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Il motore della storia si sposta dall'Atlantico al Pacifico?

Nuova Politica - Il motore della storia si sposta dall'Atlantico al Pacifico? pagina 24
Nuova Politica - Il motore della storia si sposta dall'Atlantico al Pacifico?

Da alcuni anni si parla di una nuova realtà sociale ed economica, che si avvierebbe a prendere il timone dell'economia mondiale: la si è chiamata in vari modi, e «Politica Internazionale» (il mensile dell'IPALMO, Istituto per le relazioni tra l'Italia e i paesi dell'Africa, America Latina e Medio Oriente, ente presieduto da Piero Bassetti) ha scelto di chiamarlo «il sistema Asia - Pacifico». E la scelta non sembra casuale, dato il carattere di interdipendenza ('sistemico', appunto) cha ha assunto il rapporto tra i paesi della sponda asiatica del Pacifico e gli Stati americani della West Coast. Si è infatti costituito, e sembra consolidarsi sempre più, un nuovo asse alla testa dell'economia mondiale: da un lato. all'interno dell'economia americana, la leadership sembra essere passata alla grintosa e spregiudicata costa occidentale, che ha superato in dinamismo e inventiva la acculturata e compassata East Coast; dall'altro i NIC (Newly industrialized countries) emergenti dell'area asiatica, tra cui Corea del Sud, Thailandia, Singapore, Hong Kong, Filippine, Taiwan, ma anche Indonesia e Malaysia, oltre naturalmente allo scatenatissimo Giappone. Si aggiunga che Canada, Messico e la non più autarchica e sonnolenta economia cinese, aspirano a entrare nel gioco, e che gli stessi interessi strategico-militari sul Pacifico sembrano divenire forse prevalenti rispetto a quelli dell'Atlantico.

Non è difficile comprendere come questo discorso trascenda i termini di una linea di tendenza economica, ed abbia delle valenze culturali e ideali: non solo la repubblicana California sembra soppiantare la «liberal» costa orientale, ma gli stessi paesi asiatici paiono avere la forza di fare lo stesso con la vecchia Europa; allo stesso modo le università europee non sembrano poter competere con i centri di ricerca d'oltre Oceano, e la cultura umanistica viene a volte perfino sbeffeggiata dai pionieri della rivoluzione tecnologica. Tutto ciò sia detto evidentemente con semplificazioni, e in tutto ciò si tengano presente i possibili inganni dell'apparenza; resta però il fatto che è possibile parlare, riguardo ai fenomeni succitati, di una vera e propria linea di tendenza.

E pertanto evidente l'interesse dello studio di «Politica internazionale» («Il sistema Asia-Pacifico», n. 1/85), che raccoglie diversi contributi: una presentazione del direttore Giampaolo Calchi Novati, «Vitalità economica e rilevanza strategica di una nuova frontiera dello sviluppo» di Giovanni Bressi, «Le vicende interne in una prospettiva globale» di Robert A. Scalapino, «i prognifici Sei» di Massimo Micarelli, «Il peso del bipolarismo sull'evoluzione interregionale» di William T. Tow, «Una instabilità sotto controllo» di Francois Joyaux, «La sorte di Taiwan. La penisola coreana sempre divisa. Le isole contese fra Giappone e Urss» Schede di Gaetano La Pira, «La conflittualità fra gli Stati Socialisti» di Anton Bebler, «Una comunità in via di costituzione» di Robert L. Downen, «Il ruolo delle potenze intermedie» di Omar Martinez Legorreta.

Diversi sono gli approcci di questi brevi saggi, ma quasi in tutti è possibile individuare una tesi di fondo: questi paesi asiatici emergenti sono esposti alla contraddizione di trovarsi a crescere tra condizioni interne favorevoli, quali «la stabilità politica, la priorità accordata alla moderniz­zazione e al progresso scientifico e tecnologico, la formazione di una manodopera qualificata e l'assenza di confllitti sociali», e condizioni esterne sfavorevoli, come il sempre sostenuto carattere bellico della regione, il trovarsi al centro del confronto tra le tre superpotenze, una serie di vertenze aperte, quali la spaccatura della penisola coreana, la disputa su Taiwan, le isole contese tra URSS e Giappone.

Senonché, ci si può chiedere se quello che viene presentato come un insieme di «vicende interne» favorevoli sia veramente un elemento di forza: infatti la stabilità politica di questi regimi spesso è ottenuta con inaccettabili tratti di illiberalità, e l'alta produttività è quasi sempre ottenuta al prezzo di un basso livello dei salari e del tenore di vita; mentre, sullo sfondo (ma non per importanza), resta il problema di un «deficit di istituzionalizzazione politica» (R.A. Scalapino), è cioè sistemi politici orfani del supporto di una prassi e di una coscienza nazionale democratiche.

Ispirazione cristiana ed economia: il dibattito si allarga
Federico Mioni
Ada Ferrari, La civiltà industriale colpa e castigo, ed. Morcelliana, Brescia 1984
Franco Molinari

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