Un protagonista da non dimenticare
Il 18 ottobre 1978 nella sua casa di Roma si spegneva Giovanni Gronchi. Nato 91 anni prima a Pontedera, in provincia di Pisa da una famiglia modesfa, sin da giovanissimo entrò in contatto con quei movimenti cattolici che vedevano in Romolo Murri un preciso riferimento. Terminato il primo conflitto mondiale nel quale si distinguerà per azioni particolarmente ardite, Gronchi tornerà a frequentare con passione i circoli cattolici.
Al momento della fondazione del Partito Popolare Italiano, alla quale – come osserva puntualmente Gabriella Fanello Marcucci – «egli non partecipò al contrario di quanto è stato tante volte ripetuto», Giovanni Gronchi mostrerà inizialmente qualche perplessità nei confronti di alcune tesi all'interno del partito neo-nato. Poi come accadrà per De Gasperi e Filippo Meda – i quali non presero parte alla storica serata romana del 18 gennaio 1919 quando dalI' Albergo S. Chiara Sturzo lanciò l'appello «A tutti gli uomini liberi e forti» – comincerà un'intenso periodo di coinvolgimento e di fervore politico che contribuirà in modo determinante all'evoluzione del popolarismo. L'impegno sindacale di Gronchi si esprimerà in un'azione di propaganda e di intenso lavoro organizzativo cori le Leghe bianche. La riforma dei patti colonici, le battaglie per una riforma agraria, non sono che semplici esempi dell'impegno di quest'uomo. Un impegno di prima fila, in un periodo eroico per una stagione di grandi speranze riformatrici ma anche, tristemente coronata da frequenti incidenti di piazza e di scontri con lo squadrismo di marca social-comunista prima e, più tardi, fascista.
Nel 1920 Gronchi succederà a Giovanni Battista Valente nell'incarico di segretario della Confederazione Italiana Lavoratori (Cee). Proprio nell'ambito del sindacalismo bianco Gronchi avrà modo di esprimere e mostrare intensità notevole in termini di sensibilità sociale, spostando in avanti la linea di dibattito all'interno del mondo cattolico politicamente impegnato.
Questo «moto» sarà avvertito in quegli anni come una sorta di stonatura nel Partito popolare, soprattutto da parte di certi settori clerico-moderati. Il rinnovamento delle istituzioni, il progetto per una società più giusta mediante il recupero degli strati di popolazione più debole, contrapporranno l'evoluzione della linea politica di Granchi a quella ideologicodemagogica del dilagante fascismo. A 35 anni Granchi assunse l'incarico di sottosegretario all'Industria nel governo Mussolini. A 36 anni, insieme a Rodinò e Spataro entra nel Triumvirato che guiderà il Ppi dopo il forzato abbandono di Luigi Sturzo. Il 30 novembre 1924 entrando a far parte del Comitato interparlamentare delle opposizioni in rappresentanza del partito, forniva inequivocabilmente fiera azione di denuncia contro i misfatti fascisti e sulle corresponsabilità e complicità che ormai percorrevano trasversalmente ogni settore della scena politica italiana.
