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Nuova Politica - Alta finanza pagina 40

Oligopolio: una parola dal suono orrendo e forse sconosciuta al grande pubblico. Sfogliando le pagine di un vocabolario della lingua italiana troverete la seguente definizione: "una situazione di mercato caratterizzata dalla presenza di un piccolo gruppo di imprese che offrono un dato bene o servizio". Per dirla con altre parole, la presenza di grandi concentrazioni economiche, a volte il dominio di un ristretto numero di imprese magari favorite, a dispetto delle altre, dal potere politico.

Nessun'altra definizione potrebbe cogliere meglio l'attuale fase di sviluppo del capitalismo italiano. È sufficiente riflettere un attimo sulle nostre abitudini quotidiane per rendersene conto.

Due persone su tre che sono al volante guidano un'auto fabbricata da un signore che si chiama Agnelli. Due persone su tre che bevono un caffè lo addolciscono con una bustina dello zucchero fabbricato da un signore di nome Ferruzzi. Due persone su tre che battono su una macchina per scrivere o su una persona! computer usano un prodotto di un signore che si chiama De Benedetti. Una persona su due che la sera guarda la TV vede i programmi del signor Berlusconi. E quasi tutte le persone che la mattina leggono i giornali si trovano in mano testate dei signori Agnelli, De Benedetti, Gardini, Berlusconi. E così via. Sembra quasi un ceto di gentiluomini di campagna i cui contadini hanno di che vivere bene ma devono pur sempre inchinarsi di fronte ai loro signorotti.

Una situazione molto simile a quella italiana di oggi la troviamo negli Stati Uniti alla fine del secolo scorso, quando pochi grandi capitalisti (i Rockfeller, i Gould, i Morgan) avevano in mano le ferrovie, i trasporti urbani, le banche, le grosse industrie e altre corpose fette dell'economia americana.

Quello stato di oligopolio implicava una struttura di potere economico di tipo oligarchico, cioè una sorta di governo dell'economia i cui poteri sono concentrati nelle mani di pochi cittadini. Allora, negli Stati Uniti, c'erano però anche nuovi imprenditori, uomini di finanza, politici, studiosi e riformisti, tutti capitalisti convinti dell'importanza di sviluppare un sistema di libero mercato nel quale le varie imprese si battono l'una contro l'altra in una competizione che dà spazio a tutte e che premierà soltanto i piu' bravi. Senza contare che in questo modo il consumatore dispone di una maggiore scelta di prodotti e di servizi, e a prezzi più bassi.

Fu così che oltre un secolo fa gli americani introdussero un insieme di leggi per regolare la libera competizione economica. Nel 1890 fu approvata la legge Sherman, che proibì di monopolizzare il commercio e rese illegali tutte le associazioni o intese fra aziende volte a restringere il commercio. Qualche anno dopo la legge fu utilizzata per impedire una fusione di grandi compagnie ferroviarie, attraverso l'intervento in base ad essa della Corte Suprema.

Nel 1914, con nuovi provvedimenti legislativi, si proibirono addirittura le nomine delle stesse persone in più consigli di amministrazione e le fusioni fra aziende, quando erano rivolte a ridurre la concorrenza.

Tutto questo accadeva nella patria del capitalismo molti anni fa. Ma un periodo di tempo così lungo non è stato sufficiente all'Italia per dotarsi di un sistema di leggi capaci di regolare la concorrenza e la competizione fra le imprese in un libero mercato. E così poche grandi imprese continuano a farla da padrona con il silenzio-assenso del potere politico. Chi ne fa le spese sono le piccole e medie imprese, asse portante del sistema economico italiano, e i cittadini costretti a subire le condizioni dettate dai signori del capitalismo italiano.

Non c'è dubbio che una delle sfide del futuro sarà la battaglia per la democrazia economica nel sistema capitalistico italiano.

... e giustizia per tutti
Ma è un contropotere?

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