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Sturzo

E per leggere Sturzo?

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Gli ostacoli, di educazione politica e di pratica reperibilità, sul cammino di un giovane dc che vuole leggere le pagine di Sturzo. Una traccia e una guida per chi vuole affrontare lo studio del pensiero politico del fondatore del PPI.

Come può un giovane democratico siciliano scrisse negli anni dell'impegno cristiano accostarsi, oggi, alla lettura di Luigi Sturzo? Mi pare non inutile il tentativo di dare una risposta a tale interrogativo. Esiste, infatti, una  consapevolezza diffusa circa la necessità di liberare il pensiero del fondatore del popolarismo da quel clima di generico e talvolta retorico tributo che, nella vita rituale del partito, fa ricorrente atto di consacrazione alla galleria dei «padri nobili», ma che nello stesso tempo lascia i numerosi libri, che il sacerdote siciliano scrisse negli anni dell'impegno sociale e politico, e poi nel ventennale esilio, così come i saggi e gli infiniti articoli di respiro teorico o di concreta azione politica, riposti in polverosi scaffali. Sturzo è stato, ed è ancor oggi pochissimo letto: è cosa ben nota. E ciò per ragioni tutt'altro che casuali. Le stesse che pongono il potenziale lettore di fronte ad una duplice sottilissima insidia: l'una di natura, per dir così, psicologico-politica, connessa all'idea di Sturzo che, per usare un'espressione alla moda, l'immaginario collettivo del partito, ci ha consegnato. La seconda di natura, invece, pratica e metodologica: ben comprensibile di fronte ad un'opera dalle dimensioni vastissime, e perciò tale da indurre ad un senso di naturale disorientamento, e per di più scarsamente accessibile, e non sempre sorretta dai necessari strumenti orientativi e critici, tali da facilitare un approccio – e nella ipotesi più esigente, uno studio – rigoroso e corretto. Vale forse la pena di fermare, separatamente, l'attenzione su tali difficoltà, delle quali, perché possano essere superate, è bene innanzitutto prendere coscienza.

L'idea che abbiamo di Sturzo, innanzitutto. Sul retro della tessera del Movimento giovanile del 1973, in tempi di tesseramento autonomo, era riportato un passo tratto da una eloquente pagina sturziana, che vale la pena di citare per esteso:

"Non si può tornare all'antico, nessuno è disposto a ripetere il passato: ogni generazione deve fare la propria esperienza anche sbagliando. Che i soliti tutori dell'ordine non comincino a gridare che c'è del disordine in questo mondo; ce ne sarà di sicuro dopo tanto preteso ordine. Per arrivare ad un ordine è certo che si deve passare dal disordine. I bigotti dell'ordine è bene che lo sappiano. L'importante è fissare dove si vorrà arrivare e cercare di adottare i mezzi più convenienti e rapidi per evitare ritardi ingiustificati, delusioni opprimenti e diffidenze insidiose"[1]. Indubbiamente una bella citazione, ricca di implicazioni e di significati profondi per la generazione del post '68. Ma anche, in un certo senso, la testimonianza della necessità di riaccreditare, per dir così «a sinistra», e non senza qualche imbarazzo, una immagine di Sturzo alternativa allo stereotipo corrente, cristallizzato dalle vicende dell'ultimo decennio di vita del sacerdote di Caltagirone percepito allora, e per lunghi anni dopo la sua morte, come idealmente e politicamente «scomodo» per l'anima più dinamica e progressiva del partito, soprattutto nelle sue componenti giovanili e intellettuali.

Un rapporto non facile tra Sturzo e la Democrazia Cristiana: occorre precisare e, possibilmente, capire[2]. Sturzo, l'abbiamo detto, fa senza dubbio parte del «medagliere» della DC. Il riferimento, non privo talvolta di venature retoriche, al partito di Sturzo, di De Gasperi e ora anche di Aldo Moro, appartiene ad una abbastanza consolidata liturgia. Ma il patriottismo di bandiera non basta. Soprattutto non è sufficiente a mettere in circolazione valori culturali, nel caso specifico a rendere partecipato e influente un pensiero politico, oggi condannato ad una ingiusta marginalità.