Nella parentesi fascista, dopo il provocatorio «Aventino parlamentare» e l'acuirsi del clima di mobilitazione dei partiti democratici, per Granchi – come per tantissimi altri intellettuali italiani – porrà l'aut-aut dell'accettazione del regime fascista in cambio del diritto di svolgimento dell'attività professionale. Il suo rifiuto, oltre a comportare per lui e la sua famiglia una serie di difficoltà pratiche, lo condurranno ad intensificare l'attività in riunioni clandestine. A partire dall'autunno del '42 si ridiede formalmente vita al partito. Preziosa risulta la notazione di Manlio Di Laila: «Mentre a Milano si formava una commissione per preparare il programma della quale facevano parte Brusasca, Carcano, Clerici, Augusto De Gasperi, Falck, Grandi, Granchi, Malavasi, Meda, Migliori ed altri, Granchi si muoveva per conto suo insieme a Rapelli ed organizzava un convegno tendente a raggruppare gli ex sindacalisti della sinistra del partito popolare... Era quella la prima dimostrazione che Granchi, pur non essendo diviso da De Gasperi da ragioni di prospettiva politica... aveva l'obiettivo tattico di formare la corrente dei sindacalisti fedele alla sua persona per acquistare influenza e peso politico nel partito. In realtà, da allora in poi, Granchi non ebbe mai una visione alternativa a quella di De Gasperi... ma solo un dinamismo diverso nell'articolare equilibri interni nel partito...» (da «Storia della Dc» - vol. I - p. 129). Nel dopo guerra l'azione politica di Giovanni Granchi viene caratterizzata dall'altro incarico di Presidente della Camera dei Deputati. E qui preferiamo fermarci: la relativa vicinanza dei fatti storici richiederebbe troppo spazio per un necessario approfondimento. Ci è piaciuto ricordare – di quest'uomo che diverrà Presidente della Repubblica e soprattutto per questo sarà ricordato – le prime fasi del suo impegno con i popolari, quando nasceva la possibilità concreta di inserire nella vita civile e democratica grandi masse di cattolici.
«Dalla intensa vita politica di Granchi» dice G. Fanello Marcucci «si può trarre anche un ultimo insegnamento: il suo pacato ritirarsi in assoluta vita privata, dopo aver ricoperto la massima responsabilità dell'unità nazionale».
Discorso sul disegno di legge: modificazione alla legge elettorale politica
«... Questo nostro partito, anche per gli avversari di tutti i colori deve essere oggi un esempio alto e nobile di attaccamento al proprio pensiero e alla propria fede. Perché non c'è partito, che da cinque mesi a questa parte sopporti – come il popolare – tale urto, occulto e palese, di dissensi interni e di disgregazioni esterne, non c'è partito contro il quale sia stata levata la intimidazione e la calunnia, come contro il nostro. Voi ricordate, prima del Congresso di Torino, quello che altre frazioni di cattolici accusandoci di monopolio del cattolicesimo, hanno operato contro di noi... Noi non abbiamo voluto monopolizzare questo pensiero religioso, non abbiamo voluto farcene scudo per protezione o per richiamo; altri ha inteso coinvolgere la Chiesa nella arroventata polemica antipopolare... Non è un funerale allegro, onorevole Petrillo, questo di cui oggi il gruppo vi dà spettacolo; è una manifestazione di serena fermezza che anche voi dovete rispettare. È un reparto in battaglia cui è caduto, fortunatamente solo metaforicamente, l'alfiere!... (Vivissimi applausi al centro e grida di Viva Sturzo! Interruzioni a destra)... Il partito rimane, perché vedete, onorevoli colleghi, la divisione che si è voluta creare fra i cattolici così detti nazionali e cattolici popolari è tutt'altra cosa che non una divisione profonda di pensiero e di azione di fronte al problema occasionale della collaborazione fascista. Per una parte è posizione tattica, di convenienze (non da parte nostra s'intende) e per l'altra è un vecchio e perenne stato d'animo conservatore... La divisione vera fra noi e loro è invece sulla concezione che essi hanno anche nel momento attuale. Si tratta del vecchio processo dinamico del nostro partito: sono i conservatori, ieri come oggi, contro i democratici. A costoro piace del Governo attuale l'apparenza diciamo contraddittoria, antidemocratica, non la sostanza di pensiero Noi abbiamo un'altra funzione storica. Non è la funzione di coloro che credono la politica di oggi dover essere per i cattolici una politica di adattamento; noi sentiamo che nessuno ci può soppiantare e che noi alla nostra fisionomia, alla nostra azione non possiamo rinunziare perché rappresentiamo la permeazione religiosa della democrazia, che è il contenuto più vivo del nostro atteggiamento».
Giovanni Gronchi
(Camera dei Deputati, 10 luglio 1923)


