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12ª sessione

Rambo, la bestia, l'alleanza per il progresso

Il vero «impegno costruttivo»
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La pace non è solo una questione politica, è, verrebbe da dire innanzitutto, una questione di giustizia sociale. La pace non è la mera assenza di guerra, ma il rispetto del singolo individuo e del gruppo.

Due sono le minacce alla pace provenienti dall'interno delle società occidentali, e due le soluzioni.

La criminalità organizzata, che trova facilmente il suo paradigma nel traffico di droga, ed il terrorismo sono forse ben più pericolosi per la pace di quanto non siano i missili atomici dislocati da una parte e dall'altra della Cortina di Ferro. Questi, fortunatamente, non sono stati utilizzati neanche una volta. Quelli invece uccidono tutti i giorni.

Natasha Simpson aveva 12 anni, e la sua unica colpa era dì essere una cittadina americana che al banco della «El-Al» dì Fiumicino si stava imbarcando per rientrare negli Stati Uniti in occasione delle vacanze dì Natale. Demetra invece aveva pochi mesi. Anche per lei la colpa era di essere una cittadina americana e di trovarsi sul sedile dì un volo sul Mediterraneo in un momento sbagliato. La bomba che è esplosa a poca distanza dal suo posto ha aperto uno squarcio nella fusoliera dell'aereo. Uno squarcio dal quale è stata risucchiata all'esterno per andare a morire (lo hanno provato gli esami necroscopici) schiantandosi a terra dopo un volo di migliaia di metri. La cosa più bestiale del terrorismo è che colpisce quasi esclusivamente gli innocenti. ·

La attuale amministrazione americana, alla soluzione della ferma trattativa e della prevenzione, preferisce piuttosto quella rambistica. Il bombardamento su Tripoli e Bengasi del 15 aprile scorso («l'America sì è sentita lasciata sola dagli alleati europei e da sola ha agito» spiegò senza andare lontano dalla verità quella volta Henry Kissinger) e l'invio il 14 luglio di truppe americane in Bolivia per andare a distruggere le piantagioni dì droga ne sono due esempi. Una reazione che magari può andare bene come contromisura immediata (dopo aprile il terrorismo nel Mediterraneo ha avuto una notevole flessione rispetto alla fine dello scorso anno) ma che nel lungo periodo non può bastare.

Grandi aree dell'America Latina (è inutile nasconderselo) sopravvivono unicamente grazie al commercio degli stupefacenti. Senza dì esso sarebbe il definitivo tracollo dì una economia già adesso poverissima. Nel suo ultimo numero la autorevole rivista americana «Foreign Affairs» pubblica un articolo dì Abraham Sofaer, consigliere legale del Dipartimento dì Stato.

«La legislazione vigente» afferma in conclusione l'ex giudice federale di New York, «non ci si può attendere che possa efficacemente reprimere il terrorismo internazionale (...) la nostra sfida è creare una maggiore comprensione tra i popoli ed i governi».

Ugualmente il ministro della difesa israeliano Yitzahk Rabin, nel corso dì una recente visita nella Cisgiordania occupata, ha auspicato il miglioramento delle condizioni dì vita dei palestinesi per giungere alla disfatta del terrorismo. Il problema deve essere eliminato alla radice. Il vero «impegno costruttivo» dei governi occidentali deve essere la soluzione dei problemi economici, politici e sociali che sono alla base della violenza, e non solo la pura e semplice repressione del fenomeno.

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