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NUOVA POLITICA
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Autonomie locali

Le autonomie locali tra crisi e riforma

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Il nuovo ordinamento delle autonomie locali dovrà contribuire al superamento della crisi di efficienza e· di rappresentatività dell'intero sistema. Alla base del nuovo impianto una maggiore considerazione delle specifiche esigenze delle comunità locali.

Sembra ormai essersi avviato verso una fase conclusiva il lungo iter parlamentare per la riforma delle autonomie locali. Dopo anni di lunghi dibattiti e discussioni su un tema così importante sia sul piano strettamente istituzionale, in termini di ristrutturazione dei poteri e di attuazione del dettato della Costituzione sia sul piano dei rapporti più propriamente sociali e politici, laddove le autonomie locali si pongono come sede privilegiata di incontro concreto tra cittadino ed istituzioni, tra strutture di governo e governati.

Autonomie locali come momento di libertà e partecipazione in un ordinamento statale caratterizzato da un ricco pluralismo istituzionale a base territoriale, nel quale il cittadino possa realizzare compiutamente attraverso una vasta gamma di modelli organizzatori.

Si tratta, a ben vedere, di materia che si presenta assai delicata e complessa già all'osservazione dell'interprete, che è costretto a districarsi in una fitta rete di disposizioni normative vigenti che hanno interessato per settori e non sempre sistematicamente la figura dell'ente locale, dalla legislazione in tema di giustizia amministrativa a quella sulla finanza locale, dalle norme sui servizi sanitari a quelle relative alla istituzione delle Comunità e a quelle sull'ordinamento regionale.

Ancora più arduo deve essersi presentato il lavoro di ridefinizione legislativa della figura delle autonomie locali condotto per ben due lustri in sede di Commissione Permanente Affari Costituzionali del Senato, giacché, accanto al problema strettamente interpretativo, si è subito evidenziata la consapevolezza di dover incidere su di una realtà viva, fitta di modelli organizzativi e di equilibri di potere spesso fondati su pratiche risalenti indietro nel tempo e ormai consolidate.

A fronte di ciò, l'esigenza ormai inderogabile di dover addivenire ad un nuovo ordinamento delle autonomie, capace di rispondere in modo razionale e chiaro alle istanze degli operatori locali, spesso disorientati dalla legislazione frammentaria e disorganica a cui prima si è fatto breve cenno.

Razionalizzare l'esistente, ma non solo, pena «il rischio di non compiere per intero il passo deciso e necessario verso quelle riforme istituzionali, che sole possono avere autentiche connotazioni riformiste», così come affermato nel dibattito al Senato dal Relatore Nicola Mancino nella seduta del 2 aprile 1986.

Soprattutto a fronte dei nuovi, incalzanti problemi, quali quelli della governabilità delle grandi aree metropolitane, spesso diventata impossibile, delle inefficienze croniche del servizio sanitario, della situazione di perenne crisi della finanza locale, a volerne citare solo alcuni.

Nelle intenzioni del legislatore la riforma delle autonomie oggi in discussione si attua attraverso una legge di principi, non potendo realizzarsi in ogni caso una minuta disciplina di così vasta materia, nonché in ragione della specifica competenza legislativa delle regioni, ex art. 117 della Costituzione.

Alla base del nuovo ordinamento delle autonomie si individua comunque una scelta di fondo, peraltro conforme e adeguata allo spirito della Carta Fondamentale, ovvero il necessario riconoscimento dei Comuni e delle Provincie come enti di governo, espressione politico-istituzionale autonoma collettività locali.

Ne consegue, nel nuovo impianto legislativo, una considerazione maggiore rispetto al passato delle specifiche esigenze delle comunità sottostanti, ponendosi questa come chiave di lettera ed al tempo stesso risolutoria dei problemi locali, costante leit-motiv, potremmo dire, del progetto di riforma. Servendoci di essa come guida interpretativa è sicuramente più agevole la lettura degli oltre 100 articoli del disegno di legge di cui, in questa sede, anche per ragioni di spazio, ci limiteremmo a sottolineare solo talune specifiche innovazioni a scopo puramente descrittivo. Si supera ad esempio il principio di uniformità di organizzazione degli enti locali, sia mediante un largo impiego delle forme collaborative ed associative, sia riconoscendo agli enti stessi potestà di auto-organizzazione, specie statutaria. È infatti inimmaginabile che un comune di 1500 anime abbia le stesse esigenze e le stesse regole organizzative di una città come Roma o Milano.

Lo Statuto è sicuramente una delle novità maggiori che dovrebbe essere introdotta con la nuova normativa, riservandosi ad esso delicati profili dell'organizzazione del Comune e della Provincia, quali ed esempio le attribuzioni del Consiglio, la sua struttura interna, la composizione della Giunta.