Tutto ciò non è casuale: Nel riferimento a Sturzo da parte dei democristiani degli anni sessanta e settanta (perché qualcosa negli ultimissimi tempi sta sicuramente cambiando) c'è un che di riserva e di reticenza. Ci sono almeno tre pietre di inciampo, a nostro avviso, che inconsciamente hanno impedito e in una certa misura ancora impediscono, una piena adesione, «senza riserve e senza sottintesi», della DC a Sturzo, non certo come ad una «tavola sacra», ma come ad un punto imprescindibile di concreto e attuale riferimento.

Se si parte dal presupposto che è opportuno rimuovere queste pietre di inciampo occorre innanzi tutto guardare. ad esse, senza cedere alla tentazione di aggirarle o di fingerle inesistenti. Esse sono: a) la cosiddetta «operazione Sturzo» del 1952; b) le aspre critiche dell'ultimissimo Sturzo alla classe dirigente DC degli anni cinquanta, significativamente emblematizzate dall'iscrizione del vecchio leader al «gruppo misto» del Senato, una volta nominato da Luigi Einaudi senatore a vita; c) fast but not l'east, l'essere Sturzo prete.

Vediamo innanzi tutto il comune denominatore di questi fattori negativi che hanno pesato – ripetiamo: spesso inconsciamente – sul rapporto tra Sturzo e il partito erede delle sue intuizioni. Un elemento sembra unificare la diversità dei motivi: in buona sostanza il sacerdote siciliano nell'ultimo decennio di vita (conclusasi nella più assoluta lucidità, all'età di 88 anni) avrebbe operato nel senso di una implicita sconfessione del proprio passato. Sono proprio i termini di questo apparente rovesciamento, quasi una sorta di sconcertante autonegazione, a segnare un solco profondo che ancora attende di essere colmato.

L'«operazione Sturzo» parve vanificare un passato di coerenza antifascista che ben pochi potevano vantare: oppositore a viso aperto di Mussolini nei mesi decisivi della conquista del governo, esule per oltre vent'anni, attivissimo sulla scena internazionale nel promuovere una più alta coscienza democratica e nella difesa dei valori di libertà[3]. La più obiettiva ricerca storiografica e le testimonianze dirette dei protagonisti hanno contribuito a chiarire il ruolo di Sturzo nella confusa vicenda: non soltanto egli non fu entusiasta della linea di apertura alla destra, ma certamente nulla fece per evitare il fallimento (che forse, anzi, egli favorì) dell'iniziativa patrocinata dalle gerarchie vaticane. Quanto alle battaglie polemiche degli anni cinquanta esse parvero allora dissolvere in un atteggiamento politicamente retrivo e culturalmente arcaico tutta la ricchezza delle precedenti esperienze nel campo sociale e politico. Forse soltanto oggi ci si rende conto della preveggente attualità di alcuni moniti, della precisa individuazione dei più pericolosi mali corrosivi delle moderne democrazie: dagli eccessi dello statalismo alle invadenze partitocratiche, dalle esigenze di rigore morale nella gestione della cosa pubblica fino alla denuncia della scarsa chiarezza politica nel rapporto tra i diversi partiti su cui si andava allora fondando l'esperienza di centrosinistra.

