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Un disegno provvidenziale

Nuova Politica - Un disegno provvidenziale pagina 121
Nuova Politica - Un disegno provvidenziale
Pio XII, 24 dicembre 1954, radiomessaggio natalizio «Ecce ego declinabo...» ai fedeli di tutto il mondo (il papa, malato, parla dallo studio privato)

Se non che, in un altro campo, anche più delicato che l'economico, l'errore è condiviso dalle due parti coesistenti nella pace fredda: esso riguarda i principi animatori della rispettiva unità. Mentre una delle parti fonda la sua forte coesione interna sopra un'idea falsa, anzi lesiva dei primari diritti umani e divini, ma tuttavia efficace; l'altra, dimentica di averne già in sé una, vera, provata con buon successo nel passato, sembra invece dirigersi verso principi politici evidentemente dissolutori della unità.

Nell'ultimo decennio, quello del dopoguerra, un grande anelito spirituale rinnovamento urgeva gli animi: unificare fortemente l'Europa, prendendo le mosse dalle condizioni naturali di vita dei suoi popoli, allo scopo di metter termine alle tradizionali rivalità tra l'uno e l'altro e di assicurare la comune protezione della loro indipendenza e del loro pacifico sviluppo. Questa nobile idea non prestava motivi di querela e di diffidenza al mondo extra-europeo, nella misura in cui questo guardava di buon occhio l'Europa. Si era inoltre persuasi che facilmente l'Europa avrebbe trovato in se stessa l'idea animatrice della sua unità. Ma gli avvenimenti successivi e i recenti accordi, che, come si crede, hanno aperto la via alla pace fredda, non hanno più come base l'ideale di una più larga unificazione europea. Molti infatti stimano che l'alta politica sia per ritornare al tipo di Stato nazionalistico, chiuso in se stesso, accentratore delle forze, irrequieto nella scelta delle alleanze, e quindi non meno pernicioso di quello in auge durante lo scorso secolo.

Troppo presto si è dimenticato l'enorme cumulo di sacrifici di vite e di beni estorto da questo tipo di Stato e gli schiaccianti pesi economici e spirituali da esso imposti. Ma la sostanza dell'errore consiste nel confondere la vita nazionale in senso proprio con la politica nazionalistica: la prima, diritto e pregio di un popolo, può e deve essere promossa; la seconda, quale germe d'infiniti mali, non sarà mai abbastanza respinta. La vita nazionale è, per sé, il complesso operante di tutti quei valori di civiltà, che sono propri e caratteristici di un determinato gruppo, della cui spirituale unità costituiscono come il vincolo. Nello stesso tempo essa arricchisce, quale contributo proprio, la cultura di tutta l'u-

manità. Nella sua essenza, dunque, la vita nazionale è qualche cosa di non-politico; tanto è vero che, come dimostrano la storia e la prassi, essa può svilupparsi accanto ad altre, in seno al medesimo Stato, come anche può estendersi al di là dei confini politici di questo. La vita nazionale non divenne un principio di dissoluzione della comunità dei popoli, che quando cominciò ad essere sfruttata come mezzo per fini politici; quando, cioè, lo Stato dominatore e accentratore, fece della nazionalità la base della sua forza di espansione. Ecco allora lo Stato nazionalistico, germe di rivalità e fomite di discordie.

È chiaro che, se la comunità europea s'inoltrasse in questa via, la sua coesione risulterebbe ben fragile in paragone a quella del gruppo che ha di fronte. La sua debolezza si rivelerebbe certamente il giorno di una futura pace destinata a regolare con avvedimento e giustizia le questioni ancora in sospeso. Né si dica che, nelle nuove circostanze, il dinamismo dello Stato nazionalistico non rappresenta più un pericolo per gli altri popoli, essendo privo, nella maggioranza dei casi, della effettiva forza economica e militare; poichè anche il dinamismo di una immaginaria potenza nazionalistica, espresso coi sentimenti più che esercitato con gli atti, disgusta egualmente gli animi, alimenta la sfiducia e il sospetto nelle alleanze, impedisce la comprensione reciproca, e quindi la leale collaborazione ed il mutuo aiuto, né più né meno che se fosse fornito di effettiva potenza.