L'importanza che ad esso si accorda viene rilevata anche dall'elevata maggioranza dei due terzi dei componenti del Consiglio, necessaria per la sua approvazione.

Il tema della «dimensione efficiente» dell'azione locale, prima accennato, trova poi uno specifico punto di disciplina nella previsione delle «aree metropolitane», in diretta risposta ai serissimi problemi di governabilità delle grandi conurbazioni e nel senso della riorganizzazione di esse in aree decentrate.

Al contempo sul versante opposto dei «comuni polvere», viene ribadito il limite di cinquemila abitanti per gli enti di nuova istituzione nonché, nel rispetto della specifica competenza legislativa regionale in materia, ex art. 133 Cost., si promuove la fusione dei piccoli agglomerati con contributi straordinari dello Stato.

Sul piano dei servizi, allo scopo di ottenere che le funzioni comunali siano svolte in modo efficiente, è prevista poi la stipula di convenzioni fra Comuni, per lo svolgimento coordinato di attività.

Novità considerevole in questo campo è quella connessa alla abrogazione delle disposizioni della legge n. 833 del 23.12.1978, istituita delle U.S.L., affidandosi la gestione del servizio sanitario locale ad un consiglio di amministrazione agile, costituito dal sindaco e dal presidente dell'associazione inter-comunale e da quattro componenti eletti, anche fra esterni, dal consiglio del Comune.

È evidente l'orientamento a conformare in senso aziendalistico la gestione sanitaria locale.

E ancora, di chiara rilevanza è la previsione, in tema di organi del Comune e delle Provincie, della possibilità che a far parte della giunta comunale e provinciale siamo chiamati anche cittadini esterni all'organizzazione consiliare.

Riforma anche nella spinosa materia dei controlli, oggetto da tempo di grosse diatribe, alimentate dalle «disavventure» dell'esperienza concreta.

Il COREC viene confermato come l'organo corrispondente alla previsione di cui all'art. 130 della Costituzione, con una composizione questa volta nel segno di una maggiore qualificazione professionale dei suoi componenti nonché della partecipazione di soggetti idonei a garantire la imparzialità del controllo.

Nella medesima prospettiva si colloca poi la previsione della nomina di un collegio di revisori ad opera dei Consigli Comunali e Provinciali con funzioni di vigilanza sulla regolarità contabile e finanziaria della gestione dell'ente con il fine deliberato di assicurare all'azione locale una migliore efficienza e produttività.

Innovazioni poi sul piano del riconoscimento ai Comuni ed alla Provincie dell'autonomia finanziaria e di potestà impositiva autonoma.

L'attenzione del legislatore si è poi soffermata quasi per scrupolo, alla attenta previsione di meccanismi concretamente attuati che dovrebbero assicurare in tempi brevi l'adeguamento dell'assetto vigenti alla nuova disciplina.

E il contenuto delle disposizioni finali e transitorie che stabiliscono in questo senso termini brevi ed interventi sollecitatori, dalla liberazione degli statuti agli interventi che i Comuni e le Provincie saranno chiamati a compiere per la revisione dei Consorzi e delle altre forme collaborative in atto.

In caso di inosservanza dei termini, è prevista la sostituzione commissariale con minima da parte del Comitato Regionale di Controllo. Alla nuova disciplina seguirà poi di diritto, alla prima scadenza dei Consigli Comunali successivamente alla entrata in vigore della legge, la soppressione delle circoscrizioni di decentramento comunale, incompatibili con la nuova organizzazione locale.

Appare di tutta evidenza, a questo punto, che rifondare in sede normativa il sistema dei poteri locali è impresa certo di non facile attuazione, considerando .soprattutto che le difficoltà si fanno ancora più grandi «allorché ili livello di elaborazione culturale ed il fervore delle proposte di modifica si combinano con la diversità delle posizioni delle parti politiche e di tutti i necessari interlocutori della vicenda di produzione normativa in corso».

Ad alimentare in modo inequivocabile il nuovo «impianto» delle autonomie, a prescindere dalle riforme particolari che verranno o meno approvate, resta comunque il fortissimo richiamo costituito dallo spirito ancora inattuato della Costituzione, che ha consacrato tra i suoi principi fondamentali la garanzie delle informazioni sociali principi fondamentali per lo Stato di conformare la sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.

Se poi si tratta di riforma o di attenzione concreta delle istituzioni non è questa la sede opportuna per chiarirlo.

Ciò che è certo, in ogni caso, è che oltre a definire la stessa «forma dello Stato», il nuovo ordinamento delle autonomie locali contribuirà in concreto al superamento della crisi di efficienza e di rappresentatività che il nostro sistema democratico sta ora attraversando.

Dario Franceschini
Progetto di Sturzo sul sistema fiscale dei comuni
Gabriella Fanello Marcucci