulla strada la immaturità politica dell'elettorato e la carenza di una cultura su cui fare leva, gli uomini di Dossetti dovevano prendere atto del rachitismo spirituale nel quale vegetavano tanti cattolici italiani: un piccolo mondo tranquillo, dove a ricordo del lontano incendio cristiano da cui prendeva origine restava uno spento odore d'incenso.
La piaga della miseria, che struggeva da secoli intere popolazioni, chiedeva Samaritani ardenti per essere sanata, e nessuno più dei cattolici avrebbe dovuto sentire il richiamo del prossimo: eppure non erano pochi coloro che si limitavano a un inerte sorriso di rassegnazione, e dicevano che in fondo i poveri godevano il vantaggio di non aversi a misurare con un cammello per sapere chi passava dalla cruna di un ago».
«Poiché senso dello Stato significa calibrare la propria ansia di giustizia sulla misura in cui la situazione permette di realizzarla in istituti positivi, conoscere le forze che vi si oppongono e i motivi veri della loro opposizione perché fino a quando Cherubini e Serafini non avranno diritto di voto e risolveranno la questione con l'apporto schiacciante dei loro suffragi è con esse che devono essere fatti i conti; in una parola, avere la coscienza organica e continua del complesso ambiente che è il particolare Stato nel quale operiamo; rimane chiaro che senza di esso ogni politica che tenda a promuovere i ceti popolari dallo stato attuale di sudditanza alla parità civile con gli altri cittadini rischia di rimanere imbrigliata negli errori di impostazione che sono oramai classici in materia, e finiscono sempre col portarla al fallimento: il moralismo, che vede nel privilegio economico niente più che un frutto dell'egoismo, divide arbitrariamente il mondo in poveri buoni e ricchi cattivi, e attende dalla carità individuale un generico mondo migliore; il sociologismo, che fantastica su astratti schemi di comunità disegnate linde e pulite in cristianissima utopia, dimentica di chiedersi con quali forze politiche realizzare il bene accomodato progetto e punta tutto sulla redenzione degli operai comunisti per mezzo dell'apostolato; il populismo, che in mancanza di idee precise per una soluzione concreta si slaccia con sana retorica operaia il bottone della camicia, ricorda che anche San Giuseppe era un falegname e tuona fino a diventare fioco sulla futura e terribile vendetta degli oppressi, sulla forza emotiva degli aggettivi per nascondere la mancanza di concetti. Col solo risultato di spaventare il ceto medio, permettendosi oltretutto il lusso di spaventarlo per niente».
Bibliografia
Per capire la linea e lo stile giornalistico di Nicola Pistelli si vedano innanzitutto le «antologie» pubblicate dalla editrice Ebe di Roma a cura di L. Merli, nel 1972, San Marco e nel 1973, Politica (4 voll.), nonché la raccolta comprensiva anche di opuscoli: N. Pistelli, Scritti politici, a cura di Enrico De Mita, editrice Politica, Firenze, 1967.
Su Pistelli hanno scritto:
- W. Dorigo, Ricordo di Nicola Pistelli, «Questitalia», Venezia, n. 77-78, 1964.
- A. Nesi, La vita interiore di Nicola Pistelli, in Quattro riflessioni per quattro momenti di speranza, «Quaderni di Corea», n. 3, Livomo, 1965.
- A. Scivoletto, La sua opera di «sintesi», «Note politico-sociali», Prato, settembre 1965.
- G. Di Capua, Nicola Pistelli, editrice Politica, Firenze, 1969.
- G. Di Capua, Pistelli ci disse, Ed. Ebe, 1971.
- R. Cantini, Nicola Pistelli come Piero Gobetti, «la Discussione», Roma 24 settembre 1979.
- A. Scivoletto, Pistelli, voce in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, tomo II pp. 512-516.
- M. Lancisi, La proposta politica di Nicola Pistelli, Ed. Nuova Toscana, 1984.