Infine la condizione sacerdotale di Sturzo, in un'epoca segnata dallo scioglimento del difficile nodo della laicità dei cattolici in politica, ha posto come una sorta di ulteriore barriera psicologica. In questo caso davvero al di là di alcun motivo ragionevole: se è pur vero che la figura del sacerdote-leader politico è storicamente datata, non vi è dubbio che proprio dalla riflessione teorica di Sturzo nonché dalla sua stessa concreta esperienza politica, sia venuto il più decisivo contributo anticipatore degli orientamenti conciliari. Anzi: il problema della laicità trova in Sturzo ancor oggi, la più convincente e corretta definizione dal punto di vista politico non meno che teologico. Riassumendo: Sturzo troppo spostato a destra e ultraliberista in politica economica, Sturzo censore della DC, Sturzo prete: tre reminiscenze che pesano come macigni e che vanno finalmente rimosse[4]. Ma che forse, potremmo azzardare, qualcuno sta già cominciando a rimuovere. È di qualche anno fa il monito autorevole, più volte ed anche recentemente ribadito, di padre Bartolomeo Sorge a ritornare a Sturzo: alle ragioni cioè di un impegno politico di cattolici, idealmente e criticamente motivato, secondo la prospettiva di un partito di ispirazione cristiana, aconfessionale, popolare, democratico e di integrazione nazionale[5]. Ed è pressoché superfluo, su queste colonne, ricordare come il riferimento a Sturzo costituisca elemento essenziale della proposta politica di Ciriaco De Mita: nel richiamarsi alla cultura del pluralismo e delle autonomie, alla laicità dell'agire politico come conseguenza stessa del senso forte dell'ispirazione cristiana, all'intensità e alla qualità dell'impegno programmatico come tratto caratterizzatore del partito politico moderno, il segretario nazionale della DC ripropone, con tutto il peso della sua autorevolezza, la straordinaria attualità della lezione sturziana. Ed anche sul versante della sinistra del partito, erede, in un certo senso, degli scontri ideologici con Sturzo negli anni cinquanta, una lunga stagione di diffidenza, quantomeno nei confronti dell'«ultimo Sturzo», lascia il passo ad una prospettiva di analisi che si pone nei termini di una riconsiderazione globale, non priva di accenti autocritici: «alla luce delle realtà oggi sotto i nostri occhi» – scrive Giovanni Galloni in un saggio apparso proprio in queste settimane – «tutte le sinistre, compresa la sinistra democristiana, devono rivedere le loro posizioni; e anche coloro i quali si richiamano alla tradizione sociale di La Pira non possono non riconoscere che la situazione di Sturzo resta la via maestra per costruire un progetto di società e di Stato adeguato ai tempi»[6]. Al «recupero» politico è inscindibilmente connessa una nuova attenzione sul terreno della riflessione storiografica: Francesco Traniello, ad esempio, ha più volte parlato di Sturzo come «La figura del nuovo intellettuale» nell'Italia contemporanea [7]. Fine della marginalizzazione, dunque? È assai presto per dirlo. Occorre anzi dire, con estrema chiarezza, che se si vuole riportare il pensiero di Sturzo al livello che ad esso compete nella battaglia intellettuale e nel confronto politico del nostro paese, adeguati investimenti dovranno essere promessi, nuove energie da impegnarsi sul piano della ricerca e della seria, rigorosa divulgazione dovranno essere suscitate e sostenute. La responsabilità della Democrazia cristiana a procedere in tal senso – anche in vista del 1989, trentesimo anniversario della morte di Sturzo e settantesimo della fondazione del PPI – è assolutamente primaria. Antichi ed opprimenti ostacoli, assai condizionanti sul piano che abbiamo sopra definito psicologico-politico, sono stati sostanzialmente rimossi. Occorre ora vincere la inguaribile avarizia e sciatteria con cui il partito, da tempo immemorabile, attende alle proprie iniziative culturali per realizzare, su Sturzo, una grande operazione di cultura politica che non è soltanto doverosa ma è anche – a condizione di esserne davvero convinti – concretamente possibile.

