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NUOVA POLITICA
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Progetto Sturzo

Progetto di Sturzo sul sistema fiscale dei comuni

Nuova Politica - Progetto di Sturzo sul sistema fiscale dei comuni pagina 10
Nuova Politica - Progetto di Sturzo sul sistema fiscale dei comuni
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Nuova Politica - Progetto di Sturzo sul sistema fiscale dei comuni
I punti principali della proposta di riforma. Un ordinamento di non piena autonomia ma da coordinare con quello dello Stato. Respinto il concetto di facile gratuità per i servizi erogati. In una relazione del novembre 1921 don Sturzo affronta la riforma dell'ordinamento tributario dei Comuni.

Mario Scelba mi ha inviato una «preziosità» bibliografica, densa di insegnamenti che ci vengono ancora una volta, da Luigi Sturzo. E un opuscolo edito dall'Associazione dei Comuni Italiani che riporta la relazione tenuta da Sturzo al XIV Congresso Nazionale dei comuni, svoltosi a Parma nei giorni 19-20-21 novembre 1921. L'argomento è «La riforma dell'ordinamento tributario dei comuni». La preziosità della pubblicazione non è solo rappresentata dal fatto che si tratta di un'edizione originale, ma anche perché quel testo non è compreso nel volume dell'Opera Omnia che raccoglie – sotto il titolo «La regione nella nazione» – gli scritti di varie epoche di Sturzo al riguardo delle autonomie locali.

Il discorso di Sturzo si inquadra, è naturale, nella realtà del momento; e della situazione di allora lo stesso relatore dava, all'inizio della sua esposizione, una visione precisa. La materia viene trattata attraverso una serie di interventi non coordinati tra loro e che vedevano allenarsi, come soggetti impositivi, lo Stato o i comuni, senza una logica e una visione complessiva.

Sturzo ripercorreva, nel suo discorso del '21, le tappe di un lavoro svolto dalla «Commissione Reale per la Riforma degli Enti locali», istituiti nel 1918 e della quale aveva fatto parte insieme a Luigi Einaudi, ad Annibale Gilardoni ed altri. Rispetto alle tendenze nettamente autonomiste manifestate prima della guerra mondiale, la Commissione istituita nel 1918 giungeva a conclusioni più moderate affermando: «La Commissione ritiene che il sistema tributario degli enti locali non debba essere pienamente autonomo, ma debba avere il suo coordinamento col sistema tributario dello Stato».

Al termine dei lavori – proseguiva Sturzo nella sua esposizione – erano stati fissati alcuni punti, la cui lettura può essere utile, oggi, per comprendere la divisione delle materie così come si era allora ipotizzata:

  1. riordino delle sovrimposte sui redditi dei terreni e dei fabbricati;
  2. sovrimposta provinciale sulla complementare di Stato;
  3. imposta comunale con sovraimposizione a favore delle province sui redditi delle industrie e commerci, arti e professioni; abolizioni della tassa di esercizio e rivendite, e coordinamento con la tassa bestiame;
  4. imposta generale sulla spesa, con carattere indiziario ed a larga base; e abolizione delle imposte speciali che colpiscono gli indici di agiatezza, cioè: valore locativo dell'abitazione, vetture e domestici, cavalli da sella e da tiro, pianoforti, bigliardi e simili;
  5. modificazione dell'imposta di soggiorno, ampliandone le basi di applicazione;
  6. istituzione a favore dei comuni di un'imposta sullo spaccio delle bevande alcoliche e abolizione della corrispondente tassa di licenza;
  7. sovrimposta fino ad un determinato limite sui beni stabiliti per l'esecuzione di determinate opere pubbliche;
  8. istituzione di contributi obbligatori di miglioria a favore dei Comuni e delle province per devolvere, a loro favore, il plusvalore di beni stabili dipendenti dalla esecuzione delle opere pubbliche;
  9. istituzione di speciali contributi obbligatori di miglioria a favore dei comuni e delle province ed a carico di coloro che più intensamente fruiscono di determinati servizi pubblici;
  10. cessione definitiva a favore dei comuni di tutti i dazi interni di consumo di spettanza dello Stato.

Come si può vedere dallo schema e dalle materie sopra elencate, non esisteva, nel progetto di Sturzo, il concetto di facile gratuità per i servizi erogati dal comune, anche al riguardo di opere pubbliche. Si consideri, ad esempio il punto nove, laddove parla di coloro che più intensamente fruiscono di determinati servizi pubblici. Spiega Sturzo: «È razionale sistema quello di far contribuire i proprietari e gli utenti per quelle spese straordinarie che i Comuni debbono sopportare per l'incremento naturale di opere pubbliche che risponde a più elevato ritmo di vivere civile, specialmente piani regolatori, sventramenti di rioni antiigienici, sistemazioni stradali o simili». Ed aggiungeva a migliore chiarificazione delle motivazioni dell'imposta: «Il concetto base è l'incremento di valore e il maggior uso». D'altra parte, come si rileva dalla ulteriore lettura del discorso – e come lo stesso Sturzo dice – si trattava di una imposizione molto contenuta, che introduceva però il principio del concorso del privato a sostegno di spese per opere pubbliche dalle quali avrebbe tratto un sicuro ed immediato beneficio.

