Al portone avevo voluto dedicarmi personalmente. Consideravo questo compito in modo non dissimile da una prova di intelligenza e di misurazione d'astuzia che, pur prevedendo alta e brillante, necessitava di una conferma probante.
Certo, in passato avevo sostenuto dei test, gradualmente sempre più impegnativi, ma senza essere mai completamente soddisfatto.
Il mio quoziente intellettivo doveva toccare i vertici, tangere l'acuto di una dimostrazione pratica e l'occasione mi si presentò sotto forma di ideazione e costruzione di un nuovo complesso carcerario. Non ebbi alcun problema nel finanziamento dell'impresa, né alcuna preoccupazione relativa alla formazione dello staff che doveva allestire l'opera in tutti i suoi delicati risvolti. Ciascuno aderì con pronto entusiasmo e si prese la sua parte con la promesa di fare del proprio meglio.
Io dovevo svolgere un ruolo di supervisione generale ma volevo anche confrontarmi con il lato pratico della questione, e il futuro portone del complesso mi lanciava il suo guanto di sfida; non potevo ignorarlo. Raccolsi il guanto e mi misi ai lavori che pretesi pubblici per non suscitare alcun sospetto od ombra.
Il portone doveva essere il fiore all'occhiello del nuovo stabile; originale per impossibilità di accesso, senza barocche imponenze, né serrature banali e pedanti.
Mi piaceva molto il marmo, così esenziale nella sua forza placida e primitiva. Inoltre offriva condizioni insuperabili di risparmio.
Non appena ipotizzai il suo uso ebbi il plauso ampio del mio staff ed un incoraggiamento a proseguire. E allora mi chiesi se fosse in qualche modo possibile far scorrere il marmo mediante elettricità. Immaginavo questa èhiusura centralizzata di un ingresso in marmo; ero suggestionato dal colpo secco con il quale sbarravano il passo, quelle pesanti mura, mute al rimpianto e alle loro cause. Ma il marmo è un buon conduttore di elettricità? E se non buono almeno discreto? Non restava che provare.
Provare e riprovare. Era il tributo che il mio intelletto doveva pagare per la sua suprema affermazione».
(Brano estratto da «Le mie carceri» di Franco Nicolazzi)