E veniamo alla seconda difficoltà nell'approccio alla figura e al pensiero di Sturzo. Il fondatore e teorico del popolarismo ha scritto moltissimo: soltanto nell'ambito dell'Opera omnia, edita da Zanichelli, ma il cui completamento avviene oggi per i tipi delle Edizioni Cinque Lune, sono stati pubblicati – a cura dell'Istituto «Luigi Sturzo» di Roma – circa trenta volumi. Vi sono poi numerosi volumi di carteggi, scritti vari, articoli degli ultimissimi anni (stampati dalle edizioni di Politica popolare), mentre altri inediti, soprattutto nel vasto mare della corrispondenza, continuano tuttora a vedere la luce. Come orientarsi in tale intricatissima selva? Innanzi tutto, per accostarsi a Sturzo – ma in generale per qualsiasi autore – è necessaria una buona conoscenza del dato biografico. Nel caso nostro abbiamo l'opportunità di disporre della fortunata biografia di Gabriele De Rosa, oltretutto di godibilissima lettura, alla quale è possibile rimandare anche per la densa nota biografica, aggiornata fino al 1977, anno della prima dizione di questo ormai punto di approdo degli studi sturziani, tenendo però conto che da quella data numerosi scritti importanti di Sturzo e su Sturzo hanno visto la luce, per la rassegna dei quali sarà necessario ricorrere a repertori specializzati. Ma il tema di questa nota è come leggere direttamente Sturzo. Problema tutt'altro che facile in considerazione non soltanto degli ampi confini dell'opera sturziana, ma anche della scarsa accessibilità di essa: tutti i libri dell'Opera omnia sono da tempo esauriti, (in numero limitato possono però essere richiesti all'Istituto Sturzo, via della Coppelle, 35) eccezion fatta per un ultimo recente volume di scritti storico-politici, editi dalla Cinque Lune, e disponibili pertanto esclusivamente presso le biblioteche: le più importanti delle quali, a un primo sommario riscontro, sembrano a suo tempo avere acquisito le opere di Sturzo, e sono quindi in grado di offrirle in lettura. Non è quindi possibile entrare in una qualsiasi libreria e chiedere alcuna opera completa di Sturzo: eloquente saggio di come a una quarantennale egemonia di governo possa corrispondere la più sconcertante debolezza sotto il profilo della presenza politico-culturale. Ma ciò è cosa, purtroppo, dolorosamente nota. Soccorrono, fortunatamente, alcune pregevoli edizioni antologiche: quella curata da Giorgio Campanini e Nicola Antonetti nel 1979 (Luigi Sturzo. Il pensiero politico, Città nuova) e le successive di Mario G. Rossi, studioso di orientamento neo-marxista, pubblicata da Feltrinelli nella collana «Scrittori politici italiani», di Francesco Malgeri presso l'editore il Poligono.

Queste antologie hanno il pregio di offrire alcuni fondamentali testi sturziani: dal celebre Discorso di Caltagirone all'appello ai «liberi e forti», dalla relazione al Congresso popolare di Torino nel 1923 alla Conferenza tenuta a Parigi sulla libertà in Italia, nei primissimi tempi del suo lungo esilio. Esse poi presentano alcune pagine tratte dagli scritti degli anni trenta e quaranta, così come dall'attività pubblicistica dell'ultimo decennio, consentendo in tal modo una panoramica articolata e puntuale di tutta la complessa ed eterogenea produzione su temi specifici: gli Scritti meridionalistici curati da De Rosa (Laterza, 1979) e, sul pensiero sociologico di Sturzo, l'antologia, edita anch'essa nel 1979 da Città nuova, per la cura di Gianfranco Morra. Chi trovasse nella lettura antologica motivi di interesse e sollecitazioni per accedere ai libri di Sturzo nella loro versione integrale, dovrà inevitabilmente affrontare alcuni problemi di impostazione e di definizione del piano di lettura. Da dove cominciare, innanzitutto?

È ben evidente che qualsiasi suggerimento al riguardo assume di necessità un carattere soggettivo, se non forse addirittura arbitrario. A mero titolo di esemplificazione, comunque, azzardiamo. Una efficacissima introduzione a tutta la problematica sturziana, contenente tra l'altro alcune importanti pagine di autobiografia politica e intellettuale, è il composito – ma sostanzialmente unitario – volume Politica e morale , opera apparsa sul finire degli anni trenta in Inghilterra e in Francia e pubblicata in Italia nell'immediato dopoguerra. Nell'Opera omnia essa è stampata in un unico volume assieme a un saggio di argomento affine: Coscienza e politica , uno tra gli ultimi lavori di Sturzo, apparso nel 1953, e ad alcuni importanti articoli che costituiscono una sostanziosa appendice. Poiché, come è noto, il tema del rapporto tra morale e politica, della primauté della prima sulla seconda, per usare parole sturziane, è una sorta di filo conduttore di tutta l'opera del pensatore siciliano, ci pare che la lettura di tale volume possa assumere davvero un carattere, per così dire propedeutico. Subito dopo, avendo ormai rinunciato a seguire la volta di un'opera famosa di Sturzo: Italia e fascismo, utile anche, nelle pagine iniziali, al fine di ricostruire una interpretazione della storia d'Italia  – dal Risorgimento alla crisi dello stato liberale – alla luce della cultura del popolarismo. Strettamente connessi a questa riflessione, e perciò da leggersi immediatamente dopo, appaiono i tre straordinari volumi compresi sotto il titolo: Il Partito popolare italiano. Essi comprendono gli scritti di Sturzo dal 1919 al 1925, tra i quali opere come Dall'idea al fatto, Riforma statale e indirizzi politici, Popolarismo e fascismo, Pensiero antifascista, oltre a numerosi saggi ed articoli, discorsi politici, relazioni congressuali, interviste alla stampa: una autentica miniera per la conoscenza e l'approfondimento del pensiero politico sturziano.