Nel disegno sturziano l'autonomia impositiva dei comuni sulle materie elencate, non esentava lo stato dal dovere di una assistenza finanziaria verso i comuni stessi. Per questo il Segretario del Partito popolare - che in questo caso parlava però nella sua veste di vicepresidente dell'Associazione dei comuni italiani - sottolineava la necessità del rafforzamento, o della istituzione di tre principali tipi di intervento: i mutui per i deficit dei bilanci comunali, erogati dalla Cassa depositi e prestiti, stabilita per l'anno 1920 e che, nella proposta di Sturzo, avrebbero dovuto essere programmati anche per gli anni successivi, con un tipo di gestione del credito che costituisse un vero e proprio mutuo a lunga scadenza, e non piuttosto solo un riepilogo di cassa; i mutui per le opere pubbliche, per i quali c'era stato qualche intervento nel 1919, ma di portata molto limitata. Il discorso era di grande rilievo perché si intrecciava, affermava Sturzo, al problema delle disoccupazioni di fronte al quale l'incremento delle opere pubbliche con finanziamento a credito agevolato, avrebbe potuto offrire una qualche risposta.

Spese statali a carico dei comuni: era questo l'obiettivo che si poneva l'Associazione senza nascondersi la difficoltà di raggiungerlo. Alcuni interventi episodici che si erano avuti non risolvevano la questione. Diceva pertanto Sturzo: «È necessario affrontare il problema nella sua integrità, fare una esatta enumerazione di tali spese e iniziare una vera agitazione a proposito della riforma tributaria e amministrativa dei comuni: spese di leva e militari in genere, di lista e di elezioni politiche, di pubblica sicurezza e simili, ordinarie e straordinarie, dovrebbero essere o rimborsate o fissate a forfait con contributi analoghi da parte dello Stato. È una vecchia tesi dell'Associazione dei comuni, che oggi deve ottenere la sua complessa attuazione».

Pur nella chiarezza di impostazione politica, e nella capacità di entrare nel dettaglio tecnico amministrativo della proposta, che distingueva, anche qui, l'intervento sturziano, non c'era nessuna illusoria certezza sui risultati che con quei provvedimenti, se applicati, sarebbero stati raggiunti.

Per questo Sturzo chiudeva il suo discorso – prima di presentare un ordine del giorno all'approvazione del Congresso – con un interrogativo ed un monito: «Queste le linee della riforma generale. Saranno sufficienti per i Comuni? È un'incognita: servono come inizio a costruire una finanza stabile e razionale, e determineranno i nuovi punti di riferimento e i nuovi elementi di conquista. È superfluo aggiungere che non sarà efficace qualsiasi riforma tributaria se all'aumento del gettito delle imposte non corrisponde una revisione della spesa e una contrazione ai limiti necessari per il mantenimento dei servizi comunali».

Nella sua intensa attività di consigliere comunale, di consigliere provinciale, di sindaco di Caltagirone e di studioso di problemi delle autonomie locali, Sturzo attribuì sempre un particolare significato e dedicò dunque preminente attenzione, agli aspetti che riguardavano i «criteri di finanza ed amministrazione». Intendendo, con quest'ultimo termine, la corretta gestione dei fondi pubblici nel passaggio tra le voci di «entrata» e di «uscita» del bilancio, comunale o anche provinciale: e su tali covi, dunque, si spendeva la capacità degli amministratori nel saper tradurre le risorse comuni in benefici reali per i cittadini. Aveva indicato, in tal senso, fin dal 1902, due direttrici orientative per le «spese facoltative»; restringere al limite minimo le spese di lusso, e quelle che non riguardano oggetti di interesse popolare; estendere per quanto è possibile le spese per oggetti di indole sociale e di beneficienza pubblica, quali uffici del lavoro, ospedali, ricoveri per inabili al lavoro, case operaie».

Nella sua lunga, intensa vita di politico e di pensatore, Sturzo toccò, oltre a quella amministrativa locale, diverse dimensioni politiche, dalla nazionale alla internazionale, fino a giungere alle più ampie visioni mondiali dei problemi. Ma si può dire che conservò sempre per il comune una sensibilità tutta particolare. Questo veniva confermato da quanto scriveva su «La Croce di Costantino» – l'antico foglio democratico cristiano di Caltagirone da lui fondato alla fine del secolo scorso – il 28 ottobre 1950: «Il ricordo dei venti anni di mia attività come consigliere comunale e sindaco di Caltagirone mi è rimasto così impresso e vivo, che se oggi potessi a mio grado scegliere un posto di lavoro, tornerei a fare il consigliere comunale e il sindaco di Caltagirone».

Le autonomie locali tra crisi e riforma
Gianni Emilio Iacobelli
E per leggere Sturzo?
Mario Tesini