Che ne sarebbe, poi, in tali condizioni, del vincolo comune, che dovrebbe stringere i singoli Stati in unità? Quale potrebbe essere l'idea grande ed efficace, che li renderebbe saldi nella difesa ed operanti in un comune programma di civiltà? Da alcuni si vuol vederla nel concorde rifiuto del genere di vita attentratice della libertà, proprio dell'altro gruppo.

Senza dubbio, l'avversione alla schiavitù è notevole cosa, ma di valore negativo, che non possiede la forza di stimolare gli animi all'azione con la stessa efficacia di un'idea positiva e assoluta. Questa potrebbe invece essere l'amore alla libertà voluta da Dio e in accordo con le esigenze del bene generale, oppure l'ideale del diritto di natura, come base di organizzazione dello Stato e degli Stati. soltanto queste e simili idee spirituali, acquisite già da molti secoli alla tradizione dell'Europa cristiana, possono sostenere il confronto – e anche superarlo, nella misura in cui fossero reso vive – con l'idea falsa, ma concreta e valida, che stringe apparentemente, e non senza il sussidio della violenza, la coesione dell'altro gruppo: l'idea cioè d'un paradiso terrestre, effettuabile non appena si pervenisse a stabilire una determinata forma d'organizzazione sociale. Per quanto illusoria, questa idea riesce a creare, almeno esteriormente, una unità compatta e dura e ad essere accettata da masse ignare; sa animare i suoi membri all'azione e votarli al sacrificio. La medesima idea, in seno alla compagine politica che la esprime, dà ai suoi dirigenti un forte potere di seduzione e agli adepti l'audacia di penetrare come avanguardie tra le file stesse dell'altro gruppo.

L'Europa invece attende ancora il risveglio di una propria coscienza. Frattanto, in quello che essa rappresenta come saggezza e organizzazione di vita associata e come influsso di cultura, sembra che perda terreno in non poche regioni della terra. In verità tale ripiegamento riguarda i fautori della politica nazionalistica, i quali sono costretti ad indietreggiare dinanzi ad avversari che hanno fatto propri i loro stessi metodi. Specialmente tra alcuni popoli fino ad ora considerati coloniali, il processo di maturazione organica verso l'autonomia politica, che l'Europa avrebbe dovuto guidare con accorgimento e premura, si è rapidamente mutato in esplosioni nazionalistiche, avide di potenza. Bisogna confessare che anche questi improvvisi incendi, a danno del prestigio e degli interessi dell'Europa, sono, almeno in parte, il frutto del cattivo suo esempio.

Si tratta solo di un momentaneo smarrimento per l'Europa? Ad ogni modo, ciò che deve restare, e senza dubbio resterà, è l'Europa genuina, cioè il complesso di tutti i valori spirituali e civili, che l'Occidente ha accumulato, attingendo alle ricchezze delle singole sue nazioni, per dispensarle all'intero mondo. L'Europa, conforme alle disposizioni della divina Provvidenza, potrà essere ancora vivaio e dispensatrice di quei valori, se saprà riprendere consapevolezza del suo proprio carattere spirituale e abiurare la divinizzazione della potenza.

Come nel passato le sorgenti della sua forza e della sua cultura furono eminentemente cristiane, così ella dovrà imporsi un ritorno a Dio e agli ideali cristiani, se vorrà ritrovare la base e il vincolo della sua unità e della sua vera grandezza. E se queste sorgenti sembrano in parte inaridite, se quel vincolo minaccia di essere spezzato e il fondamento della sua unità frantumato, le responsabilità storiche o presenti ricadono su tutte e due le parti che si trovano ora di fronte, in angoscioso e reciproco timore.

Questi motivi dovrebbero bastare agli uomini di buona volontà nell'uno e nell'altro campo per desiderare, pregare ed agire, affinché l'umanità sia liberata dalla ebbrezza della potenza e della egemonia, e acciocché lo Spirito di Dio sia il sovrano reggitore del mondo, ove un giorno l'Onnipotente stesso non scelse altro mezzo per salvare coloro che amava, se non di farsi debole Bambino in una povera culla. «Parvulus enim natus est nobis, et filius datus est nobis, et factus est principatus super humerum eius».

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