Chi volesse procedere a ritroso, fino a rintracciare gli incunaboli del popolarismo sturziano potrebbe associare a questa fase di lettura il volume Sintesi sociali, che raccoglie gli scritti degli anni di militanza murriana: e tra questi il ben noto saggio, dal titolo eloquente, La lotta sociale legge di progresso.

Infine può suggerirsi di affrontare alcune delle grandi opere dell'esilio, che Sturzo definiva di sociologia storicista: e tra esse, almeno La comunità internazionale e il diritto di guerra, Società sua natura e leggi, la sua più importante opera di filosofia sociale, e Chiesa e Stato, vigorosa sintesi dei rapporti tra potere civile e società religiosa, dall'apparizione del cristianesimo sulla scena del mondo alle tragiche esperienze, a lui contemporanee, dei moderni Stati totalitari.

 

NOTE

1 - La citazione era tratta da un'opera dell'immediato secondo dopoguerra, L'Italia e l'ordine internazionale, scritta da Sturzo in America e subito tradotta e pubblicata in Italia da Einaudi, nel 1946.

2. - Riprendo qui largamente alcune considerazioni già contenute in un mio articolo di qualche anno fa: cfr. Riconciliarsi con Sturzo? in «Bollettino dell'Istituto regionale di studi politici A. De Gasperi», febbraio-aprile 1984.

3 - Per una documentazione di tutto ciò sono importanti i quattro volumi di Miscellanea londinese editi nel quadro dell'Opera omnia. Assai interessanti anche i tre volumi di Scritti inediti apparsi a cura dell'Istituto Sturzo presso le Edizioni Cinque Lune nella prima metà degli anni settanta. Si vedano in particolare il II ed il III volume, che presentano saggi della ricca corrispondenza di Sturzo con esuli ex-popolari (da Francesco L. Ferrari a Giuseppe Donati) e del mondo antifascista laico (tra i quali Salvernini, Rosselli, Nitti e Sforza...).

4 - Sarebbe interessante una più ampia ricostruzione, che mi propongono di svolgere in altra sede, del complesso rapporto post mortem tra Sturzo e la Democrazia cristiana. Se apriamo, ad esempio, gli Atti del Congresso nazionale di Firenze nell'autunno del 1959 (Sturzo era morto in agosto) si rimane colpiti dagli scarsi e generici riferimenti al fondatore del PPI, soprattutto in considerazione della sua recente scomparsa.
Tra l'altro Moro, allora Segretario nazionale, aveva da poche settimane tenuto un discorso sul Pensiero politico di Luigi Sturzo (oggi ripubblicato da G. Campanini in un'antologia di Moro edita da Il Poligono), che aveva suscitato vivaci discussioni. Soltanto con la stagione dei Convegni di San Pellegrino, dal 1961 al 1963, inizierà un più serio confronto critico con il pensiero di Sturzo, che avrà un significativo prosieguo nel Convegno di Lucca del 1967. Ma per tutti gli anni settanta, nonostante la sollecitazione dell'importante convegno siciliano del 1971, nel centenario della nascita, la figura di Sturzo, nella coscienza collettiva dei democratici cristiani, sarà sostanzialmente autocensurata e rimossa.

5 - Cfr. B. SORGE, Per una rinnovata presenza di cattolici in politica in «Civiltà cattolica», 18 febbraio 1984.

6 - G. GALLONI, Dopo la crisi del capitalismo riprende con forza la proposta dell'umanesimo personalista e comunitarioin «Politica oggi» febbraio 1987. Per ciò che riguarda il complesso rapporto sinistra democristiana- Sturzo va però ricordata anche l'attenzione per il pensiero sturziano che traspare dalle collezioni di «Cronache sociali», soprattutto sul tema della concezione del partito politico, ed oltre un decennio più tardi, in analoga prospettiva, la acuta riflessione su Sturzo di Nicola Pistelli.

7 - Cfr. F. TRANIELLO, Sturzo e il nuovo intellettuale in «Vita e pensiero»., novembre 1984.